Contromano12 marzo 2019 19:23

La torta no

Forse solo un mazzo di fiori per ognuna delle vittime del 14 agosto 2018, posato nel momento in cui verranno completati definitivamente i lavori. Forse anche nulla. Solo due parole, anzi quarantatré, per la precisione quarantatré nomi, scanditi dai rappresentanti di Governo e da tutti noi, che ricordino, appunto, le quarantatré persone, donne, uomini, bambini, morti il 14 agosto 2018

La torta no

Ho riflettuto molto prima di decidere di scrivere queste righe.

Ho riflettuto se fosse il caso di prendere la penna (anch’io, lo hanno già fatto in tanti) per questa vicenda.

Ho riflettuto se il mio contributo potesse in qualche modo essere utile (ma che cosa in fondo è utile? Non lo so più).

Ho riflettuto perché essendo impulsiva, emotiva e passionale, di fronte a certe situazioni ed eventi non sempre riesco a oggettivare (anzi, quasi mai…). Forse anche per questo non scrivo di cronaca ma di letteratura, di arte, del passato, e scrivo spesso cose di finzione.

Poi mi sono detta: che senso ha celebrare la Giornata Internazionale della Donna (o quella della Memoria, e tante altre), ricordando donne e uomini che hanno scritto la storia, che hanno lottato per i diritti di esseri umani calpestati e offesi, che spesso hanno rischiato la loro stessa vita in nome «della verità» (Séverine), se poi io scelgo, un po’ per amore e un po’ come sorta di rifugio, di vivere nell’Ottocento, e non esprimo il mio parere, per quel che può contare, su ciò che accade ora? Certo, è pur vero che «quanta verità può osare, quanta verità può sopportare un uomo?», si chiedeva Nietzsche… Anche questo non lo so.

Ma… Se Camille Claudel, Séverine, Germaine Tillion, Antonia Pozzi, Jacqueline Pascal, Christine de Pizan (nomino solo alcune tra le mie “donne del cuore”) sono per me un Esempio, e faccio il possibile per portarle a conoscenza dei tanti che non sanno chi siano, specie in Italia, dovrei io per prima prendere esempio da loro e pertanto usare il solo strumento che conosco (forse), che so usare (forse), ma comunque che sento mio, la penna («il mio elemento naturale», cito Flaubert), non solo per parlare di loro, di letteratura, di teatro, di arte, ecc., ma di ciò che purtroppo mi ferisce e mi indigna ORA, e non nelle epoche passate…

Ho letto tanti articoli, in queste ore, sulla vicenda che oggi circola sui social dell’inaugurazione dello stabilimento di Fincantieri Infrastrutture di Valeggio sul Mincio, in provincia di Verona. Il cantiere cui è affidata la ricostruzione del Ponte Morandi di Genova, crollato il 14 agosto 2018.

Ho letto ciò che ne hanno scritto illustri esponenti della cultura su faceboook e sulle testate online, e tanti amici e amiche (io sapevo che non dovevo mettermi su facebook...! Scherzo, è utile, ma se usato con scienza e coscienza, e purtroppo non tutti conoscono né l’una né l’altra).

Ho letto i post, i commenti, i pareri (positivi -pochi-, negativi-molti-).

Ho pensato al 14 agosto, a quando un caro amico mi ha comunicato la notizia del crollo del Ponte Morandi. Ero a Varigotti. La sera doveva esserci uno spettacolo in piazza (ovviamente annullato, come tutte le manifestazioni di quel giorno). Non torno su come mi sono sentita perché ne ho parlato e scritto molto, e non voglio ora parlare di me e delle mie emozioni di quel (terribile) giorno.

Ma ho guardato a lungo la foto del premier Giuseppe Conte, del pasticciere, del Sindaco del luogo e del Dottor Bono davanti a quella torta alla panna a forma di ponte (ho capito, va bene, è il logo di Fincantieri di cui si inaugura lo stabilimento e non il simbolo del Ponte Morandi – ci mancherebbe anche!-, ma quindi non era proprio possibile farne a meno…?).

Vorrei capire… Se per commemorare, rammemorare (e non festeggiare, almeno su questo siamo d’accordo o è il caso di usare il vocabolario per capire la differenza tra i verbi all’infinito?) le vittime di una tragedia e annunciare la ricostruzione della struttura che le ha viste morire e quindi poniamo, per esempio, che si parli di un disastro aereo, ci fosse una compagnia di volo a fare da sponsor, chiederemmo al pasticciere di turno di costruire una torta a forma di aereo…? Il teatro dell’assurdo… Ma è vero. È vero. Quella foto è vera.

La guardo e la riguardo. E penso: no… Non va bene. C’è qualcosa che non torna. Che manca. O, piuttosto, che è di troppo. È sfasato, distorto, sbagliato e profondamente irrispettoso. E come mi insegna Germaine Tillion, “dire di no è un’affermazione!”.

Ma del resto da anni ci stiamo abituando (io no, purtroppo, e infatti ne soffro) ai selfie con le pastasciutte e gli hamburger degli esponenti del Governo, alle loro foto con i gatti e le fidanzate, ex o attuali, perché così “sono più simili a noi” (ma a noi chi?! Sarò strana ma a me non assomigliano per niente!). Ci stiamo abituando alla gogna mediatica cui vengono esposte tante, troppe persone (spesso ragazze e ragazzi giovani, ossia i più fragili, i più deboli, i più indifesi, coloro che tutti noi abbiamo il sommo dovere di tutelare) da parte proprio dei “governanti” (mi vengono sempre in mente in questi giorni le parole di Franco Battiato in Povera Patria… è proprio vero che il genio non ha età ed è sempre attuale, perché è eterno). Ci stiamo abituando al kitsch, alla volgarità, e spesso scegliamo di tacere, sopraffatti dallo sdegno, in alcuni casi (non il mio) dalla paura (legittima) e dal pensiero che “tanto le mie parole non servono a nessuno”. Ebbene, non so se le mie parole servono a qualcuno, ma non posso tacere la mia indignazione di fronte a quella foto. Sono felicissima che i lavori per la ricostruzione del Ponte Morandi siano finalmente iniziati, sono felicissima che il Dottor Bono sia stato definito da tutti una persona degna, onesta, che ha a cuore più di chiunque altro l’urgenza e la necessità del lavoro che è chiamato a svolgere. E auguro a lui e a tutta la sua enorme, validissima squadra, che ha tutto il mio rispetto più profondo, di lavorare bene, in tempi il più possibile brevi.

Ma la torta no…

Forse alla fine dei lavori, e non a forma di ponte…

Forse solo un mazzo di fiori per ognuna delle vittime del 14 agosto 2018, posato nel momento in cui verranno completati definitivamente i lavori.

Forse anche nulla. Solo due parole (anzi, quarantatré, per la precisione QUARANTATRÉ NOMI…) scanditi dai rappresentanti di Governo e da tutti noi, che ricordino, appunto, le quarantatré persone, donne, uomini, bambini, morti il 14 agosto 2018.

Niente champagne, niente foto e selfie, niente pasticcieri tronfi, niente torte (lo ripeto, a forma di ponte… Flaubert direbbe che il tutto è “grottescamente triste”, il problema è che è avvenuto davvero, questa volta non sto scrivendo di Madame Bovary…).

Il Ponte ricostruito (nonostante la città di Genova, e tutti quanti, non possano MAI dimenticare ciò che è successo il 14 agosto dello scorso anno, e i familiari, gli amici, i conoscenti delle vittime men che meno), basta (basterà!) a se stesso.

Tutto il resto è social, è propaganda, è non rispetto, è “io c’ero”, è…TRISTE.

Vorrei che la mia anima ti fosse

leggera,

che la mia poesia ti fosse un ponte,

sottile e saldo,

bianco –

sulle oscure voragini

della terra. (Antonia Pozzi)

Le voragini che ha aperto il crollo del Ponte Morandi, in via di ricostruzione, nessuna torta potrà mai colmarle. E, questa volta, anche nessuna poesia…

Ricostruite un ponte: non sottile ma saldo, saldissimo, per Genova. E fatelo senza torte e senza foto di “inaugurazioni”. Grazie…

«Sventurata la terra che ha bisogno di eroi» (virtuali)… Felice la terra che ha bisogno di Uomini (veri).

Buon lavoro, di cuore, a tutta la squadra di lavoro per il nuovo Ponte Morandi.

 

Chiara Pasetti

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