Sono tantissimi: li immortaliamo fermi, quasi a bloccare fisicamente uno tra le centinaia di mostri diesel vomitati incessantemente dal tunnel del porto.
Quello stesso porto piazzato nel cuore della città, dal quale senza tregua spandono i loro neri fumi gigantesche navi da crociera, traghetti datati a un'epoca in cui d'inquinamento neppure si parlava, o grandi imbarcazioni commerciali venute da chissà dove che svernano in rada.
E a farsi rubare il futuro non ci stanno.
Non più tardi di due giorni fa a Nairobi la relazione dell'ONU sulle morti causate dall'inquinamento è stata accolta con orripilato stupore.
Eppure lo sappiamo.
Sono anni, decenni che lo sappiamo. Tutti.
E prima di metter le foto del deserto (che pur ci attende) dovremmo metter le foto di tutti quei morti che l'avidità e l'indifferenza hanno già causato.
Di quelle cartelle cliniche che alcuni non ritengono importanti.
Di tutti coloro che a causa dell'inquinamento han perso un pezzo di famiglia, o di vita.