Si parlava con un collega ieri in piazza, osservando l’afflusso tanto inferiore alle aspettative: secondo lui il motivo è che i giovani savonesi considerano ormai l’evento - sardine come politicizzato, quindi non più interessante. E probabilmente ha ragione.
Allora ha ragione anche chi fin da subito ha visto nel movimento delle sardine solo un’altra declinazione dell’antipolitica, benché diversa da quella targata cinque stelle e opposta a quella leghista?
Non c’è insomma più spazio per la politica a Savona?
Non ci si poteva certo aspettare un successo paragonabile alle città emiliane, dove la campagna elettorale è pressante e intensissima in questi ultimi fuochi prima di domenica: ma di sicuro la piazza di ieri - che tra l’altro poteva contare su ospiti del calibro di Mimmo Lombezzi, Jacopo Marchisio e Franca Ferrando - è per Savona un segnale non meno importante di quella del 4 dicembre, perché la qualità della partecipazione non può sostituire la quantità, che in una democrazia - specie se un po’ in sofferenza - è necessaria come l’ossigeno.
Specie nel giorno in cui a Mondovì, a pochi chilometri da noi, è stata imbrattata la porta del figlio dI un'antifascista deportata nei campi di concentramento.
Un segnale di stanchezza e disillusione, insomma, che tutta la parte politica savonese che afferma di voler contendere alla destra il governo della Regione e poi della Città non può assolutamente permettersi di ignorare.
Ricordando che al Pilastro - il quartiere di Bologna ormai noto per la citofonata dell’ex ministro dell’interno - il PCI che sapeva radicarsi nelle periferie, che sapeva consolare e proteggere, il partito che riusciva a non far sentire sole le persone, aveva l’ottanta per cento.
Qualcuno, tra le forze politiche considerate "minori", ci sembra stia provando ad ascoltare i territori, ad essere presente: un esempio che andrebbe seguito per davvero, al netto degli slogan che oggi più che mai lasciano il tempo nuvoloso che trovano.