Inchieste01 aprile 2020 11:59

Mascherine: la burocrazia uccide medici e pazienti

Ascoltiamo ancora, come tutti, i bollettini diffusi ogni sera dalla Protezione Civile. Li ascoltiamo e li riportiamo diligentemente anche se i dati, è ormai indubitabile, sono molto peggiori di quelli che ci vengono forniti. Basta leggere oggi “L’Eco di Bergamo” per rendersene conto pienamente: i morti sono tantissimi, la metà non sono censiti come morti per Covid

foto: Repubblica

foto: Repubblica

I medici di medicina generale che operano a Bergamo hanno parlato ancora stamattina, su Rai 3, dicendo chiaramente che “la gente muore in casa” e che loro combattono il virus a mani nude, senza protezioni, controllando più volte al giorno pazienti con polmonite a cui nessuno fa i tamponi perché i tamponi si fanno negli ospedali. 

Insomma proprio le persone che combattono in prima linea sul territorio non hanno quei dispositivi di protezione individuale che salverebbero la loro salute e quella dei loro assistiti. 

Repubblica sta portando avanti un’inchiesta, sulla vicenda delle mascherine, che assume contorni sempre più inquietanti.

Ieri ha raccontato una storia tra tante, quella dell’imprenditore Filippo Moroni che il 14 marzo, si legge, aveva trovato il modo di consorziare 21 aziende cinesi per comprare 50 milioni di Dpi certificati CE alla metà della base d'asta indetta da Consip, la centrale di acquisto nazionale. 

Scrive alla Protezione civile, poi a Confindustria, alle Regioni Puglia, Lazio, Lombardia, alle Asl. 

Dalla Protezione Civile nessuno gli risponde, quando telefona gli dicono “La richiamiamo noi” ma questa telefonata non arriverà mai. 

Richiama, stavolta qualcuno gli risponde: è Mario Ferrazzano, ufficio acquisti della Protezione Civile: gli dice che ci sono problemi per il pagamento, perché lo Stato non può pagare anticipatamente dall'Italia - come vorrebbero i cinesi - né può mandare qualcuno lì a pagare contestualmente, e quindi se Moroni vuole aiutare deve anticipare circa 25 milioni di dollari di tasca sua. 

E comunque, dice Ferrazzano, "con le mascherine stiamo abbastanza apposto, ne abbiamo trovate una trentina di milioni, un terzo FFP3, due terzi FFP2". 

Le chirurgiche, manco a parlarne: "Quelle ormai le prendiamo solo in seconda battuta perché stiamo già a posto”. 

Peccato che quindici giorni dopo quella telefonata, la Protezione Civile dipenda invece, ancora, “dalle caritatevoli donazioni del ministero cinese e le uniche mascherine che girano sono le famigerate Montrasio, quelle fatte con il tessuto antipolvere per pulire i mobili che Fontana ha definito carta igienica e De Luca "le mascherine del coniglietto Bunny". Per una chirurgica marchiata CE, gli operatori sanitari di molte regioni pagherebbero oro.”

Moroni allora, riporta Repubblica, prova a contattare direttamente il neo commissario Domenico Arcuri, il quale però dice di non volersi assumere il rischio di procedere all'acquisto senza il consenso dell’Istituto Superiore di Sanità. "Le mascherine sono CE, non c'è bisogno di nessun ok, solo del suo", insiste Moroni.  

Ma Arcuri ha deciso che la strada è la gara Consip e non si assume la responsabilità di procedere: "Non voglio andare in galera". Moroni fa notare al commissario che i suoi poteri sono straordinari proprio perché siamo in emergenza e ha il pieno potere di fare cose straordinarie, saltare la burocrazia e fare un bonifico per comprare le mascherine. Ma non c'è verso. Viene rimandato allo staff che poi passa "il problema" all'ufficio acquisti della Protezione Civile che cade dalle nuvole. 

E si ricomincia da capo. 

Moroni scrive a tutti, Confindustria, ASL, Regioni specificando in ogni mail che opera "pro bono", senza alcuna commissione, e che il suo ruolo sarà solo quello di mediatore tra la Protezione Civile (che non può acquistare direttamente) e i cinesi, mettendo anche a disposizione la sua licenza export medicale indispensabile per sdoganare quei 7 Boeing interi di materiale. 

Niente.

Alla fine Moroni si arrende.

Di oggi l’ultimo agghiacciante servizio, che racconta di come martedì 24 marzo il Presidente del consiglio Giuseppe Conte e il commissario Domenico Arcuri in diretta tv abbiano promesso agli italiani: “Tra 96 ore un consorzio italiano di aziende del Sistema Moda inizierà a produrre mascherine e i nostri medici avranno finalmente abbastanza munizioni per combattere questa guerra”, ma di come una settimana dopo nemmeno un dispositivo professionale di quelli che usano i medici e gli infermieri nei reparti Covid sia stato prodotto.

Non solo: per immettere sul mercato le simil-chirurgiche non serve alcuna validazione da parte dell’Inail e dell’Istituto Superiore di Sanità - che sono gli enti individuati dal decreto Cura Italia per vagliare la produzione autarchica - ma basta un’autocertificazione in cui si dica che “non arrecano danno alla salute”. Eppure gli uffici dell’Inail sono subissati di domande di artigiani e piccole ditte che propongono le simil-chirurgiche, pretendendo un timbro inesistente e mandando mail certificate alle quali l’Inail è obbligata a rispondere perdendo tempo prezioso.

Insomma, l’Inail finora non ha autorizzato la produzione autoctona di mascherine professionali, e l’Istituto Superiore di Sanità non ha ancora autorizzato la commercializzazione delle chirurgiche prodotte da aziende riconvertite. 

“Le uniche finite sul mercato sono quelle di aziende che avevano già il know how o materiale tecnico in magazzino.”

Mentre l’allarme vero arriva dal Procuratore nazionale Antimafia Federico Cafiero De Raho: “C’è un rischio molto forte che le mafie si muovano per importare mascherine e più in generale Dispositivi di protezione individuale, perché possono pagare in contanti in Cina e riescono a imporre lo sdoganamento delle merci nei paesi dell’Est Europa. Due rami dove - grazie a liquidità e a capacità corruttiva - le nostre mafie sono leader internazionali. Speriamo non facciano prima dello Stato”. 

Si sta rivelando così utile la Protezione Civile? 

Si sta rivelando così utile un commissario per l’emergenza?

LNS

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