07 aprile 2020 07:26

Il prefetto fascista che ordinò un massacro per coprire un errore

Il 25 aprile dà fastidio non solo ai fascisti del terzo millennio, ma anche a molti di coloro che si proclamano liberali senza pensare che senza il 25 aprile le libertà di cui tanto cianciano sarebbero negate (di Nicola Stella)

Il prefetto fascista che ordinò un massacro per coprire un errore

Proprio (e anche) perché voglio dare fastidio a queste persone, ricordo che il 5 aprile era l'anniversario del massacro di 13 antifascisti in Valloria. Qualche mese dopo la Liberazione Giorgio Gatti fece erigere un monumento con una lapide in onore del fratello Edoardo e degli altri 12 caduti. Oggi il cippo non è più ai bordi del cratere prodotto da una bomba, dove vennero lasciati per due settimane i cadaveri dei fucilati per intimorire la popolazione: è sempre lì, in Valloria all'interno della cinta ospedaliera, ma è stato spostato perché sopra quel preciso punto è sorto uno degli edifici del San Paolo.

Di questa strage, che potremmo definire di Pasqua (nel 1944 cadde il 9 aprile) per accostarla a quella di Natale (27 dicembre 1943) al forte della Madonna degli Angeli, solo in tempi recenti sono emersi completamente tutti i contorni.

Come nel caso della strage di Natale, anche i 13 antifascisti della strage di Pasqua vennero massacrati per rappresaglia: nessuno di loro aveva a che fare con la morte di un soldato tedesco avvenuta qualche giorno prima, così come i 7 antifascisti uccisi alla Madonna degli Angeli non c'entravano  con l'attentato alla Trattoria della stazione in cui morirono 5 persone. In entrambi i casi si trattava di detenuti politici che si trovavano già in carcere per le loro attività contro il regime. Ma, a differenza della strage di Natale, attuata in rappresaglia di un attentato vero, nel caso della strage di Pasqua non vi fu nessun attentato antifascista ai danni di un soldato tedesco.

Di questa storia, che molti già conoscevano per sentito dire, sono emerse le prove poco più di un anno fa, quando l'Archivio di Stato ha reso pubbliche le carte della Questura di Savona relative alle schedature fino al 1968.

Il soldato tedesco - Wille Lange - "perì nello scontro tra due pattuglie, una tedesca e una italiana, che non essendosi riconosciute si aprirono vicendevolmente il fuoco”. Lo dice testualmente un rapporto interno alla questura di Savona redatto nel novembre del 1946 dalla squadra politica che indagava sui crimini di guerra. Il criminale in questo caso era Filippo Mirabelli, Capo della provincia di Savona dal novembre 1943 al dicembre 1944, quando fu trasferito a Vicenza. Una carica che nella Repubblica di Salò aveva sostituito, e con maggiori poteri, quella dei prefetti, unificando la guida amministrativa a quella politica e infatti Mirabelli faceva parte del Consiglio nazionale del partito fascista.

 

Mirabelli, alla morte del soldato nazista, si trovò in una situazione imbarazzante. Una SS uccisa da una pattuglia di camicie nere. Lui, in quanto capo politico della provincia, doveva comunque renderne conto agli alleati. Così, per sbrogliarsela, decise di attribuire la colpa dell'incidente agli antifascisti. “Il Mirabelli – è scritto nella relazione della squadra politica della questura - per accattivarsi le simpatie dei tedeschi accondiscese a che venissero passati per le armi, dietro convocazione del tribunale speciale, tredici persone già in loro possesso in qualità di ostaggi”.

Mirabelli subito dopo la Liberazione venne rinviato a giudizio come criminale di guerra, responsabile di omicidio, collaborazionismo e altri reati. Riuscì a fuggire in Argentina e venne processato in contumacia. Fu condannato all'ergastolo in primo grado, poi la Cassazione ridusse la pena a 19 anni, che furono interamente condonati per effetto dei vari provvedimenti di amnistia e indulto varati da Togliatti in poi, a cui si aggiunsero le sentenze di tribunali ancora composti da giudici assai benevoli con i fascisti. Anche su questo bisognerebbe riflettere: la stragrande maggioranza di quei provvedimenti andò a beneficio di criminali fascisti. Oggi invece revisionisti e neofascisti si lagnano dell'amnistia concessa, ad esempio, al partigiano a cui venne imputata la morte della giovanissima suffragetta del regime Giuseppina Ghersi, uccisa nel campo di concentramento di Legino.

Il 31 marzo del 1954 Filippo Mirabelli sbarcò a Napoli e si ricongiunse alla famiglia.

Nicola Stella

Ti potrebbero interessare anche:

Le notizie de LA NUOVA SAVONA