Cultura09 aprile 2020 10:33

Se l’imbecillità sapesse gridare

Omaggio a Charles Baudelaire (di Chiara Pasetti)

foto Nadar

foto Nadar

Il 9 aprile 1821 nasceva uno dei più grandi poeti non solo dell’Ottocento francese bensì di sempre: Charles Baudelaire. Di lui ho scritto tanto ma, più che altro, ho letto e amato tutto.

Lo voglio ricordare nel giorno del suo compleanno facendo riferimento alla vicenda che segnò in modo profondo la sua vita: il processo ai Fiori del male. Le liriche di Baudelaire vennero portate in tribunale nel 1857 (lo stesso anno di un altro celebre processo, quello a Flaubert per Madame Bovary), con l’accusa di «oltraggio alla morale pubblica, alla religione e ai buoni costumi». Flaubert verrà assolto nel febbraio del 1857, al poeta toccherà una sorte diversa: il 20 agosto del 1857 sarà condannato a pagare un’ammenda di 300 franchi e soprattutto si vedrà censurate, delle tredici inizialmente incriminate, sei liriche. Tra il mese di marzo e i primi di giugno Baudelaire corregge le bozze con tutta «la precisione e l’intensità» che metteva in questa operazione. Il volume esce alla fine di giugno e scatena una campagna denigratoria soprattutto da parte dei giornali conservatori: «l’odioso rasenta l’ignobile, il ripugnante va a braccetto con il fetido», scrive il Figaro. L’editore ritira le copie dalle librerie e due articoli, magistrali, scritti in difesa dei Fiori non potranno comparire. Il primo paragona le liriche di Baudelaire ai versi di Dante, la cui opera «viene dall’inferno, quella di Baudelaire ci va».

Il 9 luglio del 1857 Charles scrive alla madre: «Fleurs du mal, il titolo dice tutto, è rivestito di una bellezza sinistra e fredda, è stato fatto con furore e pazienza. Del resto la prova del suo valore positivo è in tutto il male che se ne dice». Questo «spirito tormentato» sconcerta i contemporanei per il mélange esplosivo di spleen e idéal, di elevazione e caduta, amore e rabbia.

«Ho sempre avuto la sensazione dell’abisso», afferma; sensazione mirabilmente espressa in tutte le poesie e nei Petits poèmes en prose. Due immagini più di altre mi pare racchiudano il poeta stesso e la sua continua tensione tra slancio e crollo. Si tratta della metafora-poesia dell’albatros e quella del vecchio saltimbanco. Nella prima Baudelaire si cela dietro il principe delle nubi che esiliato in terra, fra gli scherni, non può camminare a causa delle sue ali di gigante. Nella seconda il povero saltimbanco, auto-caricatura sarcastica, dolorosa e commovente, suscita nell’autore una profonda compassione poiché vi vede riflessa «l’immagine dell’uomo di lettere, del vecchio poeta degradato dalla miseria e dall’ingratitudine pubblica». Righe profetiche di colui che, di lì a poco, diventerà anch’egli «un rudere d’uomo» a causa dell’ictus che gli toglierà la parola…

Dopo il processo e la condanna il fedele Asselineau, il quale nella biografia postuma ne riscriverà la difesa concludendo con un severo ammonimento a non scoraggiare i poeti («ne avete uno, state attenti a non umiliarlo»), gli chiese se si aspettasse l’assoluzione. Baudelaire rispose: «Assolto? Mi aspettavo che mi porgessero le loro scuse!».

Non lo fece nessuno.

Le poesie censurate verranno reintegrate soltanto nella terza edizione de I Fiori del male del 1868, un anno dopo la morte di Baudelaire. Nel 1949, su istanza della “Société de gens des lettres”, la condanna sarà annullata, ma lui non potrà più saperlo.

Maxime Du Camp, appresa la notizia della sentenza, scrisse che «se l’imbecillità facesse soffrire si sentirebbe molta gente gridare». 

 Se l’imbecillità avesse saputo gridare, credo che non ci sarebbero stati tanti altri suoni nell’aria, all’epoca.

E oggi?

(Odilon Redon, Litanies de Satan, litografia ispirata alla lirica di Baudelaire)

 

Charles Baudelaire, dagli appunti (inediti) «per il mio avvocato» stesi

prima del processo del 20 agosto 1857 ai Fiori del male:

Potrei fare un’intera biblioteca di libri moderni non incriminati che non respirano, come il mio, L’ORRORE del MALE. Da circa trent’anni, la letteratura ha assunto una tale libertà che di colpo si vuole punire in me.

 È giusto questo?

Che cos’è questa morale pudibonda, puritana e dispettosa, che mira niente meno che a creare dei cospiratori anche nell’ordine tanto tranquillo dei sognatori?

Chiara Pasetti

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