Cultura22 agosto 2020 11:25

Mille e più farfalle

Il libro e lo spettacolo di Deborah Riccelli (di Chiara Pasetti)

Mille e più farfalle

La rubrica di agosto ha seguito gli appuntamenti che erano previsti nella rassegna teatrale di Varigotti, rimandata a causa dell’emergenza sanitaria.

Si è scelto, in attesa di poterli ammirare dal vivo, di raccontare qualcosa degli spettacoli in programma; domani, 23 agosto, in Piazza Libeccio sarebbe andato in scena Mille e più farfalle di Deborah Riccelli, con Ambra Giordano.

Una sfida impegnativa, quella dell’attrice, perché sola sul palco si trova a interpretare un canto a più voci.

«Voci bambine», le definisce Ambra, «che forse, come sospese, stavano lì ad attendermi da sempre ma che, solo grazie a Deborah, ho potuto incontrare e guardare negli occhi». Voci che riecheggiano con forza nella mente e nel cuore di tutti coloro che hanno letto e leggeranno il libro omonimo da cui è tratta la riduzione teatrale.

 

Mille e più farfalle (edizioni Erga) è stato il testo più venduto a Genova, dove l’autrice vive e lavora, nel 2018.

Ottanta pagine in cui si condensano un’infinità di sentimenti, emozioni e vissuti che rendono le quattro bambine protagoniste di questi «racconti di vita breve» creati dalla penna ispirata e talentuosa di Deborah Riccelli (ognuno seguito da un intervento a cura di noti psicologi: Annalisa Cardone, Margherita Carlini, Roberta Manfredini e Bruno Morchio) delle figure simbolo della vita e della morte, della malattia, e della capacità di alcune creature di sopravvivere nonostante tutto.

Come afferma sempre l’attrice, non è solo un libro ma «un’esperienza […]; ciò che più mi ha colpito, e che sempre mi colpisce di Deborah, è la sua straordinaria capacità di riuscire a parlare del dolore con assoluta verità e compostezza. Una verità, senza filtri e senza tabù, che talvolta arriva come una coltellata, altre volte come un caldo abbraccio».

 

Riccelli è formatrice esperta in stereotipi del linguaggio, violenza di genere e crimine familiare; da sempre impegnata nel sociale, è socia fondatrice di una onlus (“Oltre il silenzio”) che si occupa del supporto psicologico e legale delle vittime di violenza e dell’elaborazione del lutto per i familiari delle vittime di femminicidio. Accanto a tutto questo è scrittrice, sceneggiatrice e regista teatrale.

Soprattutto, è una voce potente, delicata e sensibile al contempo, una persona generosa e ricca di empatia, che sa entrare nelle pieghe dell’animo umano per svelarne i sentimenti più profondi, quelli che non si riescono ad esprimere e prima ancora a confessare a se stessi e agli altri.

Il dolore fa paura e quando si tratta di bambini, in questo caso di bambine, le parole vanno scelte con la massima cura; tuttavia, se si decide, come fa Deborah, di raccontare «la banalità del male», vanno scelte anche con grande lucidità, senza sconti, senza patetismi di sorta.

 

Non sveliamo nulla delle loro vicende ma le presentiamo, le «sue bimbe», come le chiama l’autrice: Sylvia, Allegra, Hagere, Emma.

Quattro farfalle variopinte fragili come le loro ali, spezzate realmente o metaforicamente troppo presto, eppur fortissime nel consegnarci un messaggio che va al di là della morte riuscendo, come scrive Sabrina De Bastiani nella prefazione, «sorprendentemente a parlarci di vita».

 

 La storia di Hagere è la sola ispirata a un fatto realmente accaduto nel 2000, dove la piccola venne trovata uccisa in un appartamento a Imperia; le altre sono personaggi di fantasia.

È evidente però che il lavoro e la missione di Deborah, aiutare le persone a dare voce ed elaborare i traumi, l’abbiano portata ad entrare in contatto diretto con le tematiche che tratta. Afferma infatti che il libro per lei è stato «una necessità personale: volevo far conoscere vari aspetti di diversi traumi con i quali, frequentemente, mi confronto. La mia necessità non era però di dare delle risposte ma far conoscere il trauma dall’interno, richiedendo ai lettori un forte esercizio di immedesimazione più che di semplice empatia». In alcuni casi tale immedesimazione è talmente forte da indurre il lettore, secondo le testimonianze raccolte, a chiudere il libro per la troppa emozione.

 

Tantissimi i temi toccati o evocati attraverso le storie delle bambine e delle persone a loro vicine: la sofferenza innanzitutto, la perdita, il lutto (e la sua elaborazione), il trauma psicologico, la sindrome del sopravvissuto, la violenza assistita, l’aborto terapeutico, la pedofilia e la malattia.

Temi spesso taciuti o appena sussurrati; l’autrice squarcia il velo delle “verità nascoste” non per lenirle bensì per rivelarle, per ri-dare loro voce, dignità, identità.

 

Perché la sindrome del sopravvissuto?

Deborah Riccelli: «la riscontro spesso nelle sorelle delle vittime di femminicidio. Sopravvivere a una sorella morta di tale crimine non è facile. Non si sarà mai belli, buoni e pieni di talento come chi non c’è più e, soprattutto, non si sarà mai liberi dal pensiero di non essere riusciti a salvare la sorella defunta».

Ne parla nel testo e nello spettacolo con uno stratagemma letterario originale: «inventando una storia che non ha niente a che fare con il femminicidio proprio per far comprendere che non è necessario vivere gli stessi eventi per provare  le medesime emozioni».

Nel secondo racconto si parla di violenza assistita. 

Spesso «ci dimentichiamo che la maggior parte delle donne che subiscono violenza hanno dei figli, i quali sono i primi spettatori di ciò che accade tra le mura domestiche quando tutto il mondo è chiuso fuori». La meravigliosa bimba che riesce a far riflettere sull’orrido vissuto e interiorizzato dai più piccoli riesce, tramite buffi e preziosi regali magici, a salvare sua madre e, insieme a lei, se stessa.

Il terzo racconto è incentrato sull’aborto terapeutico e su quanto possa ferire le donne il fatto che venga talora confuso con l’interruzione volontaria di gravidanza.

Si intreccia in questa terza storia anche il tema della pedofilia, creando una sinfonia dolente nella quale due madri perdono le loro bambine «ma il mondo concede solo ad una delle due il diritto e la dignità di soffrire». 

 

Chiediamo all’interprete quanto possa essere difficile calarsi in quattro storie così diverse, tutte accomunate da un dolore atroce, indicibile.

Ambra Giordano ammette che è stata una prova dura a livello personale prima ancora che professionale: «interpretare i personaggi di Deborah significa decidere di camminare su un filo, un filo che separa ciò che c’è da ciò che non c’è, ciò che c’era da ciò che non c’è più. Per poi rendersi conto che il confine non è sempre così netto. Ciò che non c’è più continua a vivere nel cuore di chi resta, e il dolore a quel punto prende forme inaspettate, si infila in zone d’ombra ma, a volte, scopre anche luci straordinarie».

Non a caso Deborah sceglie efficacemente, a partire dal titolo, la metafora della farfalla che richiama, tra i tanti, i versi di Emily Dickinson:

 

 «La potenza della farfalla è in questa / attitudine al volo, / che le concede prati di maestà / ed i volteggi facili nel cielo».

 

L’ultima storia del libro e dello spettacolo è quella che in questo momento l’autrice sente più vicina a sé.

«Nel quarto racconto parlo di cancro. Una parola che ancora oggi non si riesce a volte a pronunciare: molti continuano a chiamarlo “brutto male” [o non lo chiamano proprio, come se il fatto di non pronunciare la parola giusta allontanasse il pensiero e la cosa in sé, li esorcizzasse, o potesse guarirli]. Qui c’è una giovane madre che cerca instancabilmente un “libretto di istruzioni” per stare accanto alla sua piccola che sta morendo».

 

Quando ci si trova a dover fare di tutto per salvare se stessi ci si rende conto, come denuncia l’autrice, che «siamo tutti soli di fronte alla malattia; e in questo momento particolare, per chi ha avuto come me la sfortuna di ammalarsi durante il lockdown, ancora di più. Smetti di essere tante cose per gli altri e, tra i corridoi degli ospedali, diventi una cartella clinica, un caso da analizzare attraverso lo schermo di un computer. Ti accorgi di quanti fanno di tutto per donarti un sorriso e per starti accanto ma anche di chi, vigliaccamente, decide di non voler fare più parte della tua vita». 

 

Ha ragione, Deborah: nei momenti chiave della vita ci si accorge davvero di chi c’è e di chi non c’è (e forse non c’è mai stato), di chi ha il coraggio di restare e di chi preferisce allontanarsi, di chi è capace di «guardare negli occhi chi soffre, anche senza dire una parola».

Per chi scrive e ha bisogno di comunicare le parole sono linfa vitale, «carne e sangue» (Flaubert), eppure pare che Deborah, che tra le tante cose ha scritto uno spettacolo dal titolo Nessuno mai potrà + udire la mia voce, tratto dal suo omonimo romanzo sul tema del femminicidio, qui raccontato in modo inedito, e ha aiutato molte persone a trovare le parole per far uscire le proprie emozioni, stia in questo momento riscoprendo un nuovo senso e valore del silenzio.

Silenzio non certo inteso come indifferenza o isolamento, ma come capacità di stare e sentirsi vicini nella sofferenza più profonda, anche senza bisogno di parlare.

Quando le domande e le paure che affollano la mente sono troppe e senza risposta, forse serve solo un abbraccio, un gesto, sapere prendere la mano di chi ci vuole bene, sapere trasmettere a chi ha bisogno di aiuto la sensazione di poter contare su di noi.

Ci sarà sempre qualcuno disposto a prendere sulle spalle anche un piccolo pezzo del dolore altrui per alleggerirlo da un carico troppo pesante da portare da soli…

 

«Nascita e morte punteggiano da sempre la pagina bianca della vita di ognuno di noi in un susseguirsi di momenti che la natura stessa ci mostra ogni giorno attraverso l’alba e il tramonto, […] per insegnarci a vivere nel giardino della vita e di cui, ognuno di noi, dovrebbe prendersi cura», scrive in Mille e più farfalle Roberta Manfredini, psicologa, psicoterapeuta, sessuologa clinica.

Ambra Giordano confessa che dopo aver scelto di interpretare Mille e più farfalle sa che ognuna di queste storie, in qualche modo, «abita una parte del mio cuore, e lì vi resterà per sempre. Non riesco più a guardare un’altalena vuota o il volo di una farfalla senza pensare a loro. Il loro vissuto abbraccia il mio, è uno scambio in cui si intrecciano lacrime e sorrisi, momenti magici e bui più neri». 

 

Non solo l’attrice ma chiunque legga il libro di Riccelli rimane stregato da immagini che risuonano e ritornano come un malinconico ma luminoso leitmotiv: l’altalena, gli oggetti magici, una monetina lanciata in aria, le mollette con le farfalle, e molto altro che connota magistralmente le bambine e le figure che ruotano loro intorno, principalmente donne e in particolare madri.

È un libro catartico, nel quale uno dei messaggi forti è che nonostante non esista un “libretto di istruzioni” per salvarci dal dolore, quest’ultimo «non va mai sprecato»: bisogna continuare a lottare per dare o ridare voce e, in alcuni casi, memoria a chi non ne ha più.

 

In attesa di vedere presto a teatro a Varigotti o Finale Ligure lo spettacolo di Deborah Riccelli, interpretato da Ambra Giordano, si può cominciare a volare insieme alle emozionanti, commosse, struggenti parole dell’autrice e delle sue «bimbe», leggendo il libro.

Un libro, in ultima analisi, sulla forza e sulla magia della creazione intesa in tutte le sue infinite sfumature, sulla forza vitale insista in ognuno di noi, sulla speranza e sulla resilienza. Sull’amore incondizionato, che è quanto di più potente, sublime ed eterno possa caratterizzare l’essere umano, e il solo che riesce a tras-portare anche chi è sull’orlo dell’abisso verso l’alto, donando la possibilità di rinascere “mille e più” volte.

 

 

 

Se diventi una farfalla

nessuno pensa più

a ciò che è stato

quando strisciavi per terra

e non volevi le ali.

Alda Merini

 

Chi ti ama c’è sempre, c’è prima di te, prima di conoscerti.

Margaret Mazzantini

 

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Lo spettacolo Mille e più farfalle verrà prossimamente organizzato in collaborazione con “Zonta Club” e Libreria Cento Fiori di Finale Ligure.

 

Il libro:

Deborah Riccelli, Mille e più farfalle. Racconti di vita breve, introduzione di Sabrina De Bastiani, interventi di Annalisa Cardone, Margherita Carlini, Roberta Manfredini, Bruno Morchio, ed. Erga, Genova 2018, pagg. 80, euro 10 (i ricavati delle vendite sostengono l’Unicef).

 

 

 

Chiara Pasetti

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