Cultura10 ottobre 2020 13:30

Parliamo di salute mentale

Oggi è la giornata mondiale della salute mentale (Mental Health Day). Nata nel 1992, ha lo scopo di sensibilizzare la popolazione su diverse tematiche legate alla salute mentale, all’importanza e alla necessità di preservarla e alle conseguenze a tutti i livelli delle malattie dell’anima (di Chiara Pasetti)

Camille Claudel, La Valse (o Les Valseurs), 1883-1891

Camille Claudel, La Valse (o Les Valseurs), 1883-1891

Mai come in questo momento si rende necessario un dialogo sulla salute mentale; la pandemia che da mesi stiamo vivendo ha avuto e avrà molteplici conseguenze non solo sul corpo ma anche sulla mente di tutti noi. Stanno aumentando di giorno in giorno le sindromi da stress, i suicidi, gli attacchi di panico, le condizioni depressive e molte altre malattie talvolta tanto invalidanti quanto quelle fisiche.

Insieme alle notizie sul numero dei morti e dei contagiati per covid, sulle misure di prevenzione e sulle normative in vigore, sarebbe importante ascoltare psichiatri e psicologi parlare dei rischi connessi all’isolamento, delle modalità per gestire la paura affinché non si trasformi in panico, di come prevenire o curare le tante dipendenze che una situazione come questa ha acuito; e ancora delle (enormi) ripercussioni a livello psicologico ed emotivo per chi sta perdendo il lavoro o lo ha già perso, per chi non sa che futuro avrà e per i giovani, i bambini e gli adolescenti soprattutto, a cui è stato lasciato in eredità un mondo malato, povero e crudele. Da curare, se siamo ancora in tempo.

Ci sono tanti modi per parlare di salute e malattia mentale. Ma bisogna parlarne. Tra questi ci sono senz’altro anche il cinema e il teatro, che possono far conoscere le storie di personaggi che hanno vissuto esistenze segnate dalla depressione, dalla schizofrenia, da nevrosi e psicosi più o meno gravi.

Chi scrive è sempre stato affascinato dal tema “arte e follia”, e più in generale genialità e follia, a partire dal primo anno di università e dalla lettura del celebre testo di Jaspers che indaga le figure di Van Gogh e Strindberg. 

Negli ultimi vent’anni i saggi dedicati agli artisti affetti da disturbi mentali si sono moltiplicati, così come gli studi critici e di medicina volti ad analizzare le opere in relazione al vissuto patologico di chi le ha realizzate, e viceversa.

Oggi, per la prima volta dopo i mesi del lockdown e oltre, torna in scena Moi, monologo sulla scultrice francese Camille Claudel (1864-1943), interpretato dall’attrice Lisa Galantini per la regia di Alberto Giusta.

Un lavoro che ha debuttato quattro anni fa presso l’ex ospedale psichiatrico di Quarto a Genova.

A lei sono stati dedicati dagli anni ’80 in avanti biografie, saggi, esposizioni, documentari e due film interpretati, il più recente, da Juliette Binoche, e quello del 1988 da Isabelle Adjani, con Gérard Depardieu nel ruolo del maestro-amante Auguste Rodin.

Non si vuole qui riprenderne la vicenda, già analizzata in diverse sedi, né anticipare ciò che si vedrà a teatro.

Nella giornata mondiale della salute mentale la figura di una grande artista, morta in manicomio nel 1943 dopo trent’anni di internamento (deciso dalla madre e dal fratello Paul, con la diagnosi di “deliri di persecuzione”), ci sembra possa ancora far riflettere molto, a più di quarant’anni dalla legge Basaglia, specie sull’importanza del contesto prima di tutto familiare e poi affettivo e sociale che circonda un malato psichico.

Chi avesse il desiderio di conoscere meglio Camille Claudel potrà vedere lo spettacolo stasera presso Spazio Kor ad Asti, nell’ambito della stagione Public 20/21 promossa dal Teatro di Dioniso, e soprattutto potrà ammirarne le opere presso il Musée Camille Claudel (che ha inaugurato nel 2017) e in altri musei non solo francesi.

Per non ripetere quanto già scritto in altre occasioni, si sceglie di riportare qui un incontro-dialogo immaginario tra Camille Claudel (indicata con la K. perché spesso nelle lettere si firmava Kmille, precorrendo forme di scrittura tipiche della nostra epoca) e un certo signor Karaphon (uno dei tanti soprannomi di uno scrittore al quale è stata attribuita una forma di epilessia, mentre quasi certamente si trattò di istero-epilessia).

In questo breve divertissement già pubblicato in un volume sulla scultrice sono evocati e citati anche altri autori tra cui Ibsen, Nietzsche e Kafka.

Nella realtà i due protagonisti di questo dialogo non si incontrarono mai.

Ma almeno nei sogni tutto è concesso.

Forse, tra gli intenti di chi lo ha scritto, c’era quello di regalare a Camille, seppur nella finzione, un momento di leggerezza e serenità, che tranne durante l’infanzia e la prima adolescenza non ha più potuto vivere, e anche farle incontrare un uomo, e che uomo!, che senza intenti seduttivi o comunque opportunistici ne cogliesse la personalità eccezionale e la bellezza prima di tutto interiore.

Qualcuno, insomma, che la facesse sentire compresa e meno sola… Ciò che tutti noi potremmo fare nei confronti di chiunque e specialmente nei confronti di chi soffre di una malattia, organica o psichica che sia.

Perché non ci si ammala e non si muore solo di malattie del corpo. E questo non è, purtroppo, un sogno, una pièce teatrale o una finzione ma una realtà quanto mai attuale, che insieme a quella del covid è necessario raccontare alle persone in tutta la sua verità e drammaticità.

 

Un valzer per Camille

K.   : - Perché, Mademoiselle, girate sempre tutta sola con un cranio di rinoceronte sotto braccio?

K.  : - Perché è particolare da studiare, Monsieur, ha una bella forma…

K.  : - Cakya-Mouini diceva che chi ha capito che il dolore viene dall’attaccamento si ritira nella solitudine come il rinoceronte. Lo avete letto?

K.  : - No, ma ho letto Kālidāsa. E l’ho amato. Ho fatto una scultura intitolata Sakountala.

K.  : - Davvero? Anch’io ho letto quella storia.

K : - Sul serio?

K. : - Sì, ma mi annoiava. È un po’ troppo sdolcinata. Funziona solo per corteggiare le donne! E dunque siete un’artista? Brutta razza! Sono tutti commedianti…

K. : - Non è vero! State dicendo una sciocchezza!

K.  : - Oh, ne ho dette tante! Non parlavo di voi, in ogni caso. Come siete egocentrica! Insomma, anche voi volete fare come i rinoceronti, vi ritirate nella solitudine aspettando la vostra morte?

K.  : - Ma io sono già morta. E ho sempre vissuto in solitudine.

K.  : - Non mi sembrate un fantasma a dire il vero, siete molto bella. Comunque anch’io ho vissuto sempre in solitudine, come sant’Antonio.

K.: - Il monaco della Tebaide?

K.: - Sì, proprio lui.

K.  : - Avevo letto un libro, La tentazione di sant’Antonio. Lo leggevamo tutti ai miei tempi. Che prosa! Il dialogo della morte e della lussuria era il più bello di tutti, secondo me, ma anche quello della sfinge e della chimera. C’era una frase, non so se la ricordo…

K.  : - Cerco profumi nuovi, fiori più grandi, piaceri non ancora provati…

K.  : - Ecco, è questa, la conoscete anche voi?

K.  : - Piuttosto bene in effetti… Perché siete vissuta in solitudine?

K.  : - Non lo so, volevo solo scolpire. Ma sono finita molto male. In manicomio! E voi?

K.  : - Mi dispiace. Io… Non lo so, volevo solo scrivere. E sono finito in tribunale!

K.  : - Sempre meglio di un manicomio.

K.  : - Avete ragione, ma dopo mi sono isolato ancora di più.

K.  : - Che orso…

K.  : - Esatto, un orso bianco! E non ho mai avuto figli.

K.  : - Nemmeno io. Forse un figlio non mi avrebbe abbandonata come hanno fatto tutti.

K.  : - Ora non pensateci. Cantiamo, vi va?

K.  : - Non so cantare, non capisco nulla di musica. So solo ballare.

K.  : - Non è vero, prima cantavate frou froula donna con la gonna… vi ho ascoltato per un po’.

K.  : - Quella canzone non mi è mai piaciuta. È stupida. Ma mi mette allegria perché non ho mai portato i pantaloni, io, solo gonne.

K.  : - Le gonne volano, bisogna stare attenti, si alzano al vento.

K.  : - Meglio, scoprono le forme!

K.  : - Le vostre sono belle…

K.  : - Anche le mie idee! Anzi di più!

K.  : - Non le conosco ancora, ma mi pare proprio di sì. Se non volete cantare fischiamo, come gli uccelli?

K.  : - Non sono capace. E non ho le ali…

K.  : - Oh, sì che le avete. Per questo avete sofferto. La vita grava su quelli che hanno le ali. Più grandi sono le ali, più doloroso è dispiegarle. I canarini in gabbia saltellano gioiosamente ma le aquile hanno un’aria cupa perché spezzano le loro penne contro le sbarre.

K.  : - Ma io non sono né un’aquila né un canarino!

K.  : - Mademoiselle, siamo tutti, più o meno, aquile o canarini, cocorite o avvoltoi. La dimensione di un’anima può essere misurata dalla sua sofferenza, così come viene calcolata la profondità di un fiume dalla sua corrente.

K.  : - Come parlate bene! Allora la mia anima è vastissima, perché ho molto sofferto.

K.  : - Ma ora siete libera, finalmente. Niente più sbarre.

K.  : - È vero.

K.  : - Potete volare come gli uccelli… e voi siete un uccello raro.

K.  : - Rara avis! Me lo aveva detto qualcuno.

K.  : - Un adulatore…

K.  : - Come tutti gli uomini. Come voi!

K.  : - Non voglio adularvi, solo conoscervi.

K.  : - Ricordo un’altra canzonetta, aspettate, come fa?

K.  : - Chi l’ha scritta?

K.  : - Non lo so, uno scrittore, uno che viveva al freddo.

K.  : - Tutti gli scrittori vivono fra i ghiacci e le alture. Respirano un’aria forte…

K. :  - Anch’io ho vissuto per anni al gelo. In ogni caso, qualcuno gli deve aver raccontato la mia storia e lui ha scritto una cosa ispirata a me.

     K. : -  Ma allora siete famosa!

     K. : - Oh, no, non io, Monsieur, l’altro.

K. : - Quale altro?

K. : - L’altro, il protagonista della storia… Ma non ricordo più il suo nome.

K. : - Si vede che non era così importante. La memoria sceglie.

K. : -  È strano però, io ricordo tutto. Forse era solo una visione, non un ricordo.

K. : - Può darsi. Conosco bene le visioni, soprattutto le allucinazioni. Sono malattie della memoria. Ma poi passano, con un po’ di forza di volontà se ne vanno.

K. : - Dite? Speriamo, perché a volte mi perseguitano.

K. : - Capita spesso quando si sta troppo da soli. Ora siete con me, state tranquilla. E la canzone allora, la ricordate?

K. : - Sì, credo di sì… Sono libera, libera, libera, dalla lunga prigione fuggita… Basta non ricordo altro.

K. : - È bellissima, e più gaia della mia.

K. : - Anche voi avete composto una canzone?

K. : - Non io, il mio cieco…

K. : - Non capisco.

K. : - Non importa.

K. : - È famosa?

K. : - Non mi risulta. Siete più famosa voi, se avete fatto delle statue. Quelle restano, la carta si rovina e può bruciare…

K. : - Anche le statue bruciano, fidatevi! Che strano, anch’io conoscevo un cieco che cantava sempre. Lo osservavo a lungo. Mi faceva un po’ paura.

K. : - Paura, come mai?

K. : - Perché non poteva vedere. Io avevo molta paura di perdere la vista.

K. : - Io invece temevo sempre di perdere la voce… Avevo paura di rimanere tutta la vita come un muto che vuole parlare e schiuma di rabbia.

K. : - Ma non avete perso la voce, è forte e tonante, sembra quella di un attore!

K. : - Come mi sarebbe piaciuto fare l’attore! Comunque nemmeno voi avete perso la vista, e avete due occhi splendidi, mi ricordano quelli di un’altra donna, bella e un po’ malinconica proprio come voi. I suoi erano blu, o neri, non ricordo…

K. : - La conosco?

K. : - Non è possibile, esiste solo nella mia mente, è totalmente inventata.

K. : - Meglio, così vivrà per sempre!

K. : - Chissà… E le vostre opere, dove si trovano ora?

K. : - In un museo, anzi in vari musei…  Sapete che sta per aprire un museo tutto per me!

K. : - Dove?

K. : - A Nogent sur Seine !

K. : - La mia famiglia aveva una casa in quella località.

K. : - Anche la mia! Ci ho abitato per un po’.

K. : - È il posto adatto per ricevere una buona educazione sentimentale…

K: - Per voi è stato così?

K: - No, la mia è avvenuta a Parigi.

K: - Anche la mia! Che coincidenza!

K: - Non credo nelle coincidenze. In verità io non credo in niente.

K. : - Nemmeno io, tranne che nei sogni.

K. : - Quelli sì che sono preziosi, ma bisogna essere capaci di sognare.

K. : - Voi ce l’avete un museo tutto per voi, Monsieur?

K. : - Certo, a Rouen… In rue de Lecat.

K: - E cosa si trova lì dentro?

K: - Ci hanno messo i miei ritratti, hanno ricopiato le mie frasi sulle scale… Divertente. Ma in verità è pieno di cose di mio padre e dei suoi colleghi. Era un medico. Anch’io, come voi, ho vissuto in un ospedale, in mezzo a tutte le miserie umane. E in pieno colera, tra l’altro.

K: - Brutta razza i medici, sono tutti imbecilli, con rispetto per vostro padre…

K: - Avete ragione, sono imbecilli quanto i filosofi! E qual è l’indirizzo del vostro museo, Mademoiselle? Vorrei visitarlo.

K. : - Aspettate, lo sapevo… Ah sì, è nella via di uno scrittore molto famoso, lo scrittore di Madame Bovary! Il mio museo si troverà in rue Gustave Flaubert.

K. : - Enorme!!! Scusate, non vi ho nemmeno chiesto come vi chiamate, Mademoiselle…

K. : - Mi chiamo Kmille. E voi, Monsieur?

K. : - Karaphon.

 K. : - Monsieur Karaphon, voi che siete tanto colto forse sapete dirmi perché quello scrittore, Flaubert, ha scritto che le artiste non possono che essere delle sgualdrine?!

K. : - Non credo fosse il suo pensiero, cara Mademoiselle Kmille, ma quello dei borghesi. Non prendete tutto sul personale! E poi certamente non ha mai conosciuto un’artista come voi…

K. : - Di nuovo mi state adulando. Non avete mai visto le mie statue!

K. : - Non è vero, io so vedere e soprattutto immaginare.

K. : - Beh, anch’io ho scritto una cosa che non sarebbe piaciuta a Gustave Flaubert.

K. : - Ah sì? E quale, se posso permettermi?

 K. : - Ho scritto che amo i poeti che non fanno versi. Ma era una frase ironica, e non ho mai conosciuto un poeta come lui…

K. : - Magari un giorno vi incontrerete!

K. : - Chissà… Non è così importante e magari non sarebbe felice di sapere che il mio museo è in una strada che porta il suo nome.

K. : - Io credo di sì. Credo sia proprio la strada giusta…

K. : - Se lo dite voi mi fido. Sappiate che io ho sempre diffidato di tutti.

K. : - Comincerò a credere nelle coincidenze se continuate a parlare…

K. : - Allora cantiamo, adesso mi va.

K. : - Avrei un’altra proposta. Che ne dite di ballare?

K. : - Io e voi? Insieme?

K. : - Perché no? Ma dovete lasciate giù il vostro rinoceronte!

K. : - E voi il vostro pappagallo!

K. : - Ah certo, mi ero dimenticato di Loulou!

K. : - Che cosa balliamo?

K. : - Che ne dite… di un valzer?

Si avvicinano, lui le prende la mano, si inchina, e insieme iniziano a ballare a ritmo di valzer. Lui canticchia dolcemente: “sovente un bel sole d’estate, fa le ragazze innamorate… un forte vento quel giorno soffiò, e il gonnellino se ne volò”… La gonna di K. ondeggia. Anche lei canta: “sono libera, libera libera…”. Un pappagallo verde impagliato e un teschio di rinoceronte li guardano danzare.

 

Odilon Redon, La Mort, da La Tentation de saint Antoine, III serie, 1896

 

***

 

Su Camille Claudel:

https://www.raiplayradio.it/audio/2018/10/WIKIRADIO---Camille-Claudel--b6ccb50f-6952-449f-b46f-38de0073cdfb.html

 

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2017/07/03/la-donna-che-pago-il-talento-con-la-liberta/3702615/

 

http://www.womenews.net/2017/02/01/mademoiselle-camille-claudel-e-moi-il-libro-di-chiara-pasetti/

 

Per qualsiasi chiarimento in merito al dialogo riportato: lanuovasavona@gmail.com

 

Chiara Pasetti

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