News19 novembre 2020 11:44

Turbine che vanno e che vengono

La notizia arriva da Genova: “Ha una sigla GT36 ma per tutti, dentro e fuori la fabbrica è Monte Bianco" (di Franco Astengo)

Turbine che vanno e che vengono

"Così come la vetta più alta, la megaturbina a gas appena completata da Ansaldo Energia dentro allo stabilimento di Cornigliano è la più grande mai realizzata fino ad oggi in Italia, la più potente, quella con le migliori prestazioni e con il minor impatto ambientale. Ora andrà all’imbarco e attenderà la nave incaricata di trasportarla dal Tirreno all’Adriatico fino alla destinazione finale, la centrale Edison di Porto Marghera”.

La lettura di questa notizia (Repubblica, pagine di Genova, 18 novembre 2020) ci riporta indietro nel tempo, al pensiero delle occasioni perdute dall’industria savonese, allo scambio con la speculazione edilizia, allo sciupio di know-how e di aree industriali, di declino della Città e del suo comprensorio.

L’utilizzo industriale rappresentava la vocazione delle aree un tempo occupate dalla vecchia Ilva e adesso parzialmente riempite dal Crescent ( in attesa del Crescent 2): si era tanto discusso, in tempi non sospetti, di innovazione tecnologica e di riconversione industriale.

Il campo di iniziativa doveva essere proprio quello della grande componentistica, tenendo assieme – proprio nel settore dell’elettromeccanica – la grande tradizione e competenza accumulata dalle nostre parti, con l’attracco diretto al mare: accanto alla componentistica elettromeccanica poteva essere affiancata quella per la logistica (furono costruire due grandi gru destinate ad Hong Kong: erano gli anni’80).

In quella direzione si registrò una difesa dell’uso industriale delle aree da parte delle ultime giunte guidate dal PCI (Marengo, Magliotto, Tortarolo), poi il cedimento all’impeto speculativo da parte degli eredi “post-moderni” di quella tradizione sotto la spinta di quelli che Luciano Angelini definì i “cavalieri bianchi” e l’avvio definitivo del declino non solo industriale ma nell’insieme della vocazione allo sviluppo.

Questa nota, però, non intende essere veicolo di nostalgia (circolava allora da parte dei “nuovisti” l’accusa di stare dalla parte della “ruggine”) anche se il rimpianto ci sta tutto: la melanconia delle occasioni perdute e di scelte profondamente sbagliate.

Oggi si tratta di recuperare un discorso di fondo: quello della necessità di possedere, da parte di chi amministrerà la cosa pubblica, una adeguata visione per il futuro, senza concedere più nulla alla miopia del “poco e subito”.

Il punto oggi risiede in una risposta da fornire a un interrogativo di fondo: come si inserisce il discorso riguardante una piccola città come la nostra in una situazione generale nella quale le misure adottate per contrastare l’emergenza sanitaria stanno provocando una tripla crisi economica, politica e civica e sta prendendo sempre più piede la tendenza all’utilizzo delle industrie digitali.

Si tratta di non ripetere le scelte mediocri che accompagnarono quel declino industriale cui si è accennato anche in questa occasione.

Come potrà stabilizzarsi la vita in una città di provincia come la nostra nel quadro di quella profonda modifica nei comportamenti che è già in atto: la struttura del consumo ha introiettato i rischi dell’interazione faccia a faccia; il lavoro si è digitalizzato avviando una disconnessione sia temporale, sia geografica di mansioni che producono un bene o un servizio dematerializzato, la mobilità delle persone sta subendo certamente una battuta d’arresto nell’idea del turismo di massa e modificandosi sia nell’interscambio interregionale, regionale, della stessa viabilità cittadina, i sistemi di regolamentazione subiranno delle trasformazioni e ci sono poche probabilità di ritorno al passato.

La vita umana che sembrava non avere prezzo ha dimostrato di averlo, eccome: turismo, ristorazione, trasporti, spettacolo, interi settori ne risentono in maniera decisiva rispetto al loro futuro possibile e la loro prospettiva subirà necessariamente modificazioni di fondo rispetto all’idea del consumismo modello avvio anni’2000.

Questo stato di cose si innesta nell’eredità negativa degli ultimi decenni della quale non si è ancora discusso abbastanza, sia sotto l’aspetto delle implicanze di carattere generale sia al riguardo del peso sulla nostra specificità territoriale.

La notizia arrivata da “Genova matrigna”, capace ancora di costruire megaturbine, è importante perché dimostra come, nonostante tutto, sia ancora viva e possibile l’idea di un futuro non legato all’apparenza contingente della quotidianità di una facile speculazione.

Franco Astengo

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