News21 febbraio 2020 09:15

Ribellarsi è giusto, deprimersi no

Paolo Ferrero a Savona: ciascuno è solo con la sua rabbia e la sua impotenza finché non si inizia a lottare insieme. Col centrosinistra? Neppure un caffè. Ma un altro ’69 può essere davanti a noi, e l’esempio è a pochi chilometri da qui

Ribellarsi è giusto, deprimersi no

È un libro di cui c’era bisogno, quello che il vicepresidente del partito della Sinistra europea, già Ministro della solidarietà sociale ed ex segretario di Rifondazione Comunista ha presentato ieri alla Ubik.

Ce n’era bisogno non solo per il titolo evocativo,“quando gli operai rovesciarono il mondo”: un titolo strepitoso perché ciò che è stato può ripetersi, e se questo vale per gli orrori della storia vale anche per le conquiste del ’69.

Ce n’era bisogno perché ci ricorda quello che siamo stati e ci suggerisce quello che di nuovo possiamo essere: un popolo che combatte per i suoi diritti contro le diseguaglianze e il lavoro (mal)trattato come merce da poco, contro lo sfruttamento e le morti bianche.

Ci son voluti quarant’anni per smontare pezzo dopo pezzo le conquiste di quell’anno, oggetto di accurata rimozione storica perché nessuno ha ritenuto conveniente ricordarlo: non le classi dominanti padronali, non il sindacato, neppure il PCI che spesso si trovò sopravanzato dal movimento studentesco e operaio. Non certo infine le forze che diedero vita, in quel ’69 che si concluse con l’attentato di Piazza Fontana, alla strategia della tensione.

Eppure costruire un movimento di massa per il cambiamento sociale sarebbe ancora possibile. Anche oggi. Non per nulla il sottotitolo di “1969: quando gli operai hanno rovesciato il mondo” è “Sull'attualità dell'autunno caldo”.

Le lotte del ’69 costituirono un fenomeno che non fu solo italiano, ma mondiale: Ferrero racconta con dovizia di testimonianze le condizioni di sfruttamento, l’incuria verso la salute dei lavoratori (vera e propria carne da macello), la guerra tra poveri sapientemente aizzata tutti i giorni da capi e capetti. 

Condizioni che oggi ritroviamo pressoché identiche nel mondo del lavoro, ogni giorno più viscido e più iniquo. 

Il libro racconta anche, però, di come si passò dalla struttura gerarchico - mafiosa nelle aziende, dove non era prevista la solidarietà e neppure i rapporti sociali, alla costruzione di una comunità operaia consapevole e coesa.

E lì si deve arrivare, di nuovo: perché è l’immaginario della penuria, di un Paese che ci viene raccontato perennemente alla canna del gas che porta alla guerra tra poveri, cominciando dal “prima gli italiani” per arrivare al “prima io”. 

Il problema principale sembra dunque quello di ritrovare un “noi”, per riconquistare diritti, tutele e stato sociale: ma il cosiddetto centrosinistra che dei diritti dei lavoratori ha fatto strage non sembra in grado di dare risposte in tal senso ed è cruda la sintesi di Ferrero: “per me col centrosinistra non si può prendere neppure un caffè”. 

In compenso, per trovare un esempio di protesta efficace, non dobbiamo andare molto lontano dall’Italia.

La narrazione sui gilet gialli e sugli scioperi che da più di un anno scuotono la Francia non convince Ferrero, che ha voluto vedere coi suoi occhi: e della Francia ha visitato in questi mesi ogni rotonda, ogni angolo di strada. Osservando che se esponenti di ogni partito occupano una via, tutti però danno lo stesso volantino. 

Perché le conquiste che si vogliono ottenere sono le stesse per tutti: si tratti di una legge più giusta sulle pensioni, delle case popolari o di scongiurare le privatizzazioni.

Insomma una sorta di associazione temporanea di scopo, che non ha la sua base su un’estrema destra pericolosa e violenta come vorrebbe la versione mediatica ufficiale. 

E se a dirci questo è Paolo Ferrero ci sembra proprio di poterci fidare.

L’invito insomma è rivoluzionario nella sua semplicità: ci vogliono depressi e rassegnati? Facciamoci trovare insieme, lasciando le tastiere dove ciascuno sfoga in solitudine le proprie frustrazioni per unirsi anche solo su un argomento: un inizio possibile per sentirsi comunità. Ancora.

LNS

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