“Mi pare fosse il 2005” ricorda Molinari, che ora si dedica prevalentemente alla regia ma allora lavorava a Matrix con Enrico Mentana.
Possibile, perché Maradona in quell’anno tornava in Italia per l’addio al calcio dell’amico Ciro Ferrara.
Il campione aveva superato da poco un periodo difficile: nel 2004 era finito in rianimazione, a Buenos Aires, per infarto e overdose da cocaina.
E proprio per dimenticare la sua amica peggiore, la bianca polvere che avvelenò il suo corpo e la sua mente gettandolo negli abissi più pericolosi, il Pibe de Oro era poi andato a disintossicarsi nella Cuba di Fidel Castro.
Dopo qualche mese, eccolo di ritorno in Italia.
“Ero con la troupe a Fiumicino, ad aspettarlo” ricorda Molinari; “poi finalmente si è aperta la porta scorrevole ed ecco uscire Maradona, con dietro un drappello di accompagnatori.”
Come stava?
“Appariva in discreta forma. Gli sono andato sotto con la troupe e gli ho chiesto del suo rapporto con la cocaina.
Non ha voluto rispondermi, ha continuato a camminare: però poi, una volta fuori dall’aeroporto, mi ha avvicinato e mi ha tirato un calcio, o meglio un calcio - sgambetto sulla caviglia.
Delicatamente però, da fuoriclasse.”
Ti ha fatto male?
“Non molto, poi nel trambusto della cronaca son cose che capitano”.
Il caratterino del campione è noto da sempre. Eppure tutti ci affanniamo a spiegare perché lo ricordiamo con tanto sentimento nonostante i suoi molti guai, sapendo che in fondo la risposta è solo una: con Maradona se n’è andato un pezzo della giovinezza di tutti noi.
Quella palla incredibile gettata in rete dopo aver scartato un’intera squadra di calcio, portiere incluso, è rimasta impressa a fuoco nella storia del pallone.
E la storia del pallone, da noi, è anche la storia di un Paese.
Come cantava l’immortale Gaber,
E l'Italia giocava alle carte
E parlava di calcio nei bar.