Certo la reputazione di Arcuri è un po’ ammaccata, se non altro da quei 1.282 contatti telefonici - tra chiamate e messaggi - che tra il 2 gennaio e il 5 maggio 2020 il commissario ha avuto con Mario Benotti, successivamente indagato per traffico di influenze con l’aggravante transnazionale: sarà l’inchiesta della Procura di Roma sulla provvigione milionaria per l’acquisto di mascherine da alcune società cinesi a stabilire se Arcuri fu parte lesa o se invece ha delle responsabilità, e quali.
Ma a convincere la maggior parte di noi dell’eccessivo carico sulle spalle del commissario sarebbe stata sufficiente l’inchiesta giornalistica, a partire dal Dataroom di Milena Gabanelli dal titolo inequivocabile “Domenico Arcuri, tutti gli errori del commissario Covid: quanto ha speso e cos’ha comprato”(trovate il link al fondo).
Se nella prima parte dell’epidemia tutti i Paesi erano disposti a pagare oro per le mascherine, a settembre forse si sarebbe potuto evitare di sborsare l’incredibile cifra di 1,05 euro cadauna per le stesse mascherine che l’azienda ospedaliera «Ospedali riuniti Marche Nord» di Pesaro ha pagato 37 centesimi. Meno della metà.
Mario Draghi, che evidentemente queste cose le sapeva anche prima, non è arrivato spalancando a calci la porta del saloon e gettando fuori Arcuri tra un rotear di pistole come suggeriva Salvini: fedele allo stile comunicativo ipersobrio che lo contraddistingue da sempre, ha parlato solo bene di tutti e soprattutto ha parlato poco.
Se abbiamo inteso la strategia, Arcuri sarà lasciato al suo posto ma gli verranno sfilate di mano, una dopo l’altra, tutte le partite più importanti.
Nessuno spargimento di sangue, insomma, ma il manager di Melito di Porto Salvo (Reggio Calabria) non sarà più il Papa dell’emergenza, né industriale - per l’Ilva dovrà vedersela anche con Giorgetti - né sanitaria: Draghi ieri ha chiarito che le vaccinazioni si faranno nei parcheggi dei centri commerciali e nelle stazioni ferroviarie, lasciando gl’inutili padiglioni primula nei sogni del commissario e occupandosi dell’emergenza vera che non è costruir padiglioni ma costruir vaccini.
Infatti i pacchi - gentilmente definiti “ritardi” - delle aziende produttrici all’Europa stanno incrinando non poco le speranze di un rapido ritorno alla vita, e ci vorrà una grande abilità diplomatica e un grande peso internazionale per riuscire a intervenire con la necessaria forza. Una forza e un prestigio che a Mario Draghi non mancano mentre il nostro commissario ne è lievemente carente.