Lettere alla Nuova01 gennaio 2023 15:57

Ospedale Galliera: la mia esperienza

Dodici ore su una barella senza acqua né cibo e senza la possibilità di caricare la batteria del telefono per poter avvisare i parenti

Ospedale Galliera: la mia esperienza

"Mi chiamo Luca Nanfria e sono un delegato dell’Unione Sindacale di Base. Il giorno 21 dicembre sono stato costretto a richiedere l’intervento dell’ambulanza per problematiche di salute che in quel momento non credevo essere gravi ma sicuramente meritevoli di una visita al Pronto Soccorso".

"Chiamo il 118 e avverto subito della mia positività al Covid. Arriva il milite dell’ambulanza in casa. Nessuno lo aveva avvisato della mia positività e lo invito a mettersi subito la FFP2 a salvaguardia della sua incolumità (suppongo qualcuno debba ancora lavorare, a distanza di 3 anni dall’inizio della pandemia su quelle che sono le basi per la tutela dei lavoratori inerenti il rischio biologico).

Per ragioni anche di vicinanza a casa chiedo di essere accompagnato a San Martino per forti dolori al fianco destro ma il milite (o infermiere, mi spiace non poter essere più preciso) mi comunica, con mio stupore, che hanno ordine di inviare tutti i pazienti positivi al Galliera. E sono pronto a testimoniare in ogni sede quanto mi è stato riferito.

Arrivo al PS del Galliera e, effettuata la rilevazione dei parametri vitali, mi viene assegnato il codice azzurro che, come da attuali normative prevede una presa in carico entro un’ora dall’arrivo in PS.

Personalmente credo che “la presa in carico” non si limiti alla rilevazione dei parametri vitali ma all’inizio delle prestazioni mediche dovute al caso. In realtà, dalle 7 del mattino sono stato, al di là di alcune rilevazioni dei parametri vitali e di una visita di un chirurgo dopo, se non erro, 8 ore, letteralmente abbandonato su una barella senza alcuna indicazione su come potessi comportarmi.

Senza acqua, cibo o motivazione medica per cui non potessi eventualmente assumerne. Inoltre non era presente neanche una spina per il telefono per poter ricaricare il cellulare e poter avvisare i miei famigliari di ciò che stesse accadendo. Tutto questo dalle 7 del mattino fino alle 19, orario in cui sono stato trasferito in reparto.

Pertanto, causa la mia positività al Covid sono stato collocato, con dolori molto forti,  in un angolo del tendone del pretriage, diviso da “grottesche paratie” dal resto dell’utenza senza che potessi comunicare neanche con gli operatori a meno  non intravedessi qualche persona avvicinarsi e chiedere aiuto.

Nella maniera più assoluta non intendo accusare alcun operatore di tutto questo ma un’organizzazione a dir poco imbarazzante (il giorno stesso non mi sarei limitato a definirla in questo modo).

Successivamente sono stato ricoverato 10 gg in 3 reparti differenti e dimesso successivamente a intervento chirurgico. Mi ha colpito la professionalità dei vari operatori che ho visto avvicendarsi e nel reparto Covid mi permetto di utilizzare il termine “amore” con cui venivano assistiti gli anziani ricoverati che ho visto  letteralmente “coccolare”. Commovente.

Nei diversi reparti ho potuto notare la promiscuità ovvero l’essere ricoverati uomini e donne nelle stesse camere con bagni in comune che non si chiudevano e con pochi separè.

Ho voluto scrivere questa mia breve esperienza personale per affermare ancora una volta che sia i cittadini che i lavoratori non si meritano questa gestione della “res publica” da parte di politici e dirigenti che, evidentemente per fortuna loro non si sono mai ritrovati in questo stato di necessità e per invitare i Consiglieri Regionali, come da loro diritto a visitare i nostri ospedali ed a farlo senza preavviso."

Luca Nanfria



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