Cultura15 agosto 2020 09:15

Savona vista da Maupassant

In occasione dei 170 anni di nascita dell’autore di Bel Ami (di Chiara Pasetti)

Savona vista da Maupassant

Ieri, venerdì 14 agosto, all’interno della rassegna “Passioni estive” di Varigotti, rimandata per l’emergenza sanitaria, avrebbe dovuto debuttare come secondo evento in programma la lettura teatrale intitolata Il discepolo dedicata a Guy de Maupassant, nato centosettant’anni fa, il 5 agosto del 1850.

Lo scrittore morì a soli quarantatré anni di neuro-sifilide.

Il monologo, concepito da chi scrive, liberamente tratto dai suoi testi e da quelli di Gustave Flaubert, ha tra i suoi intenti quello di svelare alcuni suoi lati meno conosciuti e di raccontare il profondo legame che unì «il caro discepolo» e il maestro, di cui nel 2021 si festeggerà il bicentenario di nascita.

Se è indubbio che il «gigante normanno» (Flaubert) ebbe su Guy un’influenza determinante a partire dagli anni della giovinezza, in cui il padre di Madame Bovary lo guidò e incoraggiò dapprima nella sua inclinazione per la poesia e successivamente invitandolo a scrivere «un’opera di ampio respiro», ossia un testo in prosa, che ne avrebbe sancito il talento e lo status di scrittore, è pur vero che il discepolo seppe trovare, come auspicava il maestro, «una maniera originale di vedere e di sentire» e dunque di percorre una strada letteraria del tutto personale in cui brillano, insieme ai romanzi, agli articoli e ai resoconti di viaggio, gli oltre trecento racconti.

Alcuni di essi sono dei capolavori di rara finezza psicologica in cui in poche pagine Maupassant riesce a tratteggiare perfettamente il carattere dei suoi personaggi e si concentra su tematiche quali la derisione della borghesia e della società del progresso, l’attenzione nei confronti degli umili, delle prostitute, degli emarginati. Prevale inoltre l’indagine dei sentimenti umani e il tema della paura, dell’ignoto, del perturbante, che percorre molti dei suoi testi rendendoli non solo attuali bensì eterni.

Maupassant e Flaubert si conobbero quando il primo era ancora adolescente.

Non si dimentichi che Guy era il figlio della più cara amica d’infanzia di Flaubert, Laure Le Poittevin, sorella di Alfred, scomparso prematuramente nel 1848. Flaubert rimase legato al ricordo di Alfred, «il più filosofo dei miei amici», fino alla fine della sua vita e gli dedicò la sola versione de La Tentazione di sant’Antonio che uscì interamente in volume molti anni dopo la stesura della prima (venne pubblicata nel 1874).

Un omaggio che è segno indelebile di quanto le loro chiacchierate «elevate» gli mancassero e dell’affetto che nutrì per lo zio di Maupassant, e un omaggio anche ai suoi libri e al suo pensiero, enigmatico e intriso di filosofia specialmente orientale. Sicuramente un gesto che testimonia quanto la loro amicizia sia stata fondamentale e, come ammette Guy stesso, sia stata anche «uno dei motivi più profondi del tenero attaccamento» che Flaubert sentì da subito nei confronti del giovane che scriveva poesie e più avanti si lamentava per il suo impiego presso il Ministero, il quale gli toglieva molto tempo alla letteratura e gli impediva di trovare l’ispirazione.

È doveroso sottolineare che Maupassant, a differenza di Flaubert, il quale aveva rinunciato a tutto per la scrittura poiché convinto che qualsiasi passatempo, e soprattutto una relazione sentimentale, lo distraessero troppo dalla sua «sacrosanta letteratura», benché fosse simile al maestro sotto molti aspetti e relativamente a una comune visione pessimista del mondo, era tuttavia molto diverso sul piano delle abitudini e del tempo libero.

Aveva infatti due passioni che considerava irrinunciabili: le donne e il canottaggio.

Era un viveur e un abile canottiere: passava ore a vogare nella Senna.

Il suo amore per l’acqua e per il mare lo portò ad acquistare una grande barca a vela, che chiamò “Bel Ami II”.

Flaubert, che odiava qualsiasi tipo di movimento e di fatica fisica, e riteneva che le donne fossero «muse» pericolose e troppo ingombranti per la buona riuscita di un’opera, lo rimproverava spesso a tal proposito.

È celebre una lettera del 1878 in cui scrive al «giovane lubrico»:

«Arrivo a sospettare che siate un po’ fannullone. Bisogna, giovanotto, lavorare più di così. Troppe puttane! Troppo canottaggio! Troppi esercizi! Sissignore! L’uomo civilizzato non ha bisogno della locomozione come pretendono i medici! Siete nato per fare dei versi, fatene! La vostra salute si troverà bene nel seguire la vostra vocazione. Un po’ di orgoglio, santo Dio! Ciò che vi manca sono i princìpi… Tutti dicono che sono necessari: dipende da quali! Per un artista ve ne è uno solo: sacrificare tutto all’Arte».

Nonostante Guy ascoltasse sempre con grande attenzione, rispetto e stima il suo «caro maestro» non gli era possibile seguire i suoi consigli quando si trattava dell’amato sport e delle donne.

Con le parole di chi scrive, confessa nel monologo ancora non rappresentato:

Avevo bisogno di scivolare in acqua e nel corpo di una donna, di tante donne… Solo così mi sentivo felice, e mi veniva l’ispirazione per scrivere. Contemplare una distesa d’acqua immobile o increspata dalle onde e contemplare il corpo di una donna nuda, immobile o scossa dalla frenesia del piacere, mi faceva perdere in fantasticherie infinite, tristi, e mi faceva uscire dal mio povero piccolo io e penetrare nell’universo, nella creazione. Quando ero sazio di acqua e di passione, prendevo la penna e scrivevo. Ma poi la sete tornava. E io tornavo con rinnovato ardore a tuffarmi in acqua e nei seni di una donna.

(Da Il discepolo).

 

Nel 1889, quasi dieci anni dopo la morte di Flaubert, che lo gettò in uno stato di prostrazione intensa e segnò la fine della scrittura in versi in nome della prosa, Guy intraprese uno dei suoi tanti viaggi, in quella occasione in Italia a bordo del suo panfilo.

Lasciò Parigi e la Francia perché «annoiato alla Tour Eiffel, che non solo si vede dappertutto ma si trova dappertutto, fatta di tutti i materiali possibili, esposta in ogni vetrina… Incubo inevitabile e ossessionante».

Sbarcò a Porto San Maurizio e visitò diverse località.

La sua descrizione della città di Genova «vista dal mare» (che verrà celebrata un secolo dopo nella splendida canzone di Ivano Fossati Chi guarda Genova), è insieme alle parole di Francesco Petrarca una delle più citate quando si parla degli autori del passato che hanno visitato e amato la Superba:

«Genova vista dal mare è una delle cose più belle che si possano vedere al mondo.
La città si innalza in fondo al golfo, come se uscisse dai flutti, ai piedi della montagna. Lungo le due coste che si arrotondano intorno a lei per racchiuderla, proteggerla e accarezzarla, vi sono quindici cittadine, serve e vassalle, che riflettono nell’acqua le case dai colori chiari. […] Sopra al suo immenso porto, Genova si stende sui primi mammelloni delle Alpi, che si innalzano dietro, curvi e allungati in una gigantesca muraglia. Sul molo, la torre alta e quadrata del faro, detto “la Lanterna”, sembra una candela smisurata».

Molto meno nota, invece, la descrizione, forse ancora più suggestiva, che fornisce della città di Savona, estremamente interessante, tra le altre cose, per quanto riguarda i tableaux urbani del luogo, le sue abitudini e la moda nonché gli atteggiamenti delle sue abitanti.

Ne riportiamo uno stralcio (trad. inedita di chi scrive) dove si rivela ancora una volta la sua notevole abilità pittorica. Sorprendente notare quanto taluni paesaggi e atmosfere, da allora ad oggi, non siano mutati di molto.

Le pagine di Maupassant dedicate alle città di Savona e di Genova restano tra le più belle de La vie errante (éd. Paul Ollendorff, 1890) da cui sono tratte e tradotte.

 

«Entriamo nel porto di Savona.

Una selva di ciminiere di fabbriche e di fonderie, che alimentano ogni giorno quattro o cinque bastimenti a vapore inglesi carichi di carbone, vomita in cielo, attraverso bocche gigantesche, tortuose volute di fumo, che ricadono sulla città sotto forma di fuliggine, che la brezza trasporta di quartiere in quartiere, come una neve infernale.

Rematori e canottieri, se volete conservare immacolate le vele bianche delle vostre piccole imbarcazioni, non entrate in questo porto!

Nonostante ciò Savona è una città aggraziata, molto italiana, con strade strette e allegre, piene di venditori in movimento, di frutti sistemati per terra, di pomodori scarlatti, di zucche rotonde, di uva nera, bianca, trasparente, che sembra aver bevuto la luce, di insalata verde mondata in fretta e le cui foglie, gettate di fretta sul selciato, danno l’impressione di una città invasa dai giardini.

[…]

La notte tornai in città.

Un’eco di musica mi attirava e mi ha indotto ad attraversarla interamente.

[C’era  un] concerto serale, che l’orchestra municipale organizza due o tre volte alla settimana.

Tali orchestre, in questa terra di musicisti, valgono, anche nelle piccole città, quelle dei nostri teatri importanti.

Le onde pesanti, malgrado il vento fosse calato del tutto, trascinavano lunga la riva il loro rumore monotono e regolare che ritmava il canto vivo degli strumenti; e il firmamento viola, di un viola quasi luccicante, dorato dall’infinita polvere degli astri, lasciava cadere su di noi una notte scura e leggera. Copriva con le sue tenebre trasparenti la folla silenziosa, appena sussurrante, che camminava a passi lenti intorno al cerchio dei musicisti o era seduta sulle panche della passeggiata, su delle grosse pietre abbandonate qua e là in spiaggia, su enormi travi distese a terra accanto all’alta carcassa di legno di una grande nave in costruzione, lungo i suoi fianchi non ancora chiusi.

Non so se le donne di Savona siano belle, ma so che la sera passeggiano quasi tutte a capo scoperto e tutte con un ventaglio in mano. Era affascinante scorgere questo muto battito d’ali prigioniere, ali bianche, punteggiate o nere, frementi come grandi farfalle notturne tenute tra le dita.

Ritrovavo, in ogni donna incontrata, nei gruppi che camminavano o erano fermi, un movimento leggero, veloce, clandestino, simile al flebile sforzo delle foglie dondolanti che sembrano rinfrescare l’aria della sera mischiandovi qualcosa di civettuolo, di femminile, di dolce da respirare per il petto di un uomo.

Ed ecco che in mezzo alle palpitazioni dei ventagli, di tutte le capigliature nude intorno a me, mi sono messo a sognare follemente come nei ricordi dei racconti di fate, come facevo in collegio, nel dormitorio ghiacciato, prima di addormentarmi, pensando al romanzo divorato di nascosto sotto la scrivania. Talvolta, nel profondo del mio cuore invecchiato, avvelenato di disincanto, si risveglia per qualche istante il piccolo cuore ingenuo del ragazzino che fui».

 

Il mare e le donne, l’amore per la natura e per il gentil sesso si intrecciano in una pagina commossa, di rara intensità, che prende spunto dalla sua visita a Savona.

Una delle prime prove poetiche importanti di Maupassant, che gli valse l’accusa di «oltraggio alla morale» (per la quale intervenne Flaubert riuscendo a ottenere un’istanza di non luogo a procedere) era dedicata ad un amore appassionato e sensuale del narratore e di una lavandaia Au bord de l’eau (è il titolo del lungo componimento in versi uscito sotto pseudonimo nel 1876).

Guy nacque vicino a Dieppe e crebbe tra le falesie di Étretat e Fécamp, davanti al canale della Manica; portò sempre l’amore per l’acqua nelle vene (come, del resto, Flaubert).

Inevitabile che la Liguria gli piacque moltissimo, con le sue città festose e al contempo malinconiche, la sua arte e la sua storia, il suo mare azzurro decisamente più caldo di quello del Nord e delle acque della Senna in cui era solito bagnarsi, e con le bellissime donne italiane.

 

Flaubert stesso, durante il suo primo viaggio in Italia nella primavera del 1845, fermandosi anch’egli a Savona era rimasto coinvolto in una processione con un corteo musicale: «ghirlande di fiori sospese a delle pertiche vanno da una parte all’altra della strada - canti, musicisti, violini, un contrabbasso -».

Della Superba dirà: «di tutto ciò che ho visto in Italia, la cosa più bella è Genova».

 

Anche in questo sentire comune relativamente alla meravigliosa regione della Liguria, così spesso e da tempo maltratta, e alla città di Savona in particolare, le cui strade all’epoca dei due grandi scrittori risuonavano di canti e musiche, erano un tripudio di fiori e di mercati, di colori e di vita, e ora invece sono piuttosto silenziose e cupe, con (troppe) serrande chiuse e intere zone abbandonate, Maupassant, e prima ancora Flaubert, si dimostrano non solo acuti e sensibili pittori di paesaggi e di sentimenti, ma ci consegnano ritratti di città splendide che attualmente non sarebbe possibile dipingere con queste sfumature.

 

Nell’attesa che le città liguri, e italiane tutte, tornino a onorare l’arte, la musica, la natura, la cultura e la bellezza (in senso lato, non solo quella femminile tanto amata da Maupassant) di cui sono ricche, auguriamo buon ferragosto a tutti.

… Possibilmente, ci si perdoni il consiglio, non in discoteca, dove non si onora proprio nulla, soprattutto adesso.

 

Fate attenzione alla tristezza. È un vizio. Ci si crogiola nel dolore e quando è passato, dato che sono state spese energie preziose, si resta spossati.

Allora sopraggiungono i rimpianti, ma ormai è tardi.  

Gustave Flaubert a Guy de Maupassant, agosto 1878

 

***

La lettura teatrale Il discepolo, dedicata a Guy de Maupassant, debutterà, ci auguriamo, entro l’anno. In scena Lisa Galantini.

 

Di recente uscita la biografia romanzata Cette petite crapule de Maupassant, di Arne Ulbricht, trad. di Elisabeth Willenz, Les éditions du Sonneur: https://www.actualitte.com/video/arne-ulbricht-presente-cette-petite-crapule-de-maupassant/100980

 

Tra i tantissimi testi dedicati a Maupassant, si consiglia l’ottimo Maupassant e “l’Altro” del 1975 di Alberto Savinio, ed. Adelphi.

 

 

Chiara Pasetti

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