“Se Sanremo è più importante della cultura allora questo paese è perso per sempre.
Se non si capisce quale è il valore prioritario della cultura e si favoriscono le kermesse mediatiche vuol dire che questo paese sarà sempre un paese miserabile, e non crescerà mai” dichiarava Ovadia all’Adnkronos due giorni fa, aggiungendo “Se tu non dai una ragione concreta sul perché chiudi un luogo (il teatro) che è sicuro dal punto di vista sanitario si vede che tagliare con l'accetta ti fa più comodo. In Italia cultura e istruzione dovrebbero essere, insieme a Stato sociale e sanità, i primi quattro punti dell'agenda politica.
Tutta la cultura è considerata il fanalino di coda del paese, invece è quella che crea l'identità della comunità nazionale. Gli addetti allo spettacolo dal vivo sono 500mila e con le loro famiglie sono più di due milioni di persone e anche loro devono vivere.
Tutti pensano che ci siano solo gli attori famosi ma non è così, bisogna considerare la cultura per quello che è: un bene primario, il pane della salute sociale e della salute di una comunità nazionale.
Tutto questo è assurdo e le ragioni sono sicuramente poco nobili”.
Da qui la corsa ai ripari: il pubblico ci sarà ma sarà di figuranti (chissà poi perché debba esserci per forza: tutti i programmi TV vengon fatti senza pubblico da ormai un anno), niente più nave, niente set fuori dall’Ariston, ridotto il parterre per la stampa.
Gli esperti approvano.
E non si saprà mai cosa sarebbe successo senza l’alzata di scudi di un regista e attore tra i più noti in Italia.
Perché Sanremo è Sanremo.
Per sapere chi siano tutti gli altri basta rivedere il marchese del Grillo.