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Era giovane, era bella, era sorridente ed era madre. 

Ma Luana D’Orazio non è morta per nessuno di questi motivi.

È morta in fabbrica, schiacciata da un macchinario, come tanti prima di lei e, temiamo, come tanti dopo di lei.

Perché le lacrime versate per l’ennesimo lutto sul lavoro, seppur sincere, non cambiano le cose. 

E se spetta solo alla magistratura indagare sul rispetto di quella sicurezza che in Italia è così tanto normata eppur così spesso elusa o insufficiente, a noi spetta chiamar le cose col proprio nome, risparmiandoci e risparmiandovi la retorica da Istituto Luce sulla giovane madre morta. 

Il blog Caduti sul lavoro - aperto il 1° gennaio 2008 da Carlo Soricelli in memoria dei sette operai della Thyssenkrupp di Torino morti poche settimane prima - ci informa che “dall’inizio dell’anno al 4 maggio ci sono stati 224 morti su luoghi di lavoro, 57 ad Aprile, 450 con i morti sulle strade e in itinere.

Già 50 gli agricoltori schiacciati dal trattore nel 2021.

88 i medici morti per coronavirus nel 2021 (358 totali dall’inizio epidemia), 80 gli infermieri in servizio. Il 70% dei lavoratori morti per infortuni sul lavoro da coronavirus sono donne”.

Questo è.

Altro che resilienza.