L’ennesima rissa in darsena, scoppiata sabato notte a quanto si apprende per un’incomprensione tra due fidanzatini quindicenni, riporta l’attenzione sul luogo che la nostra città ha destinato alla movida: un posto dove tra tanti esercenti come si deve si nutrono alcuni improvvisati “imprenditori” che non permettono agli scrupoli di turbare il loro sonno ma in compenso impediscono senza trepidazioni quello altrui, come ben sanno i residenti che più volte hanno firmato esposti e incontrato le autorità cittadine, lamentando che la stessa musica che viene sparata a volumi folli tra le case dà l’idea ad avventori e passanti di una no man’s land in cui tutto è permesso.
Il fenomeno delle baby gang, che è noto e purtroppo iperattivo in tutta la provincia da Varazze fino all’entroterra, è materia su cui inascoltati eserciti di psicologi hanno dato l’allarme in tempi non sospetti, prima del covid e dei lockdown.
Atti di autolesionismo, tentativi di suicidio, dipendenze sono poi cresciuti in maniera direttamente proporzionale all’indifferenza del mondo adulto per una generazione che viene sempre dopo l’emergenza del momento, sia il covid o la crisi o la guerra.
Prendersela con le famiglie assenti - come fa la maggior parte dei commentatori social - non basterà, come non basta affidarsi a una repressione di tipo poliziesco che pure è, allo stato dei fatti, necessaria. Proprio un agente della muncipale infatti - che per fortuna sabato era presente in porto all’esplosione della scintilla rissaiola - ha evitato che lo scontro degenerasse.
Ma le forze dell’ordine non stanno in porto tutta la notte. Entro l’anno dovrebbero aggiungersi all’organico della municipale 18 agenti, e speriamo che questo porterà a un servizio sulle 24 ore.
Un problema però rimane. Tra i cartelloni affissi sui muri della nostra città, risultato di un progetto sui giovani dopo la pandemia, ce n’è uno che recita: “Non mettete mai in conto che siamo persone”.
Savona non è il Bronx, ma di certo anche con questo, come comunità, dovremo fare i conti.