News29 maggio 2025 17:38

Quarant'anni dall'Heysel: io c'ero

Oramai tutti hanno scritto di tutto su quel maledetto 29 maggio di quarant'anni fa, quando per una partita di calcio, seppur importante come è una finale di Coppa dei Campioni, morirono 39 persone e centinaia rimasero ferite (di Massimo Picone, testimone oculare)

Quarant'anni dall'Heysel: io c'ero

La nostra esperienza, come fu quella dello Juventus Club Savona, si può ancora raccontare senza lutti soprattutto per la grande intuizione dell’allora responsabile del sodalizio, Franco Traversa, scomparso da tempo.

Ebbene, lui rinunciò ad avere più biglietti per accedere a quel rottame di stadio quale era all’epoca l’Heysel di Bruxelles, pur di non avere contatti con le tifoserie inglesi del Liverpool.

Infatti, il club savonese ricevette solo una trentina o poco più di accessi ma questi erano tutti in Curva N, ovvero diagonalmente all’opposto della triste Curva Z dove avvenne la strage.

Noi fummo solo spettatori (paganti) di un fatto purtroppo indimenticabile.

Vedemmo, controluce, a quella latitudine il sole resta basso per lungo tempo al tramonto, la gara doveva iniziare alle 20,30, solo una nuvola di polvere elevarsi in cielo e non capimmo.

In quel tempo non c’erano i telefonini cellulari a informare in tempo reale di ciò che stava accadendo dall’altra parte dell’impianto sportivo.

Nessuno di noi si rese conto, finchè il campo non fu invaso dagli spettatori in fuga per la propria salvezza.

Allora ci si domandò a “catena” cosa stesse succedendo e cosa ci facevano sul tappeto verde centinaia di persone inseguite dai poliziotti a cavallo che volevano riportarli nuovamente nella loro zona di competenza.

Fu tutto una follia. Nel cuore dell’Europa mai ci saremmo aspettati uno stadio decadente, il “nostro” Bacigalupo a confronto è tuttora una perla.

L’Heysel aveva le curve con gradinate alte una quindicina di centimetri, impossibile sedersi, con un terrapieno contenuto da massi. Uno scandalo.

Tutti i savonesi furono così salvi, perché ospiti in vari settori, esclusa la famigerata Z.

La strage avvenne perché le forze dell’ordine belghe non furono minimamente in grado di prevenire e contenere ogni atto violento dalle migliaia di tifosi inglesi, quasi tutti ubriachi di birra.

Molti di loro erano senza biglietto, ma senza particolari sforzi abbatterono le porte di legno poste all’ingresso delle curve per far affluire il pubblico. Costiparono così la Curva Z e spinsero gli italiani contro il parapetto finchè questo crollò, il resto è storia.

Nel pullman da 55 posti che da Savona ci portò a Bruxelles, eravamo solo poco più di una trentina, proprio perché Traversa, come detto, rinunciò ad avere più biglietti per avere la sicurezza di essere allo stadio solo con nostri connazionali, senza dividere il settore con i britannici.

E la Curva Z fu separata dalle due tifoserie solo da una rete che normalmente si usa per recintare i pollai. Facile per gli hooligans buttarla giù ed “invadere” la porzione di stadio nella quale c’erano gli italiani.

Ricordiamo ancora bene un emigrato italiano in Belgio che, conoscendo bene l’impianto di Bruxelles, riuscì ad uscire dallo stadio per andare a telefonare alla famiglia per rassicurarla.

Al suo ritorno sugli spalti, ci disse che alla televisione parlavano di almeno cinque morti. Nessuno ci credette. Tutti noi gli rispondemmo in coro: “Impossibile, dài. Non esagerare”. Proprio così. Era incredibile pensare che per una partita di calcio ci potessero essere dei morti.

Purtroppo aveva torto, ma in difetto.

Ricordiamo ancora, prima della gara, in fila per entrare sugli spalti, il nervosismo dei poliziotti in sella a cavalli sudanti e con gli occhi fuori dalle orbite il cui impegno era quello di non essere disarcionati.

I cavalli. Ci volevano i blindati, altrochè cavalli.

E magari ci fosse stato il nostro Reparto Celere della polizia e dei carabinieri. Sicuramente il caso sarebbe stato contenuto.

Sono trascorsi 40 anni, ma ancora non dimentichiamo chi, anti juventino, al nostro ritorno a Savona, ci rinfacciava che il calcio di rigore che decise la partita (finita 1-0 con gol di Platini) non era tale perché il fallo su Boniek lanciato a rete avvenne fuori dall’area.

Era vero.

Ma davanti a 39 morti e centinaia di feriti, non avevi proprio altro da dire che il penalty assegnato alla Juve fu un regalo deciso dall’arbitro per far terminare la sfida al novantesimo. Ci mancavano ancora i supplementari a prolungare l’agonia.

Nel lungo viaggio di ritorno dalla capitale belga a Savona, pochi parlarono, il clima era solo quello dell’attesa per ricevere notizie fresche dai parenti. Nessuno pensava alla “conquista” della Coppa.

E ancora adesso, molti juventini rigettano quella vittoria. Gli Agnelli, allora una potenza anche in seno alla Uefa, dovevano restituire il trofeo all’Uefa e per il 1985, negli annali, doveva comparire la dicitura “non disputata”. Punto.  

Massimo Picone