Codici che, badate bene, non sembra siano utilizzabili per i farmaci a “ricetta rossa”, ovvero quelli ospedalieri.
In quel caso, devi comunque andare nello studio medico a ritirare le ricette, preparandoti a fare i conti con la segretaria che fa entrare uno per volta sbraitando che “non è più come prima” incurante dei notevoli assembramenti che vanno a crearsi su bui pianerottoli e scale sottostanti.
Non parliamo del malaugurato caso in cui il medico metta insieme nello stesso foglio una ricetta rossa e una non rossa: apriti cielo, non si sa come scaricarle e la permanenza in farmacia si prolunga alquanto.
Occhieggi gente a un metro di distanza che fa la coda per le mascherine magnanimamente distribuite dalla Regione e racconta “stiamo aspettando il risultato del secondo tampone” e speri con passione che l’attesa sia per un lontano parente (congiunto), sentito solo via telefono.
Per tutto il resto, ci sono i codici: cedi il tuo cellulare al farmacista con la tessera sanitaria del destinatario pensando finalmente, che bella cosa la tecnologia.
I codici però son tanti, perché la gente in Italia di medicine ne prende parecchie e inizi a scoprire un nuovo mondo: ma questo non l’avevamo chiesto! (invece c’è), e questo che mi serve dov’è? Non lo trovo, qui c’è un codice doppio, ah no aspetti che stampo, eccolo c’è anche lui.
Evviva.
Te ne vai con un farmaco in più che non ti serviva, ché altrimenti dovevi fare la rinuncia.
Lo metterai in frigo.
Insieme alla speranza che qualcosa, in questo Paese, un giorno cambierà.