Cultura21 novembre 2020 15:10

Non ho mai dimenticato i volti delle donne violentate

Isabelle Rome (e Séverine) per il 25 novembre (di Chiara Pasetti)

Isabelle Rome

Isabelle Rome

Studiando figure degne di nota del passato, spesso dimenticate o trascurate, talvolta si entra in contatto con persone autorevoli e coraggiose del presente.

Anni fa, analizzando la vicenda di Séverine (pseudonimo di Caroline Rémy), giornalista e scrittrice femminista e pacifista vissuta a cavallo tra Ottocento e Novecento, ho avuto la gioia e l’onore di conoscere Isabelle Rome, che nel 2009 ha organizzato la prima mostra a lei dedicata, Vie et combats d’une frondeuse (presentava dei lavis eseguiti dalla pittrice parigina Colette Deblé) nella cappella del Castello di Pierrefonds, proprio davanti alla casa dove Séverine ha trascorso gli ultimi venticinque anni della sua vita.

Storica dell’arte, studiosa di storia del giornalismo, critica letteraria? No, Isabelle Rome è giudice. A soli ventitré anni era «giudice dell’applicazione delle pene» a Lione. Nell’esercizio delle sue funzioni penali ha ricoperto vari incarichi, tra cui ricordiamo quelli di giudice presso la Corte d’Assise e di magistrato di sorveglianza presso la corte d’appello di Versailles, casa di reclusione femminile.

Anni fa ha fondato l’Associazione Femmes de libertés, il cui obiettivo è difendere la libertà di espressione delle donne di ogni condizione e origine e i valori di «libertà, uguaglianza e fratellanza».

 Tutto il suo percorso e i suoi libri testimoniano il suo impegno per i diritti delle donne e rivendicano valori repubblicani nella società civile e «una visione umanistica della giustizia».

Uno dei suoi testi più importanti, Dans une prison de femmes. Une juge en immersion (che reca la prefazione dell’avvocato e politico francese Robert Badinter, più volte ministro della Giustizia), è una testimonianza sulla condizione delle detenute e degli agenti penitenziari del carcere di Versailles scritta dopo aver ottenuto l’autorizzazione a «scendere in immersione», ossia a recarsi settimanalmente per un anno «dietro le sbarre» per dialogare con le prigioniere.

Isabelle Rome non si è mai fermata: «più determinata che mai» ha continuato a lottare contro la violenza sulle donne e a favore dell’uguaglianza.

 Dal mese di giugno del 2018 è stata infatti nominata Alto Funzionario della Parità di Genere presso il Ministero della Giustizia. È la prima donna a occupare questo incarico a tempo pieno.

Tra le sue missioni quella di favorire l’accesso delle donne ai vertici professionali, di assicurare un miglior equilibrio vita privata/professionale, nonché di lottare contro gli stereotipi.

Grazie a lei il 7 marzo 2019 il Ministero della Giustizia francese ha pubblicato un primo monitoraggio della parità di genere ed è stato redatto e firmato un testo che si impegna a un linguaggio non sessista, adottato dall’insieme delle direzioni del Ministero, dall’Ispezione Generale della Giustizia, dalle quattro Scuole ministeriali e da numerose strutture (più di cento attualmente hanno sottoscritto volontariamente questo testo intitolato Égalité femmes-hommes: un engagement à tous les niveaux et sur l’ensemble des territoires, corredato da Texte d’engagement pour une parole non-sexiste).

Attualmente Isabelle coordina anche un piano di azione per la lotta alla violenza domestica.

In occasione della giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne del 25 novembre pubblichiamo un estratto del suo ultimo lavoro per ora inedito in Italia, intitolato Liberté, égalité, survie (ed. Stock, uscito a maggio di quest’anno); tratta il tema della violenza contro le donne e il femminicidio, presentando le parole stesse delle donne vittime di violenza e riflettendo sugli stereotipi legati a entrambi i sessi.

Per continuare a parlare di violenza, a combatterla, a prevenirla, per aiutare le vittime e le loro famiglie a trovare il coraggio di denunciare ogni forma di prevaricazione, ingiustizia e violenza stessa.

Per far capire alle donne e a tutti che si può «uscire dalla penombra», e il diritto e la giustizia possono e devono essere gli alleati di questa lotta per estirpare un crimine indegno di ogni civiltà.

Ha affermato Isabelle Rome in un recente webinar a cui ha partecipato, organizzato da Labor Network (Il lavoro femminile verso la fase 3: diritti e pari opportunità):

 «È necessario, senza sosta e ovunque, infondere la cultura dell’uguaglianza e agire in modo che essa possa davvero esistere. Sostenere, diffondere e promuovere la cultura dell’uguaglianza passa attraverso la formazione, la sensibilizzazione delle persone e il confronto continuo con esse.

Operare per l’uguaglianza nella società significa anche e soprattutto lottare contro la violenza.

Finché ci saranno donne uccise, picchiate, violentate dagli uomini non si potrà mai parlare davvero di uguaglianza. Bisogna educare i nostri figli a una cultura dell’uguaglianza, crescerli tendando di non riprodurre gli stereotipi che rinchiudono donne e uomini in rappresentazioni che contribuiscono alla persistenza di un modello di dominazione/sottomissione, ma insegnando loro il rispetto dell’altro e la fratellanza.

Allora forse un giorno le nostre figlie non saranno vittima dei nostri figli, loro compagni.

È una battaglia che dobbiamo portare avanti dal cuore di tutta la società».

 

Séverine ritratta da Colette Deblé

 

Da Liberté, égalité, survie di Isabelle Rome

(trad. di chi scrive)

 

[1]Nel 2018 nell’ambito della coppia le morti violente sono state una su cinque nel territorio nazionale, ossia 149 persone delle 785 decedute a causa di un omicidio, o in seguito alle violenze. […] Nel 2017 sono state deposte 112000 querele da parte delle vittime di violenze commesse dal proprio partner, praticamente una querela su due di quelle registrate per violenze volontarie.

Si ricorda inoltre che nel 2018 ventuno bambini hanno perso la vita in seguito a un omicidio commesso all’interno della famiglia.

Le violenze volontarie vengono dunque esercitate una volta su due nella sfera privata, tra due persone che si amano o che si sono amate! La coppia o la famiglia, una delle basi dell’architettura della vita sociale, invece di essere un rifugio per tutti di fronte alla condizioni esterne, non sempre favorevoli, diventano un luogo di pericolo.

Per il loro numero, che non accenna a diminuire, e perché attentano alla società nelle sue fondamenta, le violenze coniugali sono pertanto un fenomeno che va trattato come un flagello.

Un’altra realtà, inoltre, va messa a fuoco: l’ottantotto per cento delle vittime di violenze commesse dal partner, registrate dai servizi di polizia e di gendarmeria, sono di sesso femminile.

Nel 2018, l’ottantuno per cento delle vittime di omicidi coniugali sono donne, ossia 121 su 149 morti a causa dello stesso crimine.

Su 31 donne omicide, 15 di esse erano state vittime di violenza da parte del proprio compagno: significa il 48,4%.

Senza occultare l’esistenza e la gravità degli omicidi e delle violenze commessi dalle donne nei riguardi degli uomini, è evidente che crimini di questo genere sono esercitati in modo molto maggiore contro le donne.

Secondo Quentin Wodon : «la violenza contro le donne e le ragazze è un’epidemia mondiale che mette in pericolo la loro vita e ha delle conseguenze pesantissime non solo sulle dirette interessate  ma anche sui loro figli e sulla loro comunità».

 

[2]La violenza perpetrata all’interno della coppia fa esplodere il nucleo familiare e avvelena silenziosamente il patto sociale… Se la si vuole davvero sradicare è necessario derogare ad alcune pratiche nel funzionamento istituzionale, fare tabula rasa di ogni cliché ancestrale sui rapporti tra congiunti e assumersi alcuni rischi, al solo scopo di salvare la vita di una donna. […]

Se le leggi possono, effettivamente, contribuire a formare i costumi e il carattere di una nazione, aiutando a far sì che evolva lo spirito generale di quest’ultima, già Montesquieu, il grande filosofo illuminista, esortava a «non cambiare i costumi e le maniere attraverso la legge, ma attraverso altri costumi e altre maniere».

La lotta contro le violenze in seno alla coppia non può dunque essere condotta soltanto da una metà dell’umanità – le donne – né dar luogo a una guerra tra i sessi. Deve essere una lotta delle donne E[3] degli uomini.

Alcuni tra loro sono stati precursori in questo senso [Condorcet, per esempio, citato dall’autrice in un capitolo precedente], altri si impegnano con tutte le loro forze per questa causa.

Deve unirci una volontà condivisa di uguaglianza, un desiderio congiunto di costruire nuovi modelli e reinventare un nuovo modo di essere rispetto all’altro, forti di un’etica della responsabilità che comporti un impegno di tutte e tutti, donne e uomini, per il futuro dei nostri figli».

 

Nell’intervento realizzato sul web di recente, Isabelle chiude con parole commosse e commoventi:

Avendo presieduto numerose Corti d’assise e avendo dovuto giudicare fatti di estrema gravità, non ho mai dimenticato i volti delle donne violentate, sedute sui banchi delle parti civili. E non ho dimenticato i volti che ho potuto vedere solo in fotografia, perché era troppo tardi… È per loro che porto avanti questa battaglia.

Crederò per sempre nella fratellanza, che dona respiro all’uguaglianza e potenza alla libertà.

 

E noi chiudiamo con le parole ancora così drammaticamente attuali di Séverine, scritte alla fine dell’Ottocento, nella speranza che si continui a parlare di diritti dell’umanità, di uguaglianza e di violenza contro le donne, fisica e psicologica, non solo in occasione del 25 novembre.

 

«Non ci si deve ingannare: i tre quarti dei marcantoni che uccidono la propria moglie non hanno per nessun motivo la scusa della gelosia, il pretesto della passione. […] Urbi et orbi, nella propria patria, la donna resta sotto le regole del proprio padrone; l’imposizione le è marchiata in fronte, e se la sua fuga viene scoperta il marito può, con l’aiuto di un gendarme, farla condannare all’ergastolo – senza alcun problema! – al pari di una ladra o di una criminale qualsiasi. […]

Questo atteggiamento si riallaccia all’autorità paterna, alla benignità dei castighi che colpiscono i parenti carnefici o i mariti accoltellatori. È l’eredità della vecchia legislazione romana: il potere illimitato del capo famiglia sui propri cari, il bambino proprietà del padre, la donna proprietà dello sposo! Ecco la parola magica che sfugge: proprietà! […] Passione! Si fa presto a dire così! […] Ci si può amare, certo, anche da sposati… e pure teneramente! Ma nel momento in cui la repulsione o l’odio si mettono in mezzo non restano, all’interno del matrimonio, che un padrone e una schiava: quest’ultima non è altro che una cosa, il bene dell’altro!

 Furore d’amante?! Assolutamente no! Violenza di proprietario che è stato leso, frustrato – e che si è vendicato!».

(Séverine, «Tueurs de femmes», 1896, in Vie et combats d’une frondeuse, a cura di Evelyne Le Garrec, pref. di Isabelle Rome, post. di Bernard Noël, L’Archipel, 2009, trad. di chi scrive).

 

 

 

***

 

Per ascoltare l’intervento di Isabelle Rome al webinar organizzato da Labor Network il 12 novembre, insieme agli interventi di Livia Spera, Segretaria generale ad interim presso ETF e del Giudice della Corte di Cassazione Sezione Lavoro Nicola De Marinis, moderati dagli avvocati Ligia Munerati e Giuseppe Colucci:

https://www.facebook.com/labornetwork/videos/378126580188033/?vh=e&d=n

 

Per approfondire:

Isabelle Rome, Dans une prison de femmes. Une juge en immersion, préface de Robert Badinter, Éditions du Moment, 2014.

Isabelle Rome, Vous êtes naïve, Madame le Juge, ed. du Moment, 2012.

In Italia è appena uscito l’ottimo lavoro di Stefania Prandi, Le conseguenze. I femminicidi e lo sguardo di chi resta, ed. Settenove, un’inchiesta che dà voce ai familiari delle vittime di femminicidio. Se ne è parlato ieri a Radio Tre Fahrenheit (da 01.07.00):

https://www.raiplayradio.it/audio/2020/11/FAHRENHEIT-Contro-i-crimini-del-Nazismo-75-anni-da-Norimberga-03a0b113-6604-4ce7-8183-45b8b9b26c97.html

 

http://www.noidonne.org/articoli/femminicidi-lettera-aperta-a-giornaliste-e-giornalisti.php

 

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2017/03/07/fu-la-regina-della-stampa-non-chiamatela-femminista/3435671/

 


[1] Dal capitolo In nome dell’uguaglianza

[2] Dal capitolo Violenza di genere, grandi principi repubblicani e protezione efficace delle vittime

[3] In stampatello nel testo

 

Chiara Pasetti

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