News28 gennaio 2021 18:43

Rom e sinti, una persecuzione che continua

L’Assemblea Antifascista e Antirazzista di Villapiana aderisce all’appello lanciato da diversi cittadini savonesi solidali con la comunità sinti sotto sgombero

Rom e sinti, una persecuzione che continua

Rilanciamo il comunicato che è stato pubblicato da alcuni giornali online.

Approfittiamo della ricorrenza della Giornata della Memoria, per ricordare con uno scritto lo sterminio subito anche dalle popolazioni rom e sinti durante il nazismo.

L'APPELLO SULLO SGOMBERO

In questi giorni l’amministrazione comunale di Savona sta dimostrando la sua vera natura politica dedicandosi a scontri interni squisitamente pre-elettorali e atteggiamenti discriminatori.

La comunità sinti di Savona, che paga anni di disinteressamento politico ed istituzionale, è presa nel mezzo di questo atteggiamento; su di essa si sta infatti consumando uno squallido balletto attraverso cui la destra savonese si sta affrontando in vista delle prossime elezioni amministrative.

Secondo queste forze è venuto il momento, per rincorrere un facile consenso elettorale, di provare in modo muscolare il potere e l’autorità amministrativa abbattendo alcune delle case della comunità. In questi giorni, infatti, alcune di esse dovranno essere demolite senza che si sia pensato a soluzioni alternative per i suoi abitanti, alcuni dei quali anziani o minori.

Premesso che è sempre un crimine privare una persona della propria casa, in questo periodo tale provvedimento appare ancora più grave. Non si può infatti non pensare al difficile momento socio-sanitario che tutto il mondo sta attraversando, nel quale ancora una volta sono i soggetti più deboli ed esposti a pagarne il prezzo più alto, ma anche perché ed è veramente difficile non riportarlo alla memoria, la privazione della casa e l’obbligo ad abbandonare affetti e ricordi riporta ad un passato che, troppo spesso, si crede ormai relegato ad immagini in bianco e nero o alla memoria di chi ha vissuto persecuzioni o allontanamenti coatti dalla propria casa e dalla propria famiglia.

L’amministrazione comunale ora è impegnata ad attuare un provvedimento di sgombero di alcune case del campo della Fontanassa senza pensare o proporre una valida alternativa abitativa a coloro i quali si troveranno distrutta, nelle prossime ore, la propria abitazione. Le case popolari, per le quali sono state regolarmente inoltrate le domande, non sono ancora disponibili in quanto necessitano di adeguati lavori e viene quindi spontaneo chiedersi dove potranno alloggiare le persone che si troveranno ad essere allontanate dal campo. Ma questo all’amministrazione comunale non importa e ciò la rende colpevole di aumentare la fragilità di persone già esposte a situazioni di difficoltà, aumentandone in modo esponenziale il disagio e la debolezza. Ciò tuttavia non stupisce considerando le basi ideologiche sulle quali fonda il suo agire politico, ma fa crescere la rabbia e l’indignazione di fronte ad un atto di violenza sostenuto da politiche che hanno un retroterra discorsivo e pratico composto da pregiudizi e stereotipi che deumanizzano e criminalizzano specifici gruppi sociali.

Per questi motivi la comunità della Fontanassa, costituita da persone, da esseri umani e non da meri oggetti, non deve essere lasciata sola in questo momento così delicato; occorre una concreta presa di posizione politica, sociale, umana e solidale per rivendicare il diritto all’abitare e per bloccare questo provvedimento che ha, come unico fondamento, quello di una raccolta di consensi attuata sulla base di un atto discriminatorio. È necessario che questo provvedimento venga sospeso, che venga riconosciuto nella sua pienezza questo fondamentale diritto e che le politiche pubbliche non siano foriere di discriminazioni. Per fare questo invitiamo tutte le forze politiche e sociali che lottano quotidianamente per affermare la libertà e i diritti di ogni individuo ad unirsi a questa lotta.


PORRAJMOS: UNA PERSECUZIONE CHE CONTINUA

 
«Il sentiero in discesa che comincia dalla negazione dell’uguaglianza tra gli uomini finisce fatalmente nella perdita della libertà e nel lager» (Primo Levi)
 
Per quasi mezzo secolo il Porrajmos, lo sterminio delle popolazioni Rom e Sinti, pianificato e attuato dal regime nazista, è stato rimosso dalla memoria collettiva ed ancora si ritiene che appartenga soltanto alla storia della Germania di Hitler, dimenticando che riguardò invece anche gli altri fascismi europei, incluso quello italiano.
Resta come un’ombra pesante sulla storia nazionale - come quella riguardante i genocidi coloniali in Libia e in Etiopia o i crimini commessi dalle truppe italiane in Spagna o nei Balcani - per taluni aspetti connesso alla persecuzione degli ebrei, ma allo stesso tempo con origini diverse seppure ugualmente remote nel tempo.
Questa persecuzione, costantemente affiancata da un apparato di leggende e pregiudizi contro gli “zingari”, destinato ad attraversare i secoli, in quanto ogni potere dominante non avrebbe mai smesso di ritenere un pericolo per gli assetti sociali costituiti l’esistenza di gruppi umani «vaganti» indifferenti verso i confini nazionali, refrattari a sottomettersi alle leggi vigenti e all’obbligo del lavoro subordinato.
Con un trascorso di preconcetti secolari e misure repressive, l’apice dell’oppressione anti-zingara in Italia fu senz’altro raggiunto sotto il regime fascista: inizialmente attraverso l’applicazione di misure di polizia già esistenti e di nuove norme in materia di ordine pubblico. In base al Testo unico di Pubblica Sicurezza, era infatti possibile colpirli con i provvedimenti – dall’ammonizione al confino – previsti nei confronti delle «persone socialmente pericolose» designate come tali «per voce pubblica» quali vagabondi, oziosi, mendicanti e soggetti esercitanti mestieri girovaghi.  
Successivamente, con le Leggi emanate nel 1938 il «problema zingaro» venne compreso nella politica di discriminazione razziale come appendice della «questione ebraica», registrando un ulteriore inasprimento nel corso della Seconda guerra mondiale e poi la diretta complicità con il sistema nazista durante la Repubblica di Salò.
Nel 1938, l’anno dell’introduzione in Italia delle Leggi «per la difesa della razza», fu precisato dall’antropologo di regime Guido Landra che «gli zingari costituiscono un problema importante, per quanto meno importante di quello ebraico», ma si registrarono le prime retate su vasta scala con l’internamento di famiglie “zingare” in alcune località di Abruzzo, Calabria e Sardegna.
Sia all’interno del Manifesto della Razza che nelle Leggi razziali, per l’identificazione del soggetto «zingaro», a differenza di quello «giudaico», non furono utilizzati criteri pseudoscientifici per dimostrarne l’inferiorità e la pericolosità, ma soltanto apparenze esteriori, come risulta anche dalle inconsistenti tesi di Renato Semizzi, professore di Medicina sociale a Trieste e firmatario del Manifesto della razza.
Con l’entrata in guerra dell’Italia nel 1940, il ministero dell’Interno Bocchini dispose il «rastrellamento e la concentrazione di zingari italiani e stranieri»; un’ulteriore circolare ministeriale venne emanata nel 1941, avente ancora per oggetto «l’internamento degli zingari italiani». Tale misura era stata anticipata sempre da Landra che, esplicitamente, aveva indicato come modello da seguire quello nazista, elaborato dall’Ufficio Politico Razziale del Partito Nazionalsocialista, che come primo passo portò – come per gli ebrei -  alla condanna di matrimoni “misti” con italiani.
Furono circa 50 i campi d’internamento istituiti in territorio italiano dove Rom e Sinti si trovarono rinchiusi assieme a antifascisti, ebrei, greci e slavi, come a Boiano (Campobasso) e Tossicia (Teramo), Prignano (Modena), Perdasdefogu (Nuoro), Ferramonti di Tarsia (Cosenza); ma almeno uno fu riservato agli “zingari” presso il convento di San Bernardino ad Agnone (Campobasso) dove, tra l’altro, i carabinieri si resero responsabili di violenza sessuale nei confronti delle internate.
Allo stato attuale degli studi, i Rom e Sinti italiani – oltre  a quelli deportati da Slovenia e Dalmazia - internati nei campi di concentramento italiani, furono non meno di seimila, dei quali circa mille vittime di violenze, denutrizione, malattie.
Un numero imprecisato venne invece trasferito nei lager nazisti, come nel caso di una ventina di deportati nel campo austriaco di Leckenback nel novembre 1941, in gran parte transitando per il famigerato campo di Gries a Bolzano.
Dopo l’8 settembre 1943, gli “zingari” poterono evadere da campi fascisti assieme ai prigionieri - perlopiù comunisti slavi e anarchici italiani - ancora trattenuti, trovando rifugio sulle montagne dove in alcuni casi si unirono alle formazioni partigiane combattendo nella Resistenza, anche se pure questa è ancora una pagina quasi ignorata.
Nel Giorno della Memoria, quella dei Sinti e dei Rom appare una storia non chiusa che ancora avvelena l'Europa, tra pregiudizi, propaganda razzista, sterilizzazioni forzate, sottrazione di figli, aggressioni, sgomberi di campi.

Una storia che accende in ogni persona consapevole l'opposizione – etica e sociale – ad ogni discriminazione e ai meccanismi politici ed economici che la fomentano e la sfruttano.

L'ASSEMBLEA ANTIFASCISTA E ANTIRAZZISTA DI VILLAPIANA

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