Il 26 febbraio del 1802 nasceva a Besançon lo scrittore, poeta, drammaturgo e politico Victor Hugo. Considerato il padre del Romanticismo francese, intrattenne rapporti con tutti i principali intellettuali, scrittori, artisti e personalità dell’epoca tra cui anche Gustave Flaubert, che nonostante avesse idee politiche e sociali spesso diametralmente opposte alle sue non mancò di manifestare in molte occasioni e nelle lettere la sua profonda ammirazione per «le grand homme».
A causa delle sue idee liberali Hugo fu costretto all’esilio nel 1851; rientrò in patria, accolto da una folla entusiasta che vedeva in lui il padre della repubblica restaurata, soltanto nel 1870, dopo la caduta di Napoleone III.
Di tutta la sua vastissima produzione l’opera più letta e conosciuta resta il romanzo Les Misérables del 1862, capolavoro destinato a diventare un pilastro della letteratura europea dell’Ottocento. La prima tiratura era già esaurita una settimana dopo la pubblicazione.
La storia di Jean Valjean conobbe due importanti fasi di redazione: la prima dal 1845, quando Hugo era stato nominato da Luigi Filippo Pari di Francia, al 1848, e la seconda dal 1860 al 1862, quando era ormai un proscritto repubblicano che aveva rifiutato di rientrare in patria nel momento in cui Napoleone III concedeva l’amnistia ai dissidenti politici.
Il grandioso affresco della società francese sotto la restaurazione e il regno di Luigi Filippo attraversa dunque le due metà del secolo, e le due metà della vita di un autore che sperimentò, trionfalmente, tutti i generi letterari: poesia, teatro e romanzo.
E in questo romanzo, inizialmente intitolato Misères, la volontà dell’autore, come si legge nella prefazione, è quella di denunciare l’esistenza di «inferni» in «piena civiltà».
In una lettera del 1853 scritta all’editore de Les Châtiments, egli già manifestava chiaramente i suoi obiettivi di uomo di lettere engagé:
«voglio seminare nei cuori, nel mezzo delle mie parole indignate, l’idea di un castigo che sia l’esatto contrario di una carneficina. Abbiate ben presente il mio scopo: clemenza implacabile».
La lettera che presentiamo, indirizzata all’editore italiano dei Miserabili, tradotta e pubblicata anche in Inghilterra nello stesso anno e utilizzata poi come postfazione all’edizione francese del 1881, è un vero e proprio manifesto poetico e politico che meglio di qualsiasi commento critico ci introduce al romanzo. E ci fa riflettere, in questo momento più che mai.
Hugo riprende e sviluppa con maggior incisività i contenuti e gli intenti già espressi nella prefazione e in altre opere, come L’ultimo giorno di un condannato a morte e Claude Gueux.
Attualissimi i temi: miseria, prostituzione, parassitismo, cure sanitarie. E ancora, abolizione della pena di morte, libertà dai dogmi, cultura e istruzione gratuita e obbligatoria come condizioni fondamentali di una società civile e giusta.
Molti anni prima, nel 1840, Hugo aveva definito il poeta
l’uomo delle utopie
I piedi qui, gli occhi altrove.
È lui che su ogni testa,
In ogni tempo, simile ai profeti,
Nella sua mano, in cui tutto può tenere,
Deve, che lo si insulti o lo si lodi,
Come una torcia che egli scuote,
Far fiammeggiare l’avvenire!
Stando a ciò che stiamo vivendo anche e soprattutto ora, non si può dire che si stato ascoltato… Certamente ci ha provato con tutto se stesso, fino alla morte avvenuta il 22 maggio del 1885 a Parigi.
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La lettera di seguito riportata è stata pubblicata per la prima volta alla fine del quinto volume della prima edizione italiana de I Miserabili, 10 volumi, G. Daelli editore, 1862-63.
Victor Hugo l’aveva terminata con queste parole:
«Se questa lettera vi sembra utile per rischiarare qualche mente e dissipare qualche pregiudizio, potete tranquillamente pubblicarla».
Dato che ci sembra oltremodo utile, anche se non sappiamo se gli intenti e le speranze espressi dallo scrittore si realizzeranno (mai?), la ripubblichiamo dopo tanti anni dalla prima uscita, con una nuova traduzione a cura di chi scrive: nonostante la sua datazione, pare scritta oggi… «nell’ora, così tetra ancora, della civilizzazione in cui ci troviamo».
Le Pendu, di Victor Hugo, 1854
LETTERA AL SIGNOR DAELLI
Editore della traduzione italiana dei Miserabili, a Milano
Hauteville-House, 18 ottobre 1862
Avete ragione, caro signore, quando mi dite che il libro I Miserabili è scritto per tutti i popoli.
Non so se tutti lo leggeranno, ma io l’ho scritto per tutti.
Si rivolge all’Inghilterra come alla Spagna, all’Italia come alla Francia, alla Germania come all’Irlanda, alle repubbliche che hanno degli schiavi quanto agli imperi che hanno dei servi.
I problemi sociali oltrepassano le frontiere. Le piaghe del genere umano, vaste piaghe che ricoprono il globo, non si fermano alle linee blu o rosse tracciate sul mappamondo.
Ovunque l’uomo ignori e disperi, ovunque la donna si venda per un po’ di pane, ovunque il bambino soffra per mancanza di un libro che lo ammaestri e di un focolare che lo riscaldi, il libro I Miserabili bussa alle loro porte e dice: Apritemi, vengo per voi.
Nell’ora, così tetra ancora, della civilizzazione in cui ci troviamo, il miserabile ha nome UOMO; agonizza in ogni clima, geme in tutte le lingue.
La vostra Italia non è meno esente dal male della nostra Francia. La vostra stupenda Italia ha sul proprio suolo tutte le miserie.
Non è forse vero che il banditismo, questa furiosa forma di pauperismo, abita le vostre montagne? Poche nazioni come l’Italia sono rose così profondamente dall’ulcera dei conventi, che ho cercato di sondare. D’accordo, avete Roma, Milano, Napoli, Palermo, Torino, Firenze, Siena, Pisa, Mantova, Bologna, Ferrara, Genova, Venezia, una storia eroica, rovine sublimi, monumenti magnifici, città superbe… ma siete, come noi, dei poveri.
Siete coperti di meraviglie e di teppaglia. Il sole italiano è certamente splendido ma, ahimè, l’azzurro del cielo non impedisce che l’uomo sia vestito di stracci.
Avete, come noi, pregiudizi, superstizioni, tirannie, fanatismi, leggi cieche che danno man forte a costumi ignoranti.
Non gustate nulla né del presente né del futuro senza che vi si mischi un retro gusto del passato. Avete un barbaro fra voi, il monaco, e un selvaggio, il lazzarone. La questione sociale è la stessa per voi come per noi. Da voi si muore un po’ meno di fame e un po’ più di febbre; la vostra igiene sociale non è migliore della nostra; le tenebre, protestanti in Inghilterra, sono cattoliche in Italia; ma, sotto nomi diversi, il vescovo è identico al bishop, e si tratta pur sempre di notte, e quasi della stessa specie. Spiegare male la Bibbia o comprendere male il Vangelo, non fa differenza.
È necessario andare avanti? È il caso di insistere, continuare ancora di più con questo lugubre parallelismo? Perché, non avete forse indigenti? Guardate in basso. Non avete forse parassiti ? Guardate in alto.
Questa orribile bilancia i cui due piatti, parassitismo e pauperismo, si trovano così dolorosamente in equilibrio, non oscilla forse davanti a voi come davanti a noi?
Dov’è la vostra armata di maestri di scuola, la sola armata che la civiltà ammetta?
Dove sono le vostre scuole gratuite e obbligatorie? Tutti quanti sanno leggere nella patria di Dante e Michelangelo? Avete forse trasformato le caserme in pritanei?
Non avete forse, come noi, un budget di guerra opulento e invece un budget di istruzione derisorio?
[…] Passiamo in esame il vostro ordinamento sociale, prendiamolo al punto in cui è e così com’è, vediamo il suo flagrante delitto; mostratemi la donna e il bambino. È dalla somma di protezione accordata a queste due creature deboli che si misura il livello di civiltà. La prostituzione è forse meno straziante a Napoli piuttosto che a Parigi? Qual è la quantità di verità che esce dalla vostre leggi e la quantità di giustizia che esce dai vostri tribunali? Avreste forse, per caso, la fortuna di ignorare il senso di queste cupe parole : vendetta pubblica, infamia legale, galera, forca, boia, pena di morte? […]
E poi, guardiamo la vostra ragion di stato… Avete forse un governo che comprende l’identità della morale e della politica? Siete persino arrivati ad amnistiare gli eroi! In Francia è successo qualcosa di più o meno simile.
Ora, passiamo in rivista le miserie, che ognuno porti qua il suo cumolo… siete ricchi quanto noi! Non avete forse, voi al pari di noi, due dannazioni, quella religiosa pronunciata dal prete, e quella sociale decretata dal giudice?!
O gran popolo d’Italia, sei simile al gran popolo di Francia.
Ahimè!, fratelli, siete, come noi, «dei Miserabili».
Dal profondo dell’ombra in cui ci troviamo tutti, sia voi che noi, non vedete più distintamente di noi le radiose e lontane porte dell’Eden.
Per riassumere… Questo libro, I Miserabili, è il vostro specchio non meno del nostro. Vi sono uomini e caste che vi si rivoltano contro, e lo capisco. Gli specchi dicono la verità, e per questo li si detesta, tuttavia ciò non impedisce che siano utili.
Quanto a me, ho scritto per tutti, con un profondo amore per il mio paese, ma senza preoccuparmi più della Francia che di un altro popolo. Più vado avanti in età più mi semplifico, e divengo sempre più patriota dell’umanità. Questa d’altronde è la tendenza del nostro tempo e la legge d’irradiamento della rivoluzione francese; i libri, per rispondere all’espandersi sempre più crescente della civiltà, devono smettere di essere esclusivamente francesi, italiani, tedeschi, spagnoli, inglesi, e diventare europei; ancor di più, devono diventare umani.
[…] In Francia alcuni critici mi hanno rimproverato, con mia grande gioia, di essere al di fuori di ciò che essi chiamano il gusto francese; vorrei tanto che questo elogio fosse meritato. Insomma, faccio quel che posso, soffro della sofferenza universale, e mi sforzo di alleviarla, non ho che le gracili forze di un uomo, e grido a tutti: aiutatemi!
[…] Lo ripeto, italiani o francesi, la miseria ci riguarda tutti. Da quando la storia scrive e la filosofia medita, la miseria è l’abito del genere umano; sarebbe venuto finalmente il momento di strappare questi cenci, e di rimpiazzare, sulle membra nude dell’Uomo-Popolo, il brandello sinistro del passato con il grande manto porpora dell’aurora.
Victor Hugo
(Nel video di febbraio del progetto “aspetto la fine” avremmo voluto inserire questa lettera, ma risultava troppo lunga in un corto e nello stesso tempo, data l’importanza degli argomenti trattati, effettuare dei tagli non ne avrebbe restituito il senso; si è dunque preferito pubblicarla. Il video di febbraio uscirà domani 28 febbraio, a sette anni dal primo disco di Achille Lauro, Achille Idol Immortale, di febbraio 2014).