Cultura21 dicembre 2022 15:29

Asor Rosa: l'operaista anti - Pasolini

E' scomparso Alberto Asor Rosa: termina così il suo lungo viaggio nella cultura e nella sinistra italiana iniziato a 23 anni nel 1956 firmando il Manifesto dei 101 avverso la posizione del PCI di sostegno alla repressione sovietica della rivolta ungherese. Fu allievo di Natalino Sapegno, aderente al marxismo e componente del gruppo operaista facente capo alla rivista "Quaderni Rossi" (di Franco Astengo)

Asor Rosa: l'operaista anti - Pasolini

L’esperienza operaista nasce ufficialmente nel ’61 con la pubblicazione del primo numero dei “Quaderni rossi”. Animatore della rivista è Raniero Panzieri, un esponente di spicco della sinistra socialista che, contrario alla prospettiva del centrosinistra sanzionata dal congresso del PSI nel ’59, abbandona gli incarichi direttivi nel partito e si trasferisce a Torino, dove lavora presso la casa editrice Einaudi come responsabile di una collana di scienze sociali.

Nella città simbolo dello sviluppo industriale italiano Panzieri avvia un lavoro di ricerca autonomo dai partiti riunendo un gruppo di giovani dissidenti della sinistra socialista e comunista, provenienti da diverse realtà geografiche, intorno ad un progetto di studio delle condizioni della classe operaia.

Il gruppo dei “Quaderni rossi” ha il merito di riscoprire testi di Marx largamente trascurati dalla tradizione marxista – la quarta sezione del I Libro del Capitale, il Frammento sulle macchine dei Grundrisse, il Capitolo VI inedito – e di applicare all’analisi delle trasformazioni di fabbrica i concetti marxiani di sussunzione formale e sussunzione reale del lavoro al capitale, di lavoro astratto, divisione del lavoro e scissione delle potenze mentali della produzione.

La nascita dei “Quaderni rossi”- punto d’approdo di diverse esperienze politiche e culturali, con radici nel “Politecnico” di Vittorini e nel laboratorio di Adriano Olivetti, nel socialismo di sinistra di Rodolfo Morandi e nel marxismo eterodosso di Galvano della Volpe – è uno degli esiti della mobilitazione di energie intellettuali e politiche provocata dalla crisi del ’56.  La denuncia dei crimini di Stalin al XX congresso del PCUS e le rivolte operaie in Polonia e in Ungheria delegittimano l’ortodossia marxista-leninista, favoriscono la ripresa di correnti comuniste libertarie, egualitarie, antiautoritarie. riaprono il dibattito sul socialismo e sullo statuto teorico del marxismo.

Nel PCI la strategia togliattiana della via italiana al socialismo e del partito nuovo, partito di massa radicato nella storia nazionale e nelle tradizioni popolari, che insegue l’alleanza con i ceti medi richiamandosi alla lotta antifascista e alla costruzione di una democrazia avanzata. Pur ribadendo il legame di fedeltà all’URSS, Togliatti conferma una linea improntata a realismo tattico, che elegge il terreno parlamentare ad ambito privilegiato di lotta, punta a consolidare il quadro costituzionale e a promuovere riforme di struttura. La strategia progressista, che postula una temporalità storica lineare e cumulativa, e la politica dei due tempi, che tende a riassorbire gli obiettivi socialisti in obiettivi democratici, si legittimano con il riferimento ai Quaderni del carcere di Gramsci, in particolare alle note sul Risorgimento.

Negli anni del boom economico e della crisi della rappresentanza sindacale il gruppo dei “Quaderni rossi” declina il marxismo come sociologia politica della classe operaia, anziché come storicismo realistico, e cerca una strategia adeguata al nuovo volto del capitalismo italiano attraverso un lavoro con il sindacato che vuole abbandonare il ruolo di cinghia di trasmissione del partito o dello Stato. L’ipotesi di una frattura tra i partiti di sinistra e la società trova una conferma nelle lotte dei primi anni ’60, a partire dal luglio di quell'anno e dalla cacciata in piazza del governo Tambroni.

Nel ’62 le lotte dei metalmeccanici per il rinnovo del contratto sfociano nella rivolta di Piazza Statuto. La diversa valutazione dei comportamenti operai è occasione di divisione per la redazione dei “Quaderni rossi” che viene abbandonata dal gruppo fondatore di “classe operaia”, la rivista di intervento nelle lotte diretta da Tronti.

Nel triennio di “classe operaia” (’64-’67) si definiscono alcuni dei tratti più caratterizzanti della corrente operaista: la concezione delle lotte come motore dello sviluppo capitalistico, la precedenza dei movimenti di classe rispetto ai movimenti del capitale, l’anteposizione della teoria della rivoluzione alla critica dell’economia, la celebrazione della soggettività e della parzialità della classe, l’atteggiamento cinico e spregiudicato nel rapporto con la tradizione storica, lo stile al contempo disincantato e visionario, realistico e profetico. Operai e capitale, il testo della rivoluzione copernicana di Tronti, è il manifesto unificante di una fisionomia teorica marcata, discontinua rispetto all’operaismo razionale o materialista dei “Quaderni rossi”, e rappresenta, secondo alcuni, il nucleo vero e proprio dell’operaismo.

Dopo la breve esperienza della rivista “Contropiano”, diretta proprio da Asor Rosa, negli anni ’70 la compagine operaista torna a dividersi in due linee di strategia politica e di ricerca teorica.

Tronti, Cacciari e Asor Rosa entrano nel PCI teorizzando lo spostamento del conflitto sul terreno statuale per consolidare sul piano istituzionale i nuovi rapporti di forza: poiché il capitale usa la manovra della crisi per impedire che allo sviluppo economico, innescato dalle lotte operaie, corrisponda un adeguato esito politico, la classe operaia tramite un partito relativamente autonomo deve farsi promotrice di un processo di modernizzazione. L’ipotesi è quella di un’alleanza dei produttori e di una nuova Nep, una gestione dell’economia capitalistica sotto la guida politica operaia che utilizzi la macchina statale per sconfiggere le arretratezze della società italiana, per promuovere la riforma dello Stato e rimettere in moto lo sviluppo.

Nel 1965 Asor Rosa pubblica "Scrittori e Popolo" un saggio che lo qualifica come l'Anti - Pasolini, in quanto individua nell'autore di "Ragazzi di Vita" il filone populista nella letteratura italiana.

Nel testo di "Scrittori e Popolo" Asor Rosa sostiene che molti aspetti delle vecchie stratificazioni sociali sono andati perduti, le élite intellettuali hanno perso il loro ruolo egemonico e al "popolo" si è sostituita la "massa". Sono di conseguenza cambiate le strutture primarie del sapere, della conoscenza e della creazione artistica e letteraria. Secondo l'autore l'ampia generazione di scrittori nati dopo il 1960 ha per lo più smesso di dialogare con la tradizione, rinchiudendosi in un atomismo individualistico. A questo paesaggio magmatico, l'autore ha poi cercato di dare ordine ed espressione in "Scrittori e massa" (pubblicato per Einaudi nel 2015). Rimanendo fedele a un metodo critico sempre attento all'individuazione di temi, linguaggi e forme, Asor Rosa isola ciò che non c'è più e ciò che è profondamente mutato, rintracciandolo nelle narrazioni di quegli scrittori che ancora vogliono e sanno raccontare il disagio del nostro tempo senza storia e identità.

Per Alberto Asor Rosa un lungo cammino nell'insegnamento della letteratura italiana (professore universitario alla Sapienza dal 1972) e nella sinistra, deputato, direttore di "Rinascita" nel momento della "svolta" occhettiana aderendo alla "terza posizione" tra il sì e il no proposta da Antonio Bassolino.

Rimangono di lui soprattutto il periodo dell'operaismo possibile alternativa non realizzata allo storicismo togliattian - gramsciana e la visione letteraria anti-populistica delineata - appunto - in Scrittori e Popolo.



Franco Astengo