L'obiettivo della riforma è quello di costituire la "Porti d'Italia s.p.a" affidandole "sviluppo e promozione" degli scali di rilevanza nazionale e internazionale.
La nuova legge (i cui prevedibili tempi di approvazione dovrebbero traguardare la prossima primavera) vuole creare una maxi-authority di diritto privato (ma a capitale pubblico) a cui demandare le decisioni riguardanti gli investimenti verso le principali infrastrutture marittime.
Porti d'Italia dovrà occuparsi anche dei rapporti tra lo Stato e le attuali Autorità Portuali.
La nuova società avrà un capitale iniziale di 500 milioni versati dal Ministero dell'Economia a cui spetterà il controllo finanziario di intesa.
La natura giuridica della società non vieta l'ingresso di capitali privati, aprendo così - come si accennava all'inizio - a una futura privatizzazione nella gestione dei porti.
Oltre alla manutenzione ordinaria e straordinaria l'authority avrà potere decisionale sulla costruzione di canali marittimi, dighe foranee di difesa, darsene, bacini, banchine e sui dragaggi.
Questi interventi pagati dallo Stato saranno realizzati in regime di concessione per la durata di 99 anni: la società però potrà anche svolgere in regime di mercato sia in Italia sia all'estero attività di progettazione e realizzazione di opere infrastrutturali attinenti alle attività marittime e portuali, nonchè la realizzazione di consulenze, studi, ricerche, servizi anche di ingegneria nel settore delle infrastrutture portuali.
Così di fatto la norma sposta l'asse verso un modello privatistico e di profitto: alle Autorità portuali resteranno le competenze sui porti di rilevanza regionale e il compito di redigere i piani regolatori. Appare evidente però il rischio di conflitto tra i diversi Enti.
Due punti appaiono di grande rilevanza e sui quali varrebbe la pena aprire un serrato confronto:
1) "Porti d'Italia" sarebbe esclusa dall'applicazione del decreto 175/2016 sulla razionalizzazione delle spese per le società a partecipazione pubblica;
2) Le infrastrutture portuali a interesse generale da realizzzare in via prioritaria non sarebbero assoggettate alla procedura di valutazione ambientale strategica (VAS): fondamentale per accertare l'erosione costiera provocata dalla costruzione di moli e banchine.
Ci troviamo di fronte a un progetto di svuotamento delle Autorità Portuali che rimarrebber private di competenze e risorse in nome di un presunto efficientamento.
In sostanza si tratta di un tentativo di modifica dell'attuale governance multilivello in nome dei binomio accentramento/privatizzazione.
Per il porto di Savona, già penalizzato dal meccanismo Genovacentrico imposto dalla legge del 2016, si tratterebbe di una ulteriore riduzione di autonomia che avverrebbe in un momento di estrema delicatezza nel rapporto con il territorio che necessita con grande urgenza di una profonda revisione infrastrutturale di uscita dall'isolamento e dalla esigenza di diversificazione nelle vie di traffico: soprattutto se si pensa a un quadro di progettualità industriale.
Ad esempio va rifiutata l'idea della Regione Liguria di ridurre la Valbormida a retroporto in una idea davvero ristretta del quadro logistico necessario verso il Nord-Ovest e dal punto di vista della trazione ferroviaria non è sufficiente il semplice raddoppio della linea Finale - Andora se non accompagnato da un rafforzamento della Savona - Torino e della Savona - Alessandria, quest'ultima linea rappresenta, infatti, il vero sbocco verso il cuore della logistica del Nord.











