Se infatti Autostrade per l’Italia ha aumentato i pedaggi del 64% in vent’anni, con ricavi che crescono a vista d’occhio, in compenso ha calato di brutto gli investimenti: e le concessioni tenute nascoste per vent’anni hanno causato “una area grigia caratterizzata da incertezza giuridica ed economica, con sacrificio dell’interesse generale a favore di quello privato”.
Concessioni affidate o prorogate senza gara, “con un vulnus ai principi europei e nazionali”.
E non solo:
“Numerose carenze di gestione sono state segnalate sulle tariffe, non regolate sulla base dei costi sostenuti; sul capitale, non remunerato con criteri trasparenti e di mercato, sull’accertamento periodico dell’allineamento delle tariffe ai costi; sui controlli degli investimenti attraverso la verifica delle manutenzioni”.
“La remunerazione del capitale impiegato risulta notevole”, con quasi sei miliardi l’anno di ricavi dai pedaggi, ricavi che crescono a botte di 1 miliardo in 5 anni come crescono gli utili netti: quasi 1, 6 miliardi l’anno.
E gli investimenti, anziché crescere di conseguenza, sono stati più che dimezzati in cinque anni.
Colpa della burocrazia, secondo i concessionari.
Fatto sta che negli ultimi dieci anni sono stati spesi 15 miliardi anziché i 21,7 previsti, con risultati che sono sotto gli occhi di tutti: un Paese con le infrastrutture a pezzi, non solo in senso figurato.
"La mancata apertura al mercato - si legge - ha ostacolato la risoluzione delle inefficienze del sistema evidenziatesi nel tempo, quali l’irrazionalità degli ambiti delle tratte, dei modelli tariffari, di molte clausole contrattuali particolarmente vantaggiose per i privati; d’altronde, l’aggiornamento e la modifica di un accordo, se non conveniente per entrambe le parti, risulta di difficile realizzazione".
Le clausole che garantiscono ad Aspi sostanziosi indennizzi in caso di revoca delle concessioni, in deroga al Codice degli Appalti e al Codice Civile determinano infatti, secondo la Corte dei Conti, un “assetto contrattuale asimmetrico che pone la parte pubblica in una posizione di debolezza” e rivela una “cedevolezza del contraente pubblico”, cioè dello Stato.
Una cedevolezza che abbiamo visto troppe volte, nelle scelte di uno Stato che mostra i muscoli solo ai deboli mentre è sempre pronto a inginocchiarsi ai potenti di turno.
Perché firmare contratti svantaggiosi per la propria parte? A pensar male si fa peccato, ma.
L'intera delibera è scaricabile QUI.