Cultura28 novembre 2020 14:35

La Bella e la Bestia

Camille Claudel e il suo rinoceronte in un’intervista a Mimmo Lombezzi per MOI 392 (di Chiara Pasetti)

Disegno: Mimmo Lombezzi

Disegno: Mimmo Lombezzi

Per chi avesse perso l’articolo di mercoledì 25 novembre, Giornata Internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, dedicato a MOI 392, il lungometraggio realizzato per la regia di Mario Molinari sulla scultrice Camille Claudel (1864-1943), riproponiamo oggi il trailer insieme ad un’intervista a Mimmo Lombezzi, autore dei disegni presenti nel film, e ad un estratto dal libro del 2016 Mademoiselle Camille Claudel e Moi, di chi scrive.

Trailer: 

Un esperimento cinematografico, MOI 392, condotto sullo stesso testo del monologo concepito per il teatro (dal solo titolo MOI), con Lisa Galantini che qui non è un volto né un corpo ma solo una voce. La voce di Camille.

Accanto a lei, le voci di Massimo Popolizio che interpreta Auguste Rodin e di Anna Bonaiuto che recita la lettera di condoglianze inviata a Paul Claudel il giorno successivo alla morte della sorella, il 20 ottobre del 1943, avvenuta dopo trent’anni di internamento in manicomio.

Questo lavoro è arricchito da filmati e fotografie fatti in alcuni ex manicomi italiani da Giacomo Doni, che in un altro momento intervisteremo perché da anni conduce un lavoro inedito e importante per ricostruire la memoria di quei luoghi, e appunto dai disegni di Mimmo Lombezzi (di cui si riporta in calce una breve nota biobibliografica).

Abbiamo rivolto a Lombezzi alcune domande su questo progetto e lo ringraziamo per la preziosa e generosa collaborazione, la sensibilità e la fiducia.

-       Mimmo, conoscevi la scultrice Camille Claudel prima di partecipare al progetto MOI 392?

No. Conoscevo solo alcune sculture di Auguste Rodin come Il Pensatore e mi è sempre rimasto in mente ciò che ne scrisse il Philosophe Itsuo Tsuda e cioè che, considerata la postura, soprattutto delle spalle, la statua rappresenta molto più un uomo d’azione (quello che Tsuda chiama tipo 5) che un Pensatore.

-       Che cosa ti ha colpito di più della sua storia (reale)?

Trent’anni in manicomio! Camille iniziò a lavorare la creta in un luogo chiamato Geyn: una brughiera di sabbia ed erica con un lago e una grotta misteriosa dove si dice che abbia vissuto una strega. Verrà trattata come una strega. La sua storia mi ha fatto pensare a una cantante che avevo incontrato a Mosca. Senza aver fatto nulla aveva passato 20 anni in un gulag vittima delle purghe “casuali” di Stalin. Quella di Camille è una storia terribile ma andrebbe spiegato quanto abbia pesato l’ostilità personale della madre – l’ha sepolta viva – e quanto la “punizione sociale“ del suo carattere indipendente. Un altro mistero è l’abbandono da parte del fratello con cui aveva condiviso l’infanzia e l’amore per l’arte.

-       Hai guardato le sue foto prima di disegnare il suo ritratto... Che donna pensi sia stata? Ritrovi la ragazza della foto di César degli anni ’80 dell’Ottocento nella foto di lei anziana, con le mani conserte sulle ginocchia, nel cortile del manicomio di Montdevergues?

Mi colpisce il fatto che la sua opera intrecci, profeticamente, due temi : la passione - le sue coppie di amanti, appaiono sempre travolte da un vento, come nell’immagine dantesca di Paolo e Francesca – e la vecchiaia : il corpo sconfitto dal tempo. La faccia di Clotho “anticipa” e assomiglia al volto di Camille “ridisegnato” da trent’anni di manicomio e di sofferenza.

-       Credi che questo esperimento cinematografico sia efficace per far conoscere questa straordinaria figura di donna, anche ai giovani?

È sicuramente una storia da film [su di lei sono stati fatti molti documentari e due film importanti: nel 1988 Camille Claudel, per la regia di Bruno Nuytten, in cui la scultrice ha assunto il volto di impareggiabile densità emotiva di Isabelle Adjiani, con Gérard Depardieu nel ruolo di Auguste Rodin, e nel 2013 Camille Claudel 1915, per la regia di Bruno Dumont, con Juliette Binoche nel ruolo di Camille e Jean-Luc Vincent nel ruolo di Paul Claudel. n.d.r.].

Tuttavia occorrerebbe una persona, un volto visibile che “dica”, che “reciti” il testo. Questo renderebbe più facile inserire immagini evocative o metafore. Il tono inoltre è sempre teso al massimo, ma anche la detenzione più dura ha delle pause, degli alti e bassi di tensione.

-        Ricorre spesso, nel lungometraggio, l’immagine di un rinoceronte... Che emozioni ti suscita l’animale rinoceronte (paura, solitudine, forza)?

Mi suscita il desiderio di una spiegazione, che nel testo manca. Bisognerebbe spiegare che Camille aveva una borsetta ricavata dalla testa di un rinoceronte[1]. L’immagine funziona lo stesso grazie al montaggio, perché La Bestia evoca l’Inconscio - di Camille ma anche dei suoi Parenti-Mostri - e quindi anche il Destino, che al 50% è figlio del nostro inconscio.

-       Che cosa ti ha maggiormente appassionato e convito a realizzare dei disegni per il progetto?

La difficoltà di trovare in rete immagini per “illustrare” il testo e l’enorme lavoro fatto da Mario Molinari. Avevo fatto dei disegni sia per BlogNotes (un programma che avevo realizzato per Italia1) sia per il ritratto di Turatello per MemoMI ( il sito della memoria visiva di Milano): il repertorio su Turatello era scarsissimo e così avevo deciso di disegnare la sua storia a partire dalle poche foto disponibili. Ho fatto lo stesso per MOI 392 e devo dire che lavorare su un tema che ho scelto io consente molta più libertà. Di solito disegno mostri, uccellacci, pugili e riunioni di condominio, ma il volto di Camille è così affascinante – evoca le attrici di Truffaut – che mi ha costretto a disegnare (o a tentare di disegnare) la bellezza. Non so se ci sono riuscito.

Nelle risposte forniteci da Lombezzi, tra le tante cose, ancora una volta viene sottolineata la bellezza del volto di Camille.

 Riportiamo dunque un capitolo a cura di chi scrive che si concentra su questo aspetto e sul fatto che nessuno, all’epoca come oggi, abbia potuto rimanere indifferente al fascino di questa donna dagli occhi malinconici, intensi, sognanti.

Splendidi.

 

La Beauté

Je suis belle, ô mortels ! comme un rêve de pierre,

Et mon sein, où chacun s’est meurtri tour à tour,

Est fait pour inspirer au poète un amour

Éternel et muet ainsi que la matière.

Je trône dans l’azur comme un sphinx incompris ;

J’unis un cœur de neige à la blancheur des cygnes ;

Je hais le mouvement qui déplace les lignes,

Et jamais je ne pleure et jamais je ne ris.

Les poètes, devant mes grandes attitudes,

Que j’ai l’air d’emprunter aux plus fiers monuments,

Consumeront leurs jours en d’austères études ;

Car j’ai, pour fasciner ces dociles amants,

De purs miroirs qui font toutes choses plus belles :

Mes yeux, mes larges yeux aux clartés éternelles ![2]

 

Se tutto ciò che attiene alla biografia di Camille Claudel e alla sfera estetica ed emozionale della sua arte è comprensibile che sia stato indicato e rilevato, e poi indagato, seppur in modi differenti a seconda dei vari periodi, da quasi tutti i critici, i biografi e gli storici dell’arte che si sono avvicinati alla sua opera, non altrettanto ovvia è la ricorrenza con cui, nei testi della fine dell’Ottocento e degli inizi del Novecento, viene segnalato un particolare che attiene esclusivamente alla sua persona fisica, al suo aspetto, che deve aver evidentemente colpito nel profondo chiunque avesse avuto modo di incontrarla: la singolare e conturbante bellezza, soprattutto i suoi occhi e la loro espressione.

Nel 1897 Henry de Braisne inaugura la serie di commenti sulla fisionomia di Camille, da lui definita energica e obsédante, soffermandosi sui suoi «bei tratti in cui il pensiero soprattutto lascia la sua impronta», e sui suoi occhi «tanto sognanti quanto di indomabile fierezza». Sulle labbra, «una piega di amaro disincanto».

Certamente un ritratto non comune per una donna che all’epoca aveva poco più di trent’anni (anche se non era più très jeune come molti scrivono addirittura fino al primo decennio del Novecento, quasi che le sue sculture «che disorientano» e la sua «strana» e inafferrabile personalità le conferissero a pieno titolo la possibilità, ma anche la condanna, di essere percepita come eternamente giovane, eternamente jeune fille, qualcuno che stia ancora aspettando la propria completa affermazione, il cui talento straordinario stia fermando il tempo e di conseguenza anche la piena consacrazione di chi può e vuole sentirsi ri-conosciuto senza alcun vincolo rispetto a qualsiasi maestro).

Il colore dei suoi occhi, azzurro scuro per il fratello, azzurro chiaro per altri, verde per altri ancora, o grigio intenso (erano talmente obsédants da non permettere, nel ricordo di chi la ritrae, di fissarne con precisione il colore?), torna come un refrain malinconico. Anche Morhardt non può esimersi dal notarne i bagliori «indagatori e persistenti», e nel 1905 la giornalista Gabrielle Nerval scriverà sugli occhi di Camille un passaggio suggestivo spesso citato nelle biografie postume:

«Mademoiselle Camille Claudel sorrise, i suoi occhi si posarono su di me: due occhi magnifici, di un verde pallido, che ricordano i giovani germogli delle foreste. Questi occhi sorprendono per la loro luminosità, hanno un fascino virgiliano perché richiamano immediatamente la freschezza dei boschi». La giornalista conclude il suo omaggio alla scultrice scrivendo che «grazie al suo originale temperamento, alla sua sensibilità, alla potenza della sua idea, e alla bellezza della sua arte, Mademoiselle Camille Claudel è una figura completa del genio femminile».

Che fossero effettivamente verdi o azzurri poco importa, nel ricordo di chi la conobbe resta impresso il suo sguardo rêveur, fiero e vagamente triste, e nel ricordo di chi non ebbe tale fortuna non può non rimanere impresso lo sguardo de La Petite Châtelaine, una creatura «ingenua» e tuttavia «inquieta» i cui «occhi febbrili, quasi allucinati, dall’espressione nuova, che cerca di sapere», non abbandonano più lo spettatore. Sono occhi di chi è attraversato dal «turbamento di vaghe inquietudini», da quelle soifs inassouvies che divorano i chercheurs d’infini.

Morhardt afferma che questa scultura dal volto «imperscrutabile» comunica «una profonda angoscia», che deriva dalla sproporzione fra le dimensioni della testa «troppo potente» (poiché sede di un pensiero e di un’emozione potenti) rispetto a quella delle spalle strette, «delicatamente infantili»; l’espressione della bambina sembra, ha ragione Morhardt, più matura rispetto alla sua giovane età, e gli occhi paiono spalancarsi «sui misteri eterni» che lei o la sua autrice, probabilmente entrambe, vorrebbero poter penetrare.

Reine-Marie Paris si sofferma a lungo sul fascino dell’«incompiutezza» che promana dalle opere di Camille, su quella «qualità d’assenza» in cui Paris ritrova la cifra stilistica della sua arte; nel parlare di uno «dei più bei ritratti che di lei ci ha consegnato Rodin», La Pensée, scrive che si tratta di «un volto dagli occhi vuoti, che l’indeterminato inghiotte dolcemente».

 Non erano vuoti, quegli occhi, come quelli del Vieuil aveugle chantant di Camille, bensì troppo pieni, spalancati non verso qualcosa ma verso un tutto, un universo inafferrabile e pertanto perennemente desiderato, sognato, allucinato (e allucinante). Gli occhi, nel ritratto di Rodin profondamente tristi, e significativamente rivolti verso il basso, di chi desidera, tant ce feu nous brûle le cerveau/Plonger au fond du gouffre, Enfer ou Ciel, qu’importe?/Au fond de l’Inconnu pour trouver du nouveau! [3].

C. P.

(per non appesantire la lettura del capitolo non abbiamo riportato le note relative alle citazioni; la versione cartacea corredata di note e bibliografia si può leggere in Mademoiselle Camille Claudel e Moi, edizioni Aragno 2016).

 

Il nostro ospite di oggi, Mimmo Lombezzi:

Ha iniziato a collaborare con Rai3 nel 1978 come regista-programmista realizzando con Tatti Sanguineti e Alberto Farassino il programma sperimentale “Telecomando” considerato il prototipo di “Blob”. Per Zucconi ha realizzato i primi reportages di guerra in Eritrea, in Israele e in Libano. Ha coperto per i tg di Mediaset la guerra del Golfo, la guerra in Croazia, la guerra in Bosnia e la guerra del Kossovo e ha girato un reportage sulla guerra in Nagorno-Karabach.

Ha lavorato a “Studio Aperto”, “Moby Dick” e “Target”, realizzando anche diversi servizi in Italia e all’estero. Nel 2000 per Giorgio Gori realizza, insieme a Sabina Fedeli, “LINK” il magazine di Canale5, e nel 2001, sempre con Sabina Fedeli, i reportages di “Mission: “cartoline all’inferno”.

Ha vinto il primo premio del festival “Giornalisti del Mediterraneo” con un reportage sull’Intifadah dei coltelli realizzato per “Terra!” (Rete4)

Ha scritto due libri: Cieli di piombo (ed.E/O) e Bosnia: la Torre dei Teschi, lessico di un genocidio (ed.Baldini & Castaldi).

L’ultimo lavoro, realizzato nel 2019 con Mario Molinari e Giovanna Servettaz, è il documentario sulla situazione economica del savonese: “Crisi Complessa”. Attualmente collabora con IlFattoQuotidiano online.

 

L’articolo di mercoledì 25 novembre sul lancio del trailer MOI 392:

 

https://www.lanuovasavona.it/2020/11/25/leggi-notizia/argomenti/cultura-3/articolo/moi-392.html

Puntata monografica su Camille Claudel, Wikiradio:

https://www.raiplayradio.it/audio/2018/10/WIKIRADIO---Camille-Claudel--b6ccb50f-6952-449f-b46f-38de0073cdfb.html

 


[1] Camille Claudel faceva lunghe sessioni di studio, oltre che al Louvre o al Museo Guimet, al Museo di Storia naturale di Parigi, da cui si era fatta prestare un cranio di rinoceronte per scolpirlo. Lo stesso teschio era da lei sovente utilizzato come borsetta, particolare che ne sottolinea il carattere bizzarro, eccentrico e incurante delle convenzioni. Da questo dettaglio affascinante nel testo e nello spettacolo MOI e nel lungometraggio MOI 392 sono state ricavate suggestioni intorno alla figura del rinoceronte, senza fornirne in effetti la spiegazione poiché poteva risultare didascalica. n.d.r.

[2] Charles Baudelaire, La Beauté, in Les Fleurs du mal. Auguste Rodin nel 1882 si ispirerà a questa poesia di Baudelaire per il suo gruppo in gesso, il cui titolo è tratto dal primo verso, Je suis belle.

[3] Charles Baudelaire, Le Voyage, in Les Fleurs du mal.

 

Chiara Pasetti

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