Cos’avranno gli italiani? Più cemento che salute.
Questa, brutalmente sintetizzata, l’opinione espressa ieri sera a Otto e Mezzo da Tomaso Montanari, che non brilla per simpatia ma per lucidità sì.
Tralasciando i sei miliardi (su 248) destinati dal Recovery plan alla cultura in quello che dovrebbe essere il Paese della cultura, e che serviranno solo per portare avanti una visione di turismo ambientalmente insostenibile quanto superata; tralasciando anche l’indecente zero destinato a un’istruzione superiore più inclusiva ed equa, il professore ha fornito i numeri del suo e nostro scontento: 25 miliardi per le grandi opere (tradotto, cemento), 15 miliardi per la sanità.
Un po’ pochi, per un Paese che si ritrova in ginocchio a causa di un virus.
Inoltre bisognerà vedere come verranno spesi, questi 15 miliardi: perché sembra si parli molto di telemedicina, e poco di stetoscopi.
Se cerchiamo telemedicina su wikipedia, troviamo che “è l'insieme di tecniche mediche ed informatiche che permettono la cura di un paziente a distanza o più in generale di fornire servizi sanitari a distanza”.
Usatissima in era covid, certamente potrà avere un’utilità, ma può sostituire un medico che venga a casa a visitarti, auscultando polmoni e cuore?
Tanto per non rischiare di trovarsi gonfi di antibiotici e tronfi di tamponi negativi, ma con un’insufficienza cardiaca.
Ne parliamo per esperienza.
Un’esperienza che vorremmo non ripetere, e che vorremmo venisse risparmiata anche ad altri.
Delle due l’una: o una visione lungimirante che intenda formare personale specializzato e avere così, tra cinque o sei anni, una sanità pubblica realmente rafforzata, o la visione ottusa e tanarda portata avanti in questo ultimo anno e mezzo. Come dimostrano le migliaia di ventilatori acquistati senza nessuno in grado di farli funzionare da mettere nei reparti.
Praticamente la teleintensiva. Che serve a poco.