Cultura28 agosto 2021 05:48

I Promessi Sposi come spazio di sperimentazione

Il nuovo spettacolo della Compagnia Terzo Polo, con intervista ai fondatori (di Chiara Pasetti)

I Promessi Sposi come spazio di sperimentazione

Lunedì 30 agosto alle ore 21, all’interno del cartellone dell’ “Estate  novarese”, andrà in scena presso il cortile del Castello di Novara il nuovo spettacolo della Compagnia Terzo Polo, fondata anni fa da due gemelli novaresi, Enrico e Edoardo Borghesio, che i lettori di questa testata hanno imparato a conoscere attraverso i corti del progetto “Aspetto la fine” (per la regia di Mario Molinari), di cui sono stati spesso attivi collaboratori, creando anche un profilo instagram del progetto e inserendo di video in video contenuti e aggiornamenti preziosi.

La compagnia in questi anni ha messo in scena diversi testi classici (alcuni vincitori di premi prestigiosi), sempre adattandoli al presente o giocando su elementi tratti dalla realtà contemporanea.

Sorprende ed emoziona assistere agli spettacoli di questo talentuoso gruppo di ragazzi, che hanno ideato e fondato la compagnia ancora negli anni del liceo e hanno portato avanti i loro progetti da soli, senza finanziamenti, spinti soltanto dalla loro passione per il teatro e la letteratura e il desiderio di mettersi in gioco, confrontandosi con i grandi capolavori del passato che hanno segnato la loro formazione come quella di tutti noi.

Un momento particolare, questo, per mettere in scena un nuovo spettacolo, a distanza di poco meno di un anno dall’ultimo che come raccontano ha potuto essere rappresentato per due serate prima della chiusura dei teatri per l’emergenza sanitaria.

Tra tamponi, distanziamenti e una burocrazia scoraggiante (e i rispettivi esami universitari, tra l’altro!), alla fine ce l’hanno fatta, e lunedì saranno sul palco del Castello di Novara all’interno del programma “Estate novarese”, promosso dal Teatro Coccia e dal Comune di Novara.

Abbiamo deciso, per l’occasione, di rivolgere alcune domande ai due fondatori della Compagnia, nonché autori, attori e registi dello spettacolo, i gemelli Borghesio appunto, per capire come è nata questa nuova idea, cosa possiamo aspettarci da questo lavoro e anche come vedono il futuro, ancora così incerto, dell’arte e della cultura.

Li ringraziamo per il tempo che ci hanno dedicato, per la gentilezza e la disponibilità e anche per l’umiltà e al contempo la profondità delle loro risposte.

E speriamo che molti giovani lettori ne traggano un insegnamento: la tenacia, lo studio, l’amore per ciò che si fa alla fine pagano sempre e portano a risultati importanti, che lasciano sicuramente un segno.
Ricordiamo dunque l’appuntamento di lunedì sera per I Promessi Sposi – Covid edition, ingresso libero con uscita a cappello (obbligatoria la prenotazione).
I biglietti sono disponibili sul sito del teatro Coccia e presso la biglietteria durante gli orari di apertura:
https://biglietteria.fondazioneteatrococcia.it/home.aspx




Intervista a Enrico e Edoardo Borghesio


-       Quando e soprattutto perché avete concepito l’idea di fondare una vostra compagnia teatrale?
Avevamo scoperto la passione per il teatro durante le scuole medie, ad un laboratorio estivo all’oratorio di Galliate, che è la nostra città. Al secondo anno di liceo ci siamo iscritti ad un corso open di recitazione con Elena Ferrari della Scuola del Teatro Musicale di Novara. Intanto andavamo molto spesso al Teatro Coccia per vedere gli spettacoli di prosa, e abbiamo iniziato a sviluppare un nostro gusto. Alla fine del primo anno di corso all’STM e dopo esserci trovati bene con la classe abbiamo proposto ai nostri compagni di realizzare uno spettacolo insieme, indipendentemente. Lì si è formato il primo nucleo del Terzo Polo, anche se in realtà era partita come intenzione di realizzare uno spettacolo e basta. Visto il successo del debutto abbiamo deciso di continuare. Il nome Terzo Polo, programmaticamente ma non senza una certa ironia, significava che volevamo imporci come punto di riferimento nel mondo del teatro a Novara, accanto a realtà culturali già forti e consolidate. Ci siamo riusciti? Ai posteri l’ardua sentenza.


-       Qual è stato il primo spettacolo che avete messo in scena?
Il primo spettacolo è stato Sogno di una notte di metà dicembre, rivisitazione natalizia della commedia di William Shakespeare. L’abbiamo messo in scena il 23 dicembre 2015, quasi sei anni fa. Anziché svolgersi in estate con un incantesimo d’amore ordito da una divinità dei boschi, c’era l’elfo Rodolfo di Babbo Natale che scambiava per errore una fiala contenente la pozione d’amore di Cupido. All’inizio avevamo altre idee, ma poi abbiamo ripiegato su Shakespeare, autore che ci ha sempre affascinato per la sua versatilità, e poi ci sembrava ottimo per un debutto teatrale. È stato il primo spettacolo di una trilogia natalizia proseguita con Elfo di due padroni (da Carlo Goldoni) e Romeo & Juliet are comin’ to town, nuovamente da Shakespeare. Inconsciamente, il Sogno ha definito quella che sarebbe stata la nostra identità stilistica: la rielaborazione del testo in maniera attualizzante.


-       Come riuscite a conciliare gli impegni universitari con il fatto di avere una compagnia di teatro?
Dipende dalle fasi di realizzazione dello spettacolo: la scrittura del copione richiede sempre giorni o settimane di totale immersione, quindi in genere preferiamo scrivere durante le vacanze; per quanto riguarda le prove invece ci piace molto organizzarle in periodo di lezioni perché consentono uno stacco dalla routine quotidiana. Prima che noi due cominciassimo l’università gli spettacoli erano gestiti in maniera più collettiva, con l’università noi ci siamo trasferiti a Torino e quindi abbiamo centralizzato di più il lavoro, preparando la regia tra di noi in settimana e provando con il gruppo durante i weekend.


-       Voi due siete “la mente e il braccio” della compagnia... In genere come avviene la scelta dei testi da portare in scena? Chi dei due propone? Come vi dividete la parte drammaturgica?
Non c’è una regola vera e propria: in genere l’idea viene a uno dei due che la propone all’altro, se ne parla e si annotano le idee per molto tempo, finché non si riscontra un’occasione che sembri adatta per realizzare quel determinato testo. In genere scriviamo apposta per l’evento, non teniamo testi inediti senza programmarli. Per quanto riguarda la scrittura, di solito partiamo da un celebre testo letterario o teatrale del quale uno dei due ha una conoscenza maggiore dell’altro, e si procede di conseguenza: quello dei due che conosce meglio il testo di partenza scrive una prima bozza del copione, e poi l’altro interviene aggiungendo dettagli più freschi e alla portata di tutti; segue poi una terza revisione insieme, e spesso il copione viene modificato ancora durante le prove con l’aiuto degli altri ragazzi che recitano con noi, in base a nuove idee o esigenze di scena. Questa modalità di lavoro non è fissa, capitano spettacoli, come con questi Promessi sposi, dove le scene sono letteralmente divise a metà tra quelle scritte da uno e quelle scritte dall’altro: per esempio le scene iniziali sono di Edoardo, quelle del finale di Enrico. A prescindere dalla modalità con cui il copione viene scritto, reca sempre il nome di entrambi. Ovviamente, poi, è nella cooperazione totale e nella disponibilità dei membri del gruppo che prendono forma gli spettacoli.


-       Che differenza avete riscontrato tra il vostro modo di lavorare (scrivere, dirigere, allestire) da quando eravate giovanissimi studenti liceali ad oggi?
È sempre più difficile notare le differenze su se stessi, però in generale ci rendiamo conto di ricercare una maggiore accuratezza formale ed espressiva nel testo, ma anche di costruire meglio la scena sul palcoscenico, in maniera tale che ciascun personaggio si muova e interagisca con gli altri in modo sensato e coerente. Sono aspetti cui badavamo anche all’inizio, ma ora ci mettiamo più attenzione. Soprattutto negli ultimi testi Edoardo ricerca nei testi una maggiore profondità introspettiva dei caratteri, mentre Enrico tende a fornire una struttura solida ai tempi e agli spazi delle scene.


-       Il covid ha prodotto un arresto significativo di ogni attività culturale. Nonostante questo, siete riusciti lo scorso anno a mettere in scena almeno un vostro lavoro, Profondo giallo, e a distanza di un anno siete a pochi giorni dal debutto di uno spettacolo ripreso dal passato ma riadattato ai tempi che stiamo vivendo. Quanto ha risentito la vostra compagnia delle restrizioni dovute all’emergenza, e anche a livello personale come avete vissuto questo lungo periodo lontani dal palco?
Avremmo dovuto mettere in scena Profondo Giallo a metà marzo 2020: quando è scattata l’emergenza e le scuole sono state chiuse ne abbiamo approfittato per intensificare le prove, con la previsione di metterlo in scena comunque. Non ci aspettavamo proprio che la pausa si prolungasse tanto a lungo. Per quanto riguarda Profondo Giallo, siamo poi riusciti a inscenarlo a ottobre, nel breve periodo in cui i teatri sono rimasti aperti. Il copione variò in qualche componente, anche perché avevamo un attore in meno rispetto alla versione originale. Riprendere un testo su cui si è già lavorato intensamente a distanza di mesi permette di levigare meglio il suo ritmo, perciò fu anche positivo l’intervallo. Nel mezzo, però, ci siamo resi conto di quanto contasse per noi un’abitudine che per necessità veniva sospesa. Passare da avere i weekend e le teste sempre impegnate per le prove e i preparativi a non poter far nulla per settimane intere provoca un rallentamento che poi si fatica a recuperare. Anche a livello di scrittura, nonostante molteplici idee, siamo rimasti bloccati, in un oblio interminabile causato dalla mancanza di occasioni per cui presentare eventi.


-       Cosa dobbiamo aspettarci da questo nuovo Promessi sposi, potete darci qualche anticipazione?
A differenza delle precedenti, in questa versione dello spettacolo la realtà entra prepotentemente nella sceneggiatura, con personaggi reali calati nel romanzo e con situazioni della quotidianità degli ultimi due anni, e tra l’altro presentati in ordine quasi cronologico. Più che essere uno spettacolo sui Promessi Sposi raccontati tramite il Covid, è uno spettacolo sul Covid raccontato tramite il nostro testo dei Promessi Sposi. Fra tutte le rappresentazioni dei nostri Promessi Sposi, inoltre, questa è quella più nazional-popolare: ci siamo basati su tormentoni, riti collettivi, e idiozie del 2020 e 2021. Per noi i Promessi Sposi sono sempre stati uno spazio di sperimentazione, dove inserire non solo parodia del romanzo e gag, ma anche elementi satirici e commenti sull’attualità. La politica e i social ovviamente hanno avuto un ruolo chiave nel periodo del Covid, poiché erano rimaste quasi le uniche sfere in cui l’azione non è stata sospesa, e quindi a questi bersagli si rivolge in particolare il nostro nuovo testo. Il bello di fare uno spettacolo a fine estate, poi, è che ci puoi inserire tutti i tormentoni musicali che innescano inevitabilmente una risata per l’effetto straniante. Che cosa c’è invece di comune a tutte le versioni dei Promessi Sposi? Siamo un manciata di attori che interpretano una ventina di personaggi, semplicemente indossando un cappello o un mantello sopra alla divisa di compagnia, cioè pantaloni neri e maglietta con logo del Terzo Polo.


-       Infine, cosa ne pensate delle nuove forme di fruizione che si sono aperte durante la pandemia (spettacoli in streaming, per esempio)? Ritenete che siano davvero opportunità o, nel caso specifico del teatro, delle limitazioni, e perché?
Durante il primo lockdown, tra marzo e maggio 2020, abbiamo sviluppato sulla nostra pagina Instagram un progetto social basato sulla forma dei nostri Aperitivi Letterari. In una breve pillola di pochissimi minuti, ciascuno presentava un’opera letteraria, o cinematografica, o musicale, attraverso un commento o la lettura di un brano. Questa Quarantena Letteraria, così si chiamava il progetto, non ha avuto granché successo, perciò abbiamo abbandonato il campo nei mesi successivi. Ci siamo resi conto che la nostra forma di comunicazione necessita di un pubblico che si lasci coinvolgere e guidare, o altrimenti non ingrana. Quella online non è un’ulteriore forma del teatro, ma un’alternativa che corre su un binario diverso, una modalità di comunicazione a sé stante. Abbiamo visto, negli ultimi mesi, che sono sorte nuove star dei social, basate soprattutto sul successo della piattaforma TikTok. Noi non siamo ancora approdati in questo campo e non ci sentiamo di svilirlo, ma semplicemente riteniamo che si tratti di una cosa diversa dal teatro. Abbiamo tentato di emulare il nuovo linguaggio del video su cellulare, breve e in verticale, nella promozione di questi Promessi Sposi, pubblicando sulla nostra pagina Instagram le reel in cui i personaggi del romanzo raccontano al pubblico di che cosa si sono occupati durante il lockdown.


-       Dopo questo lavoro avete già in mente altro, e se sì cosa?
Di idee ne abbiamo sempre, però in questo momento in cui si faticano a trovare occasioni non ci montiamo la testa progettando concretamente eventi che potrebbero saltare. Vedremo come si evolverà la situazione sanitaria e sociale nei prossimi mesi per capire quale e quanto spazio avrà il Terzo Polo. Il gruppo sta anche subendo una metamorfosi, con tanti attori che stanno iniziando l’università e hanno cambiato le loro abitudini o residenze. Servirebbe un rinnovo del cast, una nuova sorgente di stimoli. Al momento tutto tace, vedremo.


-       Quale futuro per il teatro e la cultura italiana?
È una domanda per cui ci sentiamo fuori scala. Noi siamo una piccola realtà locale, che neanche viene del tutto apprezzata o sostenuta dagli enti culturali locali. In grande, invece, vediamo che la cultura è uno dei settori che sono collassati più rapidamente negli orizzonti del governo. Per noi il teatro è un hobby, per tanti è un mestiere per vivere: se fanno fatica loro, alle odierne condizioni noi siamo tagliati fuori. Se lo Stato non investe massicciamente in questo settore, che invece è sempre il primo a ricevere tagli di budget, non c’è futuro, solo improvvisazione e progetti privati.



Chiara Pasetti

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