La cerimonia - organizzata dal Comune di Savona insieme a Isrec, Anpi, Aned e Fivl - ha visto la presenza del sindaco Marco Russo con la vicesindaco Elisa Di Padova e l'assessore Silvio Auxilia, di Samuele Rago per l’Anpi, Franca Ferrando per l’Isrec e Simone Falco per l’Aned.
Una corona di alloro è stata deposta alla base della lapide in onore dei Martiri savonesi trucidati nel “Natale di sangue” di Savona sotto lo sguardo commosso di Balduino Astengo, che il 27 dicembre di ogni anno ha ricordato con sette rose rosse il sacrificio di suo zio Cristofin e degli altri antifascisti che pagarono con la vita la propria opposizione all’orrore: a lui dobbiamo la restaurazione della lapide, che nel 2018 era stata distrutta da vandali senza memoria e senza vergogna.
La cerimonia è stata aperta dall’intervento di Samuele Rago che, dopo aver brevemente rievocato l’episodio della fucilazione avvenuto al Forte della Madonna degli Angeli in quello che è tuttora ricordato dai Savonesi come il “Natale di sangue del ‘43”, ha sottolineato l’importanza del ricordo dei sette Martiri – l’avv. Cristoforo Astengo, l’avv. Renato Vuillermin, il tracciatore meccanico Francesco Calcagno, il falegname Carlo Rebagliati, l’operaio ebanista Arturo Giacosa e i due soldati Aurelio Bolognesi e Aniello Savarese – che sacrificarono la loro vita per consentire l’avvento della democrazia nel nostro Paese.
Ha preso quindi la parola il Sindaco Marco Russo, che ha sottolineato come vittime di quella strage furono persone che, pur provenendo da ambienti lavorativi differenti, avvocati come semplici operai, nella diversità delle loro opinioni politiche, si ritrovarono uniti nella lotta al nazifascismo, affermatosi con l’occupazione della parte centrosettentrionale del nostro Paese dopo l’8 settembre del 1943.
Lo storico Giuseppe Milazzo nella sua orazione ha ricostruito le vicende che condussero alla fucilazione dei sette Martiri, chiarendo le responsabilità effettive di chi ne ordinò la fucilazione: il Segretario del Partito Fascista Repubblicano Alessandro Pavolini in primis, che emise il decreto di convocazione immediata di Tribunali Straordinari chiamati a condannare i “gli esecutori materiali e i mandanti morali degli assassini di fascisti repubblicani” quali “responsabili dell’avvelenamento delle anime”, il Delegato Regionale del P.F.R. Piero Asti e il Capo della Provincia di Savona Filippo Mirabelli, che comandando quell’eccidio, si macchiò di un crimine di guerra, come venne successivamente riconosciuto dai Tribunali che emisero le sentenze nel Dopoguerra.
Milazzo ha inoltre ricordato le parole del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che in più occasioni ha sottolineato come “la Repubblica Sociale Italiana fu illegale da un punto di vista costituzionale” – essendosi imposta con le armi subentrando al legittimo governo guidato da Pietro Badoglio, rappresentante le istituzioni monarchiche – “e per di più alleata ad uno Stato straniero tiranno: la Germania nazista”.
Illegali, dunque, erano le istituzioni repubblicane così come i suoi dirigenti, incluso il Capo della Provincia di Savona Filippo Mirabelli, che non dovrebbe dunque essere annoverato tra i Prefetti di Savona. «Non si può comprendere la Resistenza, il suo significato, la sua fondamentale importanza nella storia d'Italia», ha detto ancora il Presidente della Repubblica Mattarella, «se non si parte dalla sua radice più autentica e profonda: quella, appunto, della rivolta morale.
Rivolta contro un sistema, contro un modo di pensiero e di vita, contro una concezione dell'esistenza. Rivolta contro un sistema che aveva lacerato, oltre ogni limite, il senso stesso di umanità inciso nella coscienza di ogni persona. Una rivolta custodita, inizialmente, nell'animo di una minoranza, da pochi spiriti eletti, uccisi, perseguitati o isolati durante i lunghi anni del trionfo fascista. Ma che riuscì a propagarsi, dilagando tra la popolazione, dopo che gli eventi succedutisi all'8 settembre resero evidente, anche a chi si era illuso, anche a chi era stato preda della propaganda fascista, quanto fallaci fossero le parole d'ordine di grandezza, di potenza, di dominio, di superiorità razziale diffuse dal Regime. Quanto esse contrastassero con i valori della dignità umana propri della nostra tradizione e della nostra cultura».