Il tema vero proposto dalla "vicenda Milano" non è certo semplicemente quello del rinnovo dell'eterna "questione morale": piuttosto l'attenzione andrebbe portata (ed è già stato fatto del resto nel dibattito sul decreto "Salva Milano" che aveva prodotto spaccature trasversali fra le forze politiche) sugli effetti pratici che comporta una concentrazione di capitali ad alta intensità in una visione urbanistica riservata ed escludente.
Il cambiamento dello Sky-line milanese avvenuto nei decenni scorsi ha rappresentato proprio questo: una forma di ingente attrazione di capitali concentrati su asset specifici che hanno prodotto profitti elevati alle stelle e provocato un moto ascensionale nel costo complessivo della vivibilità urbana, creando allontamento di popolazione e spaccatura sociale.
La "questione morale" finisce oggettivamente con l'essere elemento complementare di questo stato di cose perché quando scorrono fiumi di denaro qualcuno finisce con l'immergercisi pensando al proprio tornaconto personale: nulla di più, nulla di meno. Al resto penserà la magistratura con tutte le sottigliezze e i distinguo del caso.
Sottigliezze e distinguo sui quali si sta già esercitando "la politica" senza approfondire l'ulteriore carico di veleno che vicende del genere producono comunque al di là dei loro esiti concreti.
Del resto ciò che è capitato e sta capitando a Milano si è già visto in tante altre situazioni, da Bari alla Spagna, tanto per svariare in una dimensione sovranazionale.
Questa vicenda impone anche una riflessione nella nostra piccola realtà locale savonese che a cavallo dei primi anni 2000 aveva vissuto una vicenda di concentrazione di capitali nel campo edilizio definibile di un certo rilievo rispetto alle nostre ridotte dimensioni.
In quell'occasione si mutò il volto di un'area importante della Città a suo tempo legata alla tradizione industriale: l'operazione non diede luogo a risvolti giudiziari (nello stesso campo se ne erano già verificati in precedenza nel rapporto politica/affari) ma i suoi esiti non sono stati difformi da quelli riguardanti la grande realtà che oggi si trova agli onori di tutte le cronache.
Una concentrazione di capitali che muta un assetto urbanistico senza realizzare un disegno di inclusione sociale (com'è stato nel caso della darsena savonese e dello spostamento del porto con il trasferimento a Vado e il passaggio alla vocazione crocieristica) conduce naturalmente a un arricchimento per pochi (senza prospettive di investimento: pensiamo al virare sul turismo dal profitto "mordi e fuggi" delle concentrazioni immobiliari in mano a pochi proprietari in una Città relativamente povera di strutture alberghiere) e un impoverimento generale comprensivo dell'ex-ceto medio (pensiamo al settore commerciale).
Il voto delle elezioni comunali di Savona 2021 fu definito da osservatori esterni "un modello" proprio perchè si era realizzata una unità larga attorno ad un punto di rottura di questo schema e di richiesta di nuovo equilibrio tra recupero dell'esistente e nuova progettualità in una visione di diffusione sociale.
La vicenda milanese richiama questo elemento e chiede il mantenimento di questa piccola anomalia savonese: pur tra difficoltà di diverso tipo e la mancata risoluzione di problemi strutturali (non dipendenti dall'amministrazione comunale soprattutto sul piano dell'uscita dall'isolamento viario/ferroviario) la previsione di una variante urbanistica che contenga i principi di fondo appena enunciati deve rappresentare un punto di svolta non soltanto dal punto di vista dell'aspetto della Città ma nella sostanza della sua identità economica e sociale.