I “pro” non sono sufficienti a giustificare i “contro” quando di mezzo ci sono 60.000 morti
Questo documento riunisce tre livelli di analisi – filosofico-linguistico, politico-strategico e etico-umanitario – in merito alla recente affermazione della presidente del Consiglio Giorgia Meloni secondo cui la proclamazione dello Stato di Palestina sarebbe "controproducente finché non sarà deliberato uno Stato". A fronte della catastrofe umanitaria in corso, con oltre 60.000 vittime civili, si ritiene che tale posizione, formalmente prudente, riveli una sostanziale negazione del principio di autodeterminazione dei popoli e una preoccupante neutralizzazione etica. L’articolo si sviluppa in tre parti, ciascuna delle quali analizza un diverso livello di questa affermazione, culminando in una denuncia della sua contiguità con la violazione dei diritti umani fondamentali.
Prima Parte – Sulla tautologia dell’esistenza: note critiche alla dichiarazione di Meloni sulla Palestina
1. Lo “stare” come fondamento ontologico e geografico
Il termine Stato, nella sua radice etimologica, richiama il verbo latino stare, ovvero il “trovarsi in un luogo”, l’“essere collocato”. In tal senso, il concetto primario dello Stato è legato all’esistenza concreta di una popolazione stanziata su un territorio. Il popolo palestinese “sta” nella sua terra, la abita, la patisce, la reclama. Questo stare è il primo elemento fondativo di ogni statualità.
2. L’organizzazione sociale come espressione del valore, non condizione dell’esistenza
Ogni ordinamento politico si costruisce su un dato storico: la presenza di un popolo che, attraverso la propria cultura, religione, lingua e sistema simbolico, struttura forme di autogoverno. Ma non è l’organizzazione (che può essere temporaneamente impedita o negata) a fondare l’esistenza di uno Stato, bensì la volontà e la persistenza storica di una collettività che sta in quel luogo.
3. La tautologia della non-esistenza
Affermare che la Palestina non è uno Stato “finché non sarà deliberato uno Stato” è una tautologia mascherata da realismo politico. È come dire: finché domani non sarà domani, oggi è ancora oggi. Una tautologia che nega il cuore stesso della questione: non è la deliberazione giuridica a produrre l’esistenza, ma il riconoscimento storico dell’esistenza che chiede di essere deliberata.
4. Negare l’esistenza è il gesto più violento
Negare che la Palestina sia uno Stato non è una semplice presa di posizione diplomatica: è un atto performativo di negazione dell’essere, un disconoscimento radicale. È il rifiuto della soggettività di un popolo, della sua lingua, della sua memoria, del suo diritto alla rappresentanza.
5. La durata non fonda l’esistenza: è l’esistenza che resiste nel tempo
La durata storica di uno Stato può essere misurata con criteri giuridici, ma l’esistenza di un popolo che persiste nel tempo, pur senza un riconoscimento statuale, non può essere confutata. La Palestina esiste non perché sia duratura, ma perché resiste.
6. Conclusione: la reificazione del concetto di Stato
La dichiarazione della Meloni rappresenta una reificazione concettuale e storica del termine “Stato”: lo trasforma da categoria politica vivente a feticcio giuridico. Uno Stato non nasce dal timbro di un’autorità, bensì dalla sofferenza, dalla storia, e dalla volontà di un popolo che sta, resiste, si organizza e chiede di essere riconosciuto.
Seconda Parte – Perché Meloni considera controproducente la proclamazione dello Stato di Palestina
1. Approccio formalista-giuridico
Meloni adotta un approccio giuridico-formalista al concetto di Stato: per esistere, uno Stato deve essere deliberato da consessi internazionali, riconosciuto da attori dominanti e dotato di un'organizzazione definita.
2. Timore di destabilizzazione geopolitica
Meloni teme che la proclamazione dello Stato di Palestina possa aggravare le tensioni in Medio Oriente, legittimando attori ritenuti radicali o terroristici. In tale visione, un riconoscimento politico unilaterale potrebbe minare i già fragili equilibri geopolitici.
3. Funzione retorica e neutralizzazione simbolica
La tautologia “non è uno Stato finché non lo sarà” svolge una funzione precisa: disinnescare il significato politico del termine 'Stato', relegandolo a un'entità puramente amministrativa e giuridica.
4. Conservazione dello status quo
Qualsiasi apertura verso il riconoscimento unilaterale della Palestina verrebbe percepita come un atto di rottura. Meloni adotta una postura conservativa, che tende a mantenere lo status quo anche a costo di negare l’evidenza storica e umana dell’esistenza palestinese.
5. Conclusione
La dichiarazione di Meloni può essere letta come una sintesi tra diplomazia opportunistica e ideologia dello status quo. In essa si riflette una concezione dello Stato ridotta a schema giuridico, e si oscura la verità storica di un popolo che 'sta', resiste e continua a reclamare riconoscimento.
Terza Parte – Neutralità e complicità: la violazione dei diritti umani nel silenzio europeo
1. Negare lo Stato nel contesto di un genocidio
Se un popolo è oggetto di sistematica distruzione, negarne lo status statuale equivale non solo a negare la sua sovranità, ma anche la sua umanità politica. In questo contesto, la posizione di Meloni oltrepassa il confine della legittimità politica per entrare nella zona grigia della negazione morale.
2. Il diritto all’autodeterminazione in tempo di crimini umanitari
Sostenere che la proclamazione dello Stato di Palestina sia controproducente mentre quel popolo viene bombardato, esiliato e affamato equivale a sospendere i diritti fondamentali in nome di una logica di potere.
3. La neutralità come violazione attiva
In una situazione di asimmetria radicale tra le parti, la neutralità diventa una forma di appoggio implicito alla parte dominante. Il mancato riconoscimento diviene così una forma indiretta di legittimazione della violenza in corso.
4. Conclusione: da reificazione concettuale a collusione etica
La dichiarazione di Meloni, nel contesto attuale, non può più essere letta solo come formalismo diplomatico. Diventa una forma di contiguità con la negazione sistemica dei diritti fondamentali di un popolo che rischia l'annientamento.
Nota dell’autore:Il presente articolo esprime un’opinione politica e filosofica, basata su fatti pubblici e osservazioni etico-politiche. L’intento è contribuire al dibattito democratico su una questione di interesse generale. Non si intende offendere né ledere la reputazione di alcuna persona o istituzione.