Ieri eravamo in manifestazione a Savona, non a Milano. E abbiamo visto coi nostri occhi tanti visi giovani, tanti bambini che, issati sulle spalle dei genitori, tenevano in alto i disegni che avevan preparato per i loro coetanei di Gaza, tante persone normali che lavorano in banca o nei negozi, persone che incontriamo tutti i giorni.
Ecco, la maggior parte delle manifestazioni che ieri hanno attraversato lo Stivale erano di questo tenore: lo testimoniano centinaia di foto e di video sui social, quegli stessi social che si sono incaricati di mostrarci l’orrore che da due anni tanti governi e - ahinoi - tanti giornali tentavano di nascondere.
Perché quindi oggi si parla solo di ciò che è avvenuto a Milano, come al tempo del G8 del 2001 si parlava solo degli infiltrati violenti del black bloc?
Forse perché certe immagini in televisione funzionano bene, e questo da diverse parti lo sanno. Quindi avanti coi lanciatori di sampietrini e di fumogeni, con gli sfondatori di vetrine, coi tiratori di molotov. Che così l’Italia pensa che chi è per Gaza sta - per assurdo - con la violenza.
D'altronde se dopo un terremoto inquadri una casa crollata si pensa che sia crollato l'intero paese.
Non è così. La mobilitazione delle coscienze davanti al massacro dei palestinesi non è che un (tardivo) risveglio di umanità in una società parcellizzata e individualista che non ha più occasioni d’incontro né di dialogo, occasioni che i vari decreti ‘sicurezza’ cercano di limitare ancora un po’.
Ecco, non perdiamo la bussola e non facciamoci ingannare. Ieri l’Italia pacifica e giusta è scesa in piazza per Gaza, per donne e bambini bombardati, amputati, affamati.
Per chiedere al nostro governo e a tutti gli altri di sanzionare chi sguinzaglia un esercito feroce contro la popolazione civile inerme.
Qualche violento messo lì apposta per spaccare vetrine non fermerà la richiesta di giustizia e di pace.
Non sarà una cosa finta a sporcare una cosa vera.