Cultura05 settembre 2020 15:11

We can be heroes

… Non solo per un giorno (di Chiara Pasetti)

We can be heroes

Settembre, andiamo. È tempo di migrare, scriveva Gabriele D’Annunzio ne I pastori, poesia che un tempo si imparava a memoria fin dalla scuola elementare, ora non più. Una poesia che descrive le emozioni dolci e nostalgiche del nono mese dell’anno, che per la maggior parte di noi è considerato il primo perché coincide con la riapertura della scuola dunque di un nuovo ciclo scolastico-accademico e con la ripartenza, dopo le ferie, di tutte le attività lavorative.

 

Un mese di progetti, anche, di nuove iniziative, che di solito si cerca di avviare prima della chiusura dell’anno solare.

Questa volta il mese di settembre inizia, così emerge dall’umore delle persone e dai commenti sui social, con una grande stanchezza e sfiducia; molti non hanno fatto nessun giorno di vacanza a causa della crisi economica che ha colpito quasi tutti i settori professionali, altri hanno lavorato per recuperare i mesi del lockdown, altri ancora, in particolare coloro che hanno problemi di salute o un’età non più giovanissima, erano troppo spaventati all’idea di poter contrarre il virus in località turistiche in cui il distanziamento non è stato propriamente rispettato, e non potendo contare su seconde case isolate dal mondo hanno preferito, prudentemente, stare a casa.

Ciò che accomuna tutti pare essere un senso diffuso di incertezza, di tristezza su ciò che ci aspetta e di scontento per alcune decisioni del governo che non sono state esattamente adeguate.

Siamo stati tutti ragazzi e chi scrive conosce molto bene il desiderio di ballare e di stare insieme che non è certo tipico solo dei più giovani; ma era necessario quest’anno, dopo ciò che abbiamo vissuto nei mesi scorsi, andare in discoteca appiccicati e senza protezioni, rischiando la propria e l’altrui salute? No, ma è evidente che se la cosa era consentita molti hanno esercitato un proprio diritto, forse ignari dei rischi che potevano correre ed eccitati all’idea di tornare alla tanto decantata vita normale.

Viene naturale domandarsi quale sia questa cosiddetta vita normale soprattutto per i ragazzi, che avendo in senso letterale tutta la vita davanti, e il proprio futuro da costruire, dovrebbero essere i più coinvolti dal tema studio e lavoro. Può darsi che alcuni lo siano ma in generale, ormai da tempo, i giovani sono del tutto disinteressati e passivi, anche perché gli adulti non stanno offrendo loro esempi di coraggio, senso civico, rispetto, solidarietà e valore etico e umano.

Ogni generazione ha rimpianto il passato e il refrain “ai miei tempi era meglio” è uno dei più abusati nonché fastidiosi che si possano dire a un giovane che si affaccia alla vita adulta. La generazione dei 40-50enni di ora tuttavia ha almeno questo (triste) privilegio: non poter dire che prima “era meglio”.

Abbiamo ereditato un Paese che dopo il boom degli anni Ottanta non ha fatto che impoverirsi da ogni punto di vista, siamo diventati pigri e senza speranza, in attesa che qualcosa potesse magicamente cambiare ma senza essere protagonisti del cambiamento. Ora ci ritroviamo a raccogliere i cocci di una politica che ha rubato e derubato sogni, prospettive, possibilità, a noi e ai nostri ragazzi.

 Il covid-19 ha fatto emergere prepotentemente le (enormi) falle del sistema sanitario, scolastico, sociale, intere classi di lavoratori hanno preso coscienza di non avere alcuna tutela e di essere, per lo Stato, del tutto invisibili, e ha ridotto in miseria un’enorme fascia della popolazione che viveva alla giornata, con un senso di precarietà e di mancanza di certezze tanto angosciante quanto ingiusto.

Non è colpa del virus, però: esso non ha fatto altro che «far zampillare al sole ciò che era prima era nascosto» (G. Flaubert).

Abbiamo accettato di lavorare per salari indegni, di prestare le nostre competenze in ogni campo senza contratti a nostra tutela, di mandare a scuola i nostri figli in edifici che cadevano a pezzi (ogni mese accade qualche tragico incidente a ricordarci l’inadeguatezza delle strutture, ma per una di esse sistemata ne restano mille altre in condizioni fatiscenti), di non essere adeguati al resto dell’Europa sul piano delle competenze linguistiche e informatiche, che nel momento in cui si è resa necessaria l’attivazione della didattica a distanza per fronteggiare l’emergenza si sono rivelate del tutto insufficienti per la gran parte degli studenti e anche dei docenti.

Ci siamo lamentati, arrabbiati, abbiamo passato notti insonni (alcuni, non certo tutti) nel tentativo di capire come provare a trasformare una situazione di privazione in un’opportunità, abbiamo sbrodolato sui social la nostra frustrazione, compiacendoci di ricevere qualche like da chi la pensa come noi e perdendo tempo litigando con chi invece è contrario alle nostre idee…

E poi? Come le abbiamo difese, le nostre idee? Come abbiamo combattuto per noi stessi e per le generazioni più giovani?

Siamo sicuri di aver dato ai nostri figli e ai ragazzi in generale un esempio da seguire, o al contrario abbiamo mostrato loro una maschera di insoddisfazione e fallimento, di pavidità e piagnisteo, che non può certo averli aiutati a costruirsi una coscienza civica e a diventare dei “buoni cittadini”, rispettosi dell’ambiente e della vita stessa?

Personalmente non credo che sia stato fatto davvero “del nostro meglio”.

Ma siamo ancora in tempo, anche se sta per scadere.

Tra poco più di una settimana dovrebbero riaprire le scuole, chiuse da febbraio.

Dai banchi a rotelle alle mascherine, distanziamenti, doppi turni, promesse di soldi e pc per tutti, ingressi separati, aule più grandi a disposizione, precari, supplenti, proposte di aprire dopo le elezioni e molto altro ne abbiamo sentite di tutte, in questi mesi, e non c’è nessuna garanzia che si possa davvero ripartire in presenza, con un’emergenza sanitaria che non accenna a mollare la presa.

La sola cosa sicura è che il diritto allo studio deve essere garantito e che siamo noi adulti e poi i ragazzi stessi a dover fare di tutto per tutelarlo, così come gli altri diritti inalienabili (?) dell’essere umano.

Potranno davvero tornare a fare lezione o il covid renderà nuovamente necessaria la dad? E come sarà regolata eventualmente la dad?

Chissà.

Potranno, potremo, tornare nei teatri, ai concerti, al cinema, a visitare i musei e le mostre, così come si è tornati nelle spiagge, in discoteca, nei bar, al ristorante, ecc.? Arriveranno i soldi a sostegno dei lavoratori dei settori culturali, che sono tra i più in difficoltà da mesi, impossibilitati a recitare, a cantare, a riunirsi per nuove produzioni?

Domande per il momento senza risposta.

 E se è vero che alcune cose sono assolutamente imponderabili, altre non dovrebbero (più) essere lasciate al caso.

Domani, sei settembre, ci sarà un grande evento all’Arena di Verona: Heroes – Il futuro è adesso. Si tratta del primo concerto in live streaming interattivo, che porterà sul palco dell’Arena quaranta artisti tra cui Achille Lauro, Fedez, Marracash, Salmo, Ghali, Brunori Sas, i Subsonica e molti altri. I biglietti sono ancora disponibili on line e ad oggi hanno superato le trentamila vendite; il ricavato andrà interamente a sostegno del fondo “Covid19-Sosteniamo la Musica”.

Il pubblico sarà a casa e non sulle gradinate, ma è un’iniziativa degna di nota che dimostra la volontà di trovare altre vie rispetto a quelle consuete per fruire della musica, in questo caso, e anche per fare rete e aiutare un intero settore a non soccombere.

È importante se non fondamentale tentare strade simili in tutti gli ambiti fortemente penalizzati dall’emergenza. Senza slogan e proclami ma mettendo in campo risorse ed energie preziose.

Per questo evento è stato scelto il titolo Heroes in omaggio agli “eroi” protagonisti della battaglia contro l’epidemia: medici e operatori sanitari.

Inevitabile pensare anche al celebre pezzo di David Bowie, composto dal Duca bianco insieme a Brian Eno nel 1977 durante un periodo di autoisolamento a Berlino. Interessante rileggere oggi ciò che disse Bowie stesso a proposito di questa canzone, una delle sue più celebri:

«Heroes è il grido disperato dell’ultimo romantico rimasto su un pianeta ormai distrutto».

L’ispirazione del pezzo pare sia venuta a Bowie guardando dalla finestra l’ex muro di Berlino, e vedendo due amanti che si ritrovavano ogni sera sotto le torrette di guardia.

Sebbene niente ci permetterà di stare insieme / Noi possiamo batterli, sempre / Possiamo essere eroi, anche solo per un giorno.

Malgrado l’ansia per il futuro, per la situazione sanitaria che preoccupa il mondo intero, per i risvolti economici ad oggi devastanti che questa sta avendo e purtroppo avrà nei prossimi anni, sarebbe bello e fecondo sentirci come quei due innamorati: con la sensazione di poter battere e abbattere ciò che ci divide e ci paralizza, ci tiene isolati gli uni dagli altri, ci spaventa, e ci rende incapaci di agire, lavorare, creare e sognare, nonostante tutto.

Se siamo noi adulti i primi a sforzarci di vivere non «solo per un giorno» con tale spirito questo momento così cupo e carico di dubbi e paure i giovani, romantici, idealisti e coraggiosi per eccellenza, non potranno che seguirci e iniziare un cammino che potrà portarli a credere ancora che il mondo possa essere un posto migliore di quello che hanno visto e che abbiamo lasciato loro finora.

Un mondo in cui le discoteche possono restare chiuse ancora un po’ (e scrivo ciò consapevole e solidale con le difficoltà dei proprietari di sale da ballo e simili), mentre ciò che non può e non deve restare chiusa è la loro mente e il loro cuore, il loro diritto a imparare e a godere, con scienza e coscienza (non solo nei confronti del coronavirus), di tutto ciò che di bello la vita offre, a ogni età.

Per una volta le parole di Antonio Gramsci dovrebbero valere prima di tutto per noi, per poter essere davvero un manifesto per i ragazzi:

«Istruitevi, perché avremo bisogno di tutta la nostra intelligenza.

Agitatevi, perché avremo bisogno di tutto il nostro entusiasmo.

Organizzatevi, perché avremo bisogno di tutta la nostra forza».

Facciamolo. Tutti.

Buon mese di settembre.

Andiamo, è tempo non di migrare ma di agire.

Affinché non sia solo la «morte di una stagione» (Antonia Pozzi), ma la nascita di qualcosa di nuovo. Finalmente.

[…]

vi è tanta pace

in questa vostra muta

rovina

che in pace ora alla mia

rovina penso

e sono come chi

stia sulla riva di un lago

e guardi miti le cose

rispecchiate dall’acqua –

(Antonia Pozzi, Settembre, 1933)

 

***

Per info sull’evento Heroes in programma in live streaming all’Arena di Verona:

https://tg24.sky.it/spettacolo/musica/2020/09/04/heroes-live-verona

Riproponiamo il corto di Mario Molinari e di chi scrive realizzato il giorno della Festa della musica (21 giugno), quest’anno “senza musica”.

“Sto mondo cos’è”, con Ghost di Achille Lauro, i contributi di Lisa Galantini e Federico De Caroli, un monologo di Matteo Bonvicino e brani di Blaise Pascal (Mario Molinari), Giacomo Leopardi (Federico Vanni) e Gustave Flaubert (Erik Rabozzi): https://youtu.be/HnWn_qliQPo

Chiara Pasetti

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