Cultura12 settembre 2020 19:13

Scuola, scimmie, sogni

Mettiamoci noi adulti, per un attimo, davanti al muro in silenzio; chiediamoci cosa stiamo facendo e abbiamo fatto per gli studenti e per i giovani in generale (di Chiara Pasetti)

Scuola, scimmie, sogni

Di solito chi scrive deve essere oggettivo, ma ciò che ho sognato ieri notte mi pare esprimere, in modo chiaro e criptico allo stesso tempo, angosce e sentimenti diffusi, pertanto scelgo di raccontarlo.

I sogni, Freud insegna, traggono origine anche da residui diurni; la mia giornata di ieri è trascorsa per la maggior parte del tempo analizzando il nuovo regolamento di istituto del liceo frequentato da mio figlio, cercando di comprendere la motivazione di alcune scelte che mi sembrano sinceramente poco sensate, constatando ancora una volta la totale confusione in cui versa l’orizzonte scuola, confrontandomi con genitori i cui figli frequentano altri istituti e leggendo e rispondendo ai tanti messaggi che da ieri rimbalzano sulla chat del “comitato genitori” e dei “rappresentanti di classe e di istituto”.

Da ieri, appunto.

Già, perché solo ieri è arrivato il regolamento nella bacheca della scuola, e solo ieri abbiamo appreso che i ragazzi inizieranno l’anno scolastico divisi in due gruppi per ogni classe: a giorni alterni, un gruppo in presenza e un gruppo con la didattica a distanza. Chi resta a casa perché ha sintomi sospetti o temperatura superiore a 37 gradi e mezzo non può collegarsi alla didattica a distanza, anche se magari ha soltanto un raffreddore e sarebbe perfettamente in grado di fare lezione.

Inoltre ogni giorno gli studenti devono recarsi a scuola con un’autocertificazione (una diversa, ossia uguale si spera poiché certifica lo stato di salute, tutti i giorni!), in cui la famiglia dichiara la temperatura del figlio/i e afferma che non è sottoposto a quarantena sanitaria.

 Tali regole arrivano in seguito al provvedimento del 9 settembre della Giunta regionale, la quale dice di aver sollecitato il Governo da settimane per assicurarsi che la temperatura venisse misurata a scuola ma a tre giorni dalla riapertura non era ancora pervenuta alcuna indicazione a riguardo. Del resto le linee guida nazionali per le scuole sono giunte solo alla fine di agosto.

Il provvedimento del 9 settembre della regione Piemonte ha generato un caos enorme, i presidi (non vorrei essere nei loro panni) stanno gestendo in modo diversificato la situazione (con relativi scontri e malumori di insegnanti e famiglie), ci sono scuole in cui tutti gli alunni faranno lezione in presenza perché dotati di aule tali da garantire il distanziamento e altre che hanno scelto di partire subito con la “dad”.

Alcuni genitori si rifiutano di stampare ogni giorno un foglio di autocertificazione (tenendo conto, anche, che non tutte le famiglie possono essere dotate di una stampante in casa), altre che evidenziano la difficoltà di misurare la temperatura dei propri figli ogni mattina: in alcuni casi i genitori escono prima dei figli per recarsi al lavoro o hanno più di un figlio e non riuscirebbero anche volendo a effettuare questa procedura. In più, non è detto che se uno studente non ha la febbre alle 7 non possa averla subito dopo un’ora a scuola.

Dubbi, domande, perplessità. In una parola, un casino!

È questo ciò che in tutti questi mesi siamo riusciti ad offrire ai nostri studenti? Un foglio di autocertificazione che diventeranno centinaia di fogli (e alberi), di nuovo la dad (sono stati spesi soldi per garantire una rete efficiente e velocissima in alcuni istituti, benissimo, ma non era importante destinarli anche per ampliare gli spazi se le aule non erano sufficientemente capienti da contenere tutte le classi in presenza?), la misurazione della temperatura a casa, e poi?...

Se si prova a porre questi interrogativi a chi di dovere, o non si ottengono risposte o le risposte sono che “la nuova ordinanza in vigore” recita ciò che si sta cercando passivamente (sebbene faticosamente) di applicare.

E se la nuova ordinanza non fosse corretta e rispettosa delle esigenze e degli strumenti di tutti? Non sarebbe doveroso provare a parlarne tutti insieme per trovare altre soluzioni, se queste sono inapplicabili, invece che tacciare di polemica chiunque desideri far sentire la propria voce e le proprie difficoltà?

Eravamo tutti d’accordo sulla priorità di riaprire le scuole (che probabilmente andavano riaperte già a maggio come in altre nazioni, anche per valutarne le conseguenze sui contagi) e ora, di fronte al nulla del Ministro all’Istruzione (che oggi compare in rete con una t-shirt “che fatica la vita da Ministra”… simpatica!), e di un’ordinanza arrivata, lo ricordiamo, il 9 settembre, ci arrendiamo immediatamente a un sistema che sta diventando una (triste) barzelletta?

Il senso di rabbia e impotenza di fronte a ciò che sta accadendo (non solo sul fronte scolastico, ma è sicuramente uno dei temi principali in questo momento) è profondo. Vengono in mente le parole di un giovanissimo Gustave Flaubert nel racconto Smar del 1839 (traduzione inedita in lingua italiana):

 

Tutto si era fatto vile.

Si rideva, ma di un riso d’angoscia; gli uomini erano deboli e cattivi. Il mondo era folle, sbavava, schiumava, correva come un bambino nei campi, sudava di fatica, stava morendo.

 

 

Nei suoi scritti giovanili, molti ancora inediti, la metafora del poeta-muto è ricorrente. Spesso egli parla di sé come di “un muto che vuole parlare e schiuma di rabbia».

Questa immagine, ben presente evidentemente nell’inconscio di chi scrive, e le nuove (non buone) dalla scuola, hanno generato il sogno di ieri notte.

 

Mio figlio e i suoi compagni erano a scuola, in aula.

Un docente sconosciuto era seduto in cattedra, la quale era protetta da un vetro di plexiglass. Anche i ragazzi erano separati gli uni dagli altri da una struttura di plexiglass, sembravano dei concorrenti di un quiz televisivo, ognuno dentro una sorta di cabina…

Non era consentito esprimersi a parole bensì alzando dei cartelli con scritto sì/no (chiaro riferimento al referendum imminente sul taglio dei parlamentari, non serve scomodare la psicoanalisi per capirlo).

Nel sogno provavo un’angoscia terribile all’idea che mio figlio e gli altri ragazzi non potessero parlare: un cartello luminoso in classe riportava il divieto di parola per non diffondere il covid nell’aria.

Alcuni di loro tra cui, naturalmente, mio figlio, si ribellavano, buttavano sul pavimento i cartelli di plastica, ed esprimevano le proprie opinioni facendo domande al docente, che come una statua li fissava immobile e muto.

Immediatamente arrivavano delle persone a prelevare “i ribelli” e li conducevano fuori dalla classe.

Per fortuna non tutti hanno una tale, tormentata, vita onirica!

La scenografia inquietante fotografa, forse, la sensazione non solo personale di costrizione e accettazione di una follia collettiva, benché esasperata e deformata dallo stato di sonno.

Tutti ci siamo sentiti almeno una volta nella vita impotenti e abbiamo avuto l’impressione di non essere ascoltati o peggio di essere impossibilitati a parlare.

 

Anche in questo caso il maestro di Rouen ha precorso tematiche e atmosfere.

In un suo racconto poco conosciuto in Italia, Quidquid volueris, presenta un personaggio straordinario. È stato definito, all’interno dell’opera di Flaubert, un testo fondatore ai fini di sondare le paure dell’uomo, di ieri e di oggi.

È forse, fra i suoi racconti della giovinezza, il più moderno; nel testo è presente una continua associazione di cinismo e lirismo, sogno e ironia, realtà e fantasia, sublime e grottesco, ed è ricchissimo di spunti importanti che non si potranno esaurire qui, ma vale la pena conoscere il protagonista.

 

La strana creatura ha un anno in più dell’autore, diciassette anni. Nonostante il suo aspetto a metà tra un animale, un uomo e un vampiro, Djalioh, questo è il suo nome, non ha nulla in sé di feroce o di crudele.

È il frutto di un esperimento scientifico avviato dall’Accademia delle Scienze, che voleva dimostrare la possibilità di «ottenere un incrocio tra scimmia e uomo»: nasce da un rapporto tra una donna e un orango. Il suo essere per metà uomo e per metà scimmia lo imparenta a due personaggi kafkiani, il protagonista della Metamorfosi e quello di Una relazione per un’Accademia.

«Meraviglia della civiltà» di cui porta tutti i simboli, «presuntuosità d’animo e aridità di cuore», Dialioh è un’anima piena di poesia e di passione, ama la natura, con la quale ha un rapporto panteistico, e si nutre soltanto dell’entusiasmo che scaturisce dal suo spirito. In lui «la poesia aveva sostituito la logica, e le passioni avevano preso il posto della scienza».

Giudicato da tutti «stupido», «matto», «idiota», è muto…

La sua bestialità, o meglio la sua bêtise è al contempo anche l’indice della sua profonda e diversa umanità. In questa impossibilità di esprimersi cui sembra condannato, con il suo silenzio rinuncia al linguaggio istituito, al linguaggio dei «borghesi» e dei savants; chiudendosi alla normalità e al luogo comune, si apre all’arte, a un mondo fatto di emozioni e di sentimenti, e si eleva all’indicibile.

 

Flaubert, presentandolo come un mostro della natura, esteticamente grottesco, lo trasforma in una creatura sublime, mentre Monsieur Paul, colui che ha voluto l’esperimento, è il vero mostro della cosiddetta cultura, della società civile.

Non c’è lo spazio per raccontare la vicenda che lo vede protagonista, che sfiora il genere pulp ante litteram, ma lo si è scelto per un’associazione del tutto personale con il sogno degli studenti muti e con ciò che sta avvenendo nel mondo della scuola, che è significativamente lo specchio di tutto il resto.

 

Otto anni dopo aver scritto il racconto in questione, nel 1845 Flaubert farà un viaggio in Italia in compagnia della famiglia per festeggiare il matrimonio della sorella; ne scriverà un resoconto sotto il titolo di Voyage en Italie. Qui si trova il prezioso racconto di un suo sogno notturno.

Prima dell’arrivo in Italia, in Liguria in particolare, durante una delle ultime tappe in territorio francese, scrive:

 

Ho sognato, circa tre settimane fa, che ero in una grande foresta tutta piena di scimmie; mia madre passeggiava a fianco a me. Più ci addentravamo fra gli alberi e più ne venivano: ce n’erano sui rami che ridevano e saltavano, molte venivano invece sul nostro sentiero, sempre più grandi e sempre più numerose. Mi guardavano fisso e io ho finito per avere paura. Si affollavano attorno a noi facendo cerchio. Una, poi, ha voluto carezzarmi e mi ha preso la mano. Le ho tirato un colpo di fucile alla spalla e l’ho fatta sanguinare. Ha preso a cacciare delle urla spaventose. Mia madre allora  mi ha detto: - Perché la ferisci, la tua amica? Cosa ti ha fatto? Non vedi che ti ama? Quanto ti somiglia!- E la scimmia mi guardava. Il suo sguardo mi ha lacerato l’anima, e mi sono svegliato…sentendomi della stessa natura degli animali, e fraternizzando con loro in una comunione tutta panteistica e tenera.

Letto alla luce del racconto sull’uomo-scimmia il sogno acquista un rilievo singolare, che avvicina ancor più Djalioh al suo creatore, e a tutti noi. In particolare sembra di vedervi in filigrana la storia del difficile rapporto di un autore con i suoi personaggi. Le creazioni di Flaubert lo imitano, lo riflettono, passano dall’essere guardate e osservate a guardarlo a loro volta, rincorrerlo, accerchiarlo, come le scimmie del sogno. Lo restituiscono a se stesso fino a fargli quasi paura, la paura di un bambino che si guarda nello specchio senza ancora aver capito di chi sia l’immagine riflessa.

E quando lo scrittore si sente minacciato, è allora che il personaggio-scimmia gli prende la mano, e lo guarda negli occhi.

Non c’è nulla di aggressivo in questo gesto, ma è un preciso atto di riconoscimento. La madre e il figlio conoscono il segreto della mutevolezza e della fragilità della scimmia, che è il segreto dello scrittore; sanno che la scimmia gli appartiene, che è parte di lui, e malgrado lui voglia negarlo, gli assomiglia, e viceversa. È una sorta di reciproca fusione e penetrazione, separazione e individuazione.

La vita di ognuno di noi contiene in sé ripetizione ed evoluzione.

Consapevole dei propri abissi, il sognatore che è in ognuno di noi, sia di giorno che di notte, comprende il fondamento stesso della vita, «fondamento che risiede nella crescita», e «diventa la chiave per capire la natura della creazione».

Egli ha in sé «la forza vivificatrice dello spirito umano, che si rinnova senza sosta, effettuando delle morti e delle rinascite» (Luzius Keller).

Chi siamo noi, le scimmie o il sognatore-autore? Paul il saggio, lo “scienziato” senza scrupoli, o il povero ragazzo-scimmia muto? Chi sono i nostri ragazzi, tutti gli studenti, delle creature “mute” ingabbiate nel plexiglass o dei ribelli che rompono i cartelli in classe? O niente di tutto ciò?

Certo è che in questo momento più che mai servono i sognatori e i ribelli, coloro che non hanno paura di parlare, che non si lasciano ridurre al silenzio, e che non permetteranno mai che gli studenti italiani di ogni età e scuola debbano piegarsi a logiche assurde, confuse, decise all’ultimo minuto da chi dovrebbe proteggere il loro diritto, fondamentale, allo studio.

Servono persone che abbiano idee e la forza di portarle avanti. Serve onestà, coraggio, collaborazione e competenza, questa sconosciuta…

Il protagonista del racconto di Flaubert, dopo un’esistenza «ai margini dell’umanità» vissuta in totale solitudine, nello scherno e nell’emarginazione, post mortem diventerà una leggenda.

Alla nostra povera società non servono “leggende” (se ce ne saranno meglio, ma non è necessario) bensì generazioni sicuramente responsabili ma a cui non sia negata la possibilità, nel rispetto di tutte le norme di sicurezza, di incontrarsi, di studiare, di recitare, di suonare uno strumento, di andare al cinema, di coltivare la bellezza e le potenzialità che hanno dentro.

Serve qualcuno che porga loro la mano e dica: “sono tuo amico”. E che chiunque tenti di “ferirli” (come Flaubert con la sua scimmia onirica) in qualunque modo sia fermato, con forza, da tutti, giovani e adulti.

Se spegniamo la speranza e l’entusiasmo dei giovani a suon di autocertificazioni, scarico di responsabilità, banchi a rotelle veri o immaginari, e con la cultura del silenzio e della sudditanza, o peggio del raggiro, della menzogna, dell’omertà, produrremo non dei “mostri” come Dialioh ma creature incattivite, prive di empatia e solidarietà, incapaci di pensare e agire. Che quando si renderanno conto dell’eredità che siamo stati in grado di lasciare loro, potrebbero non perdonarci. E non avrebbero torto.

Il covid era ed è qualcosa di imponderabile; la gestione e l’organizzazione di questa emergenza no, soprattutto ora.

Tanti anni fa in certe scuole alcune “maestre” punivano gli alunni indisciplinati mettendoli in silenzio, spalle alla classe, davanti al muro. Affinché provassero vergogna.

Mettiamoci noi adulti, per un attimo, davanti al muro in silenzio; chiediamoci cosa stiamo facendo e abbiamo fatto per gli studenti e per i giovani in generale.

Nel momento in cui ci voltiamo, dovremo avere il coraggio di non abbassare lo sguardo di fronte ai loro occhi (ancora) fiduciosi e pieni di sogni.

Piena solidarietà e in bocca al lupo di cuore a Presidi, docenti, studenti e famiglie per questo complicato, stra-ordinario, importante inizio dell’anno scolastico 2020-2021.

 

Mi vedo ancora, seduto sui banchi di scuola, assorto nei miei sogni sull’avvenire, e nel pensiero di ciò che l’immaginazione di un ragazzo può sognare di più sublime. […] Mi sentivo grande come il mondo, e avrei potuto essere ridotto in polvere da uno solo dei miei pensieri, se fosse stato di fuoco come la folgore!

G. Flaubert, 1838

 

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https://www.lanuovasavona.it/2020/09/09/leggi-notizia/argomenti/news-1/articolo/scuola-il-grande-casino.html

Sul racconto Quidquid volueris si permette di rimandare a: C. Pasetti, «L’artista è una mostruosità?», in Paure e speranze dell’uomo contemporaneo, a cura di D. Nano, Franco Angeli 2014.

Chiara Pasetti

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