Cultura03 ottobre 2020 18:06

Se non siete capaci di seguirmi, non mi trattenete

Jacqueline Pascal a 400 anni dalla sua nascita (di Chiara Pasetti)

Philippe de Champaigne, Jacqueline Pascal

Philippe de Champaigne, Jacqueline Pascal

In che modo possiamo ribellarci nei confronti di ciò che non riteniamo giusto? Fino a che punto siamo disposti a spingerci in nome dei nostri ideali? Quale prezzo siamo disposti a pagare per le nostre idee? A quanta libertà e diritti siamo disposti a rinunciare per ciò in cui crediamo profondamente? E ancora, c’è qualcosa in cui crediamo profondamente, al punto da sacrificarvi tutto, in alcuni casi la vita stessa?

Forse la storia di una donna vissuta quattro secoli fa può aiutarci a riflettere su dilemmi morali eterni che mai come ora, in questa fosca epoca covid, diventano pressanti per gli spiriti che si interrogano e che non hanno risposte certe, ma lottano tutti i giorni per non mettere a tacere la propria coscienza.

 

Il 4 ottobre del 1625 nasce a Clermont-Ferrand Jacqueline Pascal. Morirà lo stesso giorno trentasei anni dopo, nel 1661.

Il cognome Pascal si associa subito a Blaise, il grande matematico e filosofo dei Pensieri (1623-1662) che ebbe l’ardire, di fronte all’assoluto, di formulare la sua «scommessa»; per la vertiginosa radicalità del suo pensiero influenzò Voltaire, i romantici dell’Ottocento, Nietzsche, e «non ha ancora finito di parlare all’uomo» (Carlo Bo).

Ma Pascal non è solo Blaise: è appunto anche Jacqueline (1625-1661), sua sorella minore insieme a Gilberte.

Giovane dalla bellezza abbagliante, dall’ingegno brillante e dal precoce talento poetico, esercitò un influsso decisivo sul fratello. Prima di farsi monaca aveva composto versi eleganti e a soli dodici anni incantò la regina Anna d’Austria con un sonetto che le valse l’ammirazione di tutta la corte.

A Rouen, dove la famiglia si era trasferita, la giovanissima poetessa incontrò la protezione e gli elogi di Corneille e soprattutto entrò in contatto con l’ambiente di Port-Royal, il monastero riformato da Angélique Arnauld, la quale divenne badessa a soli diciotto anni ed ebbe il ruolo di madre spirituale nella vicenda di Jacqueline.

Angélique fu protagonista della drammatica vicenda passata alla storia di Port-Royal come “il giorno della grata”, in cui lasciò fuori dallo spazio monastico il pater familias e per questo venne accusata di parricidio. Una scelta e una riforma che non le verrà mai perdonata dalla chiesa cattolica.

Dopo l’incontro con la madre superiora per Jacqueline inizierà il cammino religioso. Preceduta dal padre e dal fratello nella conversione al giansenismo, dalla fine del 1646 non pensò ad altro che alla possibilità di entrare «nell’amata abbazia»; alla morte del padre, che non amava i conventi e dunque osteggiava il suo ardente desiderio, dovette fronteggiare anche l’opposizione del fratello, che inizialmente l’aveva sostenuta.

«La figlia e la sorella devota si trasformò in ribelle per seguire la vocazione», scrive Silvana Bartoli; il 4 gennaio 1652 Jacqueline entra definitivamente a Port-Royal, sostituendo il nome di battesimo con quello di una santa, Suor J. de Sainte-Euphémie.

Nel monastero si pratica una religione austera che, in autentico spirito di Riforma cattolica, insegnava alle monache unicamente a meritare la grazia di Dio, secondo gli insegnamenti di Jansen. La vestizione di Jacqueline è fissata per il 26 maggio 1652 (fece poi professione solenne il 5 giugno 1653), e le sue lettere raccontano il tentativo estremo del fratello di impedirla e l’ostinata, assoluta decisione della sorella di non cedere. E infatti Blaise la accompagnò infine all’altare, nonostante le ferite della loro lite bruciassero in entrambi.

«Non mi togliete ciò che non potete darmi, se non siete capaci di seguirmi non mi trattenete, non è il mondo che mi lascia ma io che lo abbandono», scrive la fiera Jacqueline.

Dopo essere stata incaricata maestra delle novizie nella casa di Parigi, viene trasferita nella sede di Champs per aiutare la priora. Nel frattempo la sua passione, la sua intelligenza, la sua libertà di coscienza e il suo totale abbandono a Dio avevano coinvolto finalmente anche Blaise.

Una donna come Jacqueline, così come molte delle monache di Port-Royal, spaventa e incanta per l’umiltà e la forza delle sue convinzioni; questo terrore arriva alle alte sfere, e i re e la gerarchia cattolica decidono di «chiudere i conti con una comunità che si avviava sulla strada della libertà di coscienza, dimostrando una capacità di attrazione sempre più pericolosa».

Trattate come eretiche e streghe, alle religiose viene imposto nel giugno del 1661 di firmare un Formulario che condanna la dottrina delle cinque proposizioni di Jansen contenute nel suo Augustinus. I papi e i vescovi lo hanno già condannato, ora tocca alla comunità di cui Jacqueline fa parte; lei, in tutta risposta, indirizza una lettera a Antoine Arnauld (l’erede dell’abate di Saint-Cyran, il confessore delle monache di Port-Royal), in cui esprime la propria indignazione e il proprio dolore di fronte al comportamento di coloro che, uomini di Dio, stanno giurando il falso, e la propria inattaccabile posizione di testimoniare la fede, anche a costo di dare scandalo.

«So bene che non tocca alle fanciulle difendere la verità; ma poiché i vescovi hanno un coraggio da fanciulle, le fanciulle devono avere un coraggio da vescovi. Se non tocca a noi difendere la verità, tocca a noi morire per la verità».

Con il suo gesto disperato Jacqueline «salva la dignità della religione cattolica» e ci spiega «perché bisogna dire no anche quando si sa che nessuno lo ascolterà». Due giorni dopo quella lettera, cui non ricevette risposta, lei, che in fondo era “solo” una donna e le era impedita alcuna trasgressione e volontà, viene obbligata, per poter continuare a essere monaca, a firmare il Formulario. Viene obbligata a negare la verità, a negare se stessa; con questo atto un’anima nata per condurre un’esistenza pura, attiva e ardente sa che non le resta altro che la morte.

Confinata ormai in una solitudine carica di senso di colpa per aver tradito il suo amore, e dunque se stessa, poiché «amare l’altro non è che amore verso di sé» (sempre Bartoli), Jacqueline muore quattro mesi dopo la firma, il 4 ottobre, alla vigilia del suo trentaseiesimo compleanno.

Suo fratello Blaise Pascal, dopo aver partecipato attivamente alle controversie sul Formulario sostenendo le tendenze più intransigenti contro le posizioni di compromesso, consacratosi ormai interamente a Dio morirà l’anno successivo.

Vocazioni e personalità come queste, da sempre e per sempre, non conoscono compromessi.

***

Nel XIX secolo il filosofo spiritualista Victor Cousin si occuperà delle «donne illustri del XVII secolo». La prima della sua galleria di ritratti è proprio Jacqueline.

Traduciamo per la prima volta in italiano un estratto dal suo Jacqueline Pascal. Premières études sur les femmes illustres et la société du XVIIͤ siècle, éd. Didier, Paris 1861.

 

[…] abbiamo intenzione di tracciare un ritratto di una donna molto poco conosciuta nonostante porti un cognome celebre, che ha ricevuto dal cielo facoltà rare e le ha messe da parte per qualcosa di più grande di tutta la gloria umana, che ha rischiarato sebbene per poco tempo il mondo di una fulgore vivissima, ed è andata molto presto a chiudere in un chiostro i piaceri dello spirito e della sua persona: questa donna è la sorella minore di Pascal, Jacqueline, suor Eufemia.

A dire la verità è stato naturale per noi occuparci di questo soggetto, dato il lungo e assiduo lavoro che ci ha occupato per due anni interi. Nella vicinanza intima che abbiamo intrattenuto con Pascal, non potevamo non incontrare la sua famiglia, suo padre Étienne e le sue due sorelle, Gilberte e Jacqueline, entrambe belle e spirituali.

[…] Tuttavia, se Jacqueline ci coinvolge già soltanto per il fatto di essere la sorella prediletta di uno dei personaggi più straordinari del XVII secolo, non esitiamo a dire che ella ci interessa allo stesso modo per se stessa, grazie a due caratteristiche eccellenti che si ritrovano in lei. Innanzitutto ella incarna le donne della prima metà del secolo, le contemporanee di Richelieu, Cartesio, Corneille, […], che senza saper scrivere e senza mai aver imparato a farlo come coloro che verranno successivamente, nel momento in cui, per necessità, hanno preso la penna, hanno trovato nel loro animo e nel loro cuore tratti ammirevoli e prodotto spesso pagine che i più grandi scrittori invidierebbero. Jacqueline Pascal è al primo posto fra queste donne, nei confronti delle quali non vogliamo dissimulare tutte le nostre preferenze. Ma è per un altro aspetto ancora che lei ci è cara […]: rappresenta ciò che nel XVII ammiriamo non meno della filosofia di Cartesio, della poesia di Corneille, […] ossia Port-Royal.

[…] «Chi non conosce Port-Royal non conosce tutta la natura umana». Ripetiamo dunque, con profonda convinzione, ciò che abbiamo già detto altre volte: Port-Royal è forse «il luogo del mondo che ha racchiuso nel più piccolo spazio il meglio della virtù e del genio, la maggior parte di uomini straordinari e di donne degne di loro» [da Du Vrai, du Beau et du Bien dello stesso autore, n.d.r.].

Esse si proponevano un ideale sublime, l’imitazione di Gesù Cristo, e ci sembra che vi si siano avvicinate tanto quanto è permesso alla fragilità umana.

Jacqueline Pascal, lei è Port-Royal tutto intero, con le sue qualità e i suoi difetti.

Giovane, spirituale, estremamente raffinata, fin da piccola con l’indole delle più brillanti compagnie, ha lasciato tutto, anche il suo vecchio padre e il fratello malato, per donarsi a Dio; è entrata nella religione a ventisei anni ed è morta a trentasei, di dolore e rimorsi per aver firmato, per pura deferenza nei confronti dell’autorità dei suoi superiori, un formulario equivoco.

Grandissima virtù, inflessibile attaccamento a ciò che lei riteneva la verità, sincerità coraggiosa, disprezzo di tutte le comodità della vita […]. Quanto ai suoi talenti, non vorremmo esagerare ma è certo che esistono poche donne nel XVII secolo, e tra le più illustri, altrettanto finemente dotate.

Aveva qualcosa della tempra del genio di Pascal, la sua ingenuità, vivacità, il suo acume, la gravità e l’energia. […] Aveva ricevuto dal cielo l’ispirazione e la potenza poetica.

 

[Victor Cousin riporta di seguito la lettera scritta da Jacqueline Pascal a suor Angélique de Saint-Jean relativa alla firma del Formulario, datata 23 giugno 1661; un esempio di coraggio e invito alla resistenza nei confronti dei superiori che chiedevano alle monache di giurare il falso; due giorni dopo aver scritto quella lettera Jacqueline fu costretta a firmare. Morì il 4 ottobre successivo].

Chiunque abbia conservato il sentimento della bellezza delle convinzioni disinteressate, della dignità del carattere, della perseveranza spinta all’eroismo, che sia giansenista, gesuita o filosofo, non può non considerare Jacqueline come un’anima nobile e uno spirito raro.

[…] Alla fine di questa breve tragedia riprendiamo un attimo la parola, come sulla tomba di un’eroina, per rivolgerle un ultimo addio ed esprimere, con una libertà piena di rispetto, i pensieri di un uomo del XIX secolo sulla reale maniera di comprendere e risolvere il problema del destino umano.

Victor Cousin

E riprendiamo anche noi un attimo la parola, ammirati da tali grandezze di essere umani, solo per sottolineare che il nome scelto da Jacqueline nel momento in cui si fece monaca fu Eufemia, in onore di Eufemia di Calcedonia, la santa che si rifiutò, insieme ad altri cristiani, di immolare una vittima a una divinità pagana. Curiosamente il significato etimologico del nome è «colei che parla bene». Singolare per chi aveva scelto la clausura e dunque fatto voto di silenzio.

Ma in effetti, nell’antichità, con questo termine si indicava il silenzio che accompagna il sacrificio…

 

L’umiltà senza forza e la forza senza umiltà sono entrambe pregiudizievoli: è ora più che mai il tempo di ricordare che i pavidi sono messi sullo stesso piano degli spergiuri e degli esecrabili.

Jacqueline Pascal

 

Odilon Redon, "Le silence éternel de ces espaces infinis m'effraie" (B. Pascal)

Per approfondire:

Jacqueline Pascal, Il coraggio delle fanciulle. Lettere, a cura e traduzione di Silvana Bartoli, et al./edizioni, 2013.

Charles-Augustin de Sainte-Beuve, Port-Royal, Sansoni, Firenze 1964.

Blaise Pascal, Œuvres complètes, Gallimard, Paris 1998-199.

Chiara Pasetti

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