News05 dicembre 2020 18:01

Covid 19: effetti collaterali. Sugli adolescenti. Report da un reparto psichiatrico

Il dibattito - spesso surreale - sulla scuola rischia di far dimenticare che il trauma collettivo della pandemia s’innesta su un terreno sociale che era già fragile: a farne le spese in termini emotivi sono soprattutto i giovani, che faticano sempre più a progettare un futuro e non di rado finiscono nei reparti di Psichiatria. Nella Asl savonese un percorso innovativo sta dando ottimi risultati, e arrivano ragazzi da molte città del Nord Italia: un intervento precoce, come accade nelle altre malattie, può salvare molte vite

Covid 19: effetti collaterali. Sugli adolescenti. Report da un reparto psichiatrico

Spesso non si ammalano di covid 19, ma questo periodo per loro è durissimo: abbiamo chiesto allo psichiatra Vittorio Valenti - che dirige il Dipartimento Salute mentale e Dipendenze della Asl 2 Savonese - quale sia l’effetto della pandemia sui giovani.

“Certamente l’impatto è traumatico” conferma Valenti. “Il covid 19 è infatti un elemento di trauma collettivo ma anche individuale: molte cose sono cambiate radicalmente in pochissimo tempo, e spesso i cambiamenti, pur destinati a strutturarsi, non sono stati pensati.” 

In meno di un anno, insomma, abbiamo dovuto affrontare un mondo nuovo: che però poggiava su debolezze antiche. 

Molti ragazzi, spiega Valenti, erano già in una situazione precedente di grande fragilità. 

Disturbi dell’umore, per esempio, e disturbi gravi dell’alimentazione - che nei due terzi dei casi, specifica lo psichiatra, preludono a un disturbo grave della personalità, e nel terzo restante, specie nei casi di anoressia, possono essere inquadrati come nuove malinconie e significare gravi depressioni psicotiche.

Adesso i giovani devono fare i conti con un’esperienza di vita sconvolta dalla pandemia che porta con sé l’elemento più forte, quello della morte: “Vulnerabilità e rischio psicopatologico sono in crescendo. Come emerge una patologia grave? Certo c’è una vulnerabilità personale, anche biologica: ma esce fuori solo se si verificano elementi scatenanti. La pandemia, che mette in crisi anche le minime sicurezze, certamente porterà con sé un’ulteriore ondata di malessere”.

Gli chiediamo cosa pensano della situazione i ragazzi che incontra: “la maggior parte di loro non sono negazionisti, anzi cercano di stare attenti. Certo per gli adolescenti frequentare i coetanei è una necessità di sopravvivenza”. 

Lo sa bene Elena Pioppo, psicologa dell’Asl 2 che opera anche nel consultorio del Centro Giovani e osserva come spesso, in questo periodo, i ragazzi si sentano deprivati di esperienze che domani non potranno più avere lo stesso sapore: “Questa cosa avrei dovuto farla adesso, a vent’anni non mi interesserà più!”.

“Consideriamo - osserva Valenti - che l’esordio del 75% delle patologie psichiatriche avviene in giovanissima età, addirittura dai 12 -13 anni fino ai 22, 23 anni. Eppure paradossalmente è proprio in questa fascia di età che c’è il minor intervento sanitario specialistico, mentre un’intercettazione precoce del disagio sarebbe di assoluta importanza”. 

Gli adolescenti che mostrano angoscia e instabilità emotiva hanno tanti modi per (non) esprimere la loro sofferenza: uno di questi, emerso prepotentemente negli ultimi anni, è quello di tagliarsi. Spesso in parti del corpo che poi restano coperte dai vestiti. 

Un mostrare il disagio e, contemporaneamente, nasconderlo. 

“A volte arrivano in ospedale ragazzi che si tagliano da anni, eppure le famiglie e le altre sentinelle che dovrebbero esser presenti sul territorio magari non se ne sono mai accorte, oppure hanno sottovalutato il fenomeno. E quando arrivano da noi è perché qualcosa di clamoroso è già accaduto.”

I numeri dei ricoveri in reparto degli anni passati danno già un’idea del problema: nel 2018 ci sono stati 21 minorenni ricoverati nel reparto psichiatrico per adulti a Savona, sono stati 16 nel 2019. Attendendo i dati del 2020, che presumibilmente saranno ancora peggiori.

“Se un ragazzo finisce in reparto è perché nessuno è intervenuto prima a intercettare il disagio. Dovrebbero esserci antenne sul territorio, i primi livelli di incontro non dovrebbero essere sanitari: invece a noi capita di vedere il giovane per la prima volta quando è già nella condizione di dover essere ricoverato in reparto”.

Insomma, ci si impiega tanto tempo a intercettare i primi sintomi e a volte la situazione precipita.

Ma il reparto non basta: mediamente un ricovero in psichiatria dura tre o quattro giorni, e poi cosa succede? 

Nel Savonese sono state allestite strutture specifiche che funzionano benissimo: la struttura residenziale psichiatrica Villa Bugna, a Savona, e quella di Villa Livi negli spazi dell’ospedale Santa Corona a Pietra Ligure, che accoglie fino a sei ragazzi contemporaneamente per un periodo che può arrivare ai tre mesi, e li segue con un’équipe specifica. 

A Villa Livi in un anno, tra il 2018 e il 2019, sono stati ricoverati 31 ragazzi, la maggior parte dei quali minorenni.

Poi l’équipe continua a seguirli a Villa Frascaroli - sempre all’interno del Santa Corona. 

“Quando ho aperto - ricorda Valenti - i colleghi mi han detto ma sei matto, ti prendi i minori?” 

I minori certo sono una bella gatta da pelare: i loro casi sono complessi e la gestione è difficile, specie in spazi residenziali, ma secondo Valenti dev’esserci una via alternativa alle comunità terapeutiche - dove un ragazzo rischia di passare tutta l’adolescenza. 

E quest’alternativa non può che essere un progetto, che li accompagni nel loro riallacciarsi alla vita.

“Il problema della sanità è proprio questo, sa: che nessuno progetta più nulla. 

Noi 12 anni fa abbiamo costruito l’équipe per i ragazzi, poi siamo riusciti a far entrare nel dipartimento le neuropsichiatrie e abbiamo cercato strutture dedicate: non si può lavorare nello stesso modo con un ragazzo di 15 anni e un uomo di 45”.

E l’esperimento ha mostrato di avere successo: nelle strutture gestite dalla Asl savonese i ragazzi oggi arrivano anche da Chiavari o da Milano. Si esprimono volentieri con la musica tramite il laboratorio rap - un’esperienza innovativa portata avanti dall’équipe di Valenti che sta dando risultati importanti - e (re)imparano a parlarsi nei gruppi multifamiliari, incontrando gli altri ragazzi seguiti dall’équipe, le loro famiglie e quelle dei compagni. Ai gruppi spesso partecipano altre persone considerate importanti nei vari ambiti familiari e perfino gli animali domestici, soprattutto i cani. 

“A un adolescente chiedi come stai e ti risponde tutto a posto: non c’è più l’abitudine a parlarsi.

I nostri gruppi servono proprio a questo: a riprendere la capacità di parlare tra di noi e ad aiutare le famiglie a parlare coi propri figli. Abbiamo avuto casi di ragazzi che hanno scritto lettere ai propri genitori con tutto quello che avevano da dirgli e loro le hanno lette all’interno del gruppo, con evoluzioni importanti nel giro di pochi giorni”.

Un lavoro davvero di eccellenza - termine che raramente usiamo - e che naturalmente solo la sanità pubblica consente di portare avanti: a un privato non verrebbe neppure in mente, e Vittorio Valenti lo sa bene.

Ma gli investimenti in sanità, la pandemia dovrebbe avercelo insegnato, sono tutt’altro che a fondo perduto: sono le basi del futuro di un Paese. 

Speriamo quindi che nessuna privatizzazione presente o futura venga a toccare l’esperienza savonese, che anzi dovrebbe essere esportata.

Giovanna Servettaz

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