Protestano i ragazzi che non vanno a scuola regolarmente da quasi un anno, protestano baristi e ristoratori che hanno perfino organizzato una ribellione alle norme aticovid al grido di #ioapro, protestano interi settori economici in ginocchio.
La fotografia è quella di un Paese spaventato dove il senso di comunità è stato velocemente sostituito da milioni di disperate solitudini.
In tutto questo una crisi di governo era probabilmente l’ultima cosa che servisse, ma neppure si poteva continuare a minacciarla sui giornali per altre settimane senza far nulla.
Quindi ieri Matteo Renzi ha comunicato le dimissioni delle ministre di Italia Viva Bellanova e Bonetti e del sottosegretario Scalfarotto, dichiarando formalmente che l’unico paletto è “non dare mai vita a un governo con la destra sovranista” ma lasciando filtrare un’opinione assai poco lusinghiera sul primo ministro e la sua conduzione.
Giuseppe Conte ha accettato le dimissioni e informato il Colle, che da giorni fa trapelare “irritazione” (che nel gergo della stampa quirinalista significa furia cieca).
Nelle prossime ore vedremo come evolve la crisi e sapremo se alla fine si tratterà di un semplice rimpasto un po’ rafforzato oppure se nascerà un governo che presenti sensibili novità.
L’unica cosa che tutti coloro che fino a ieri han tenuto insieme la maggioranza temono davvero sembra essere il voto, chiesto infatti ripetutamente dalla compagine di centrodestra che vede davanti a sé una vittoria servita senza aver avuto bisogno di alzare un dito.
Sarà però difficile che si vada ad elezioni, mentre probabilmente sarà abbastanza semplice trovare una quindicina di senatori disposti a un piccolo danno d’immagine per conservare un mensile che equivale alla busta paga annua di un precario.
D’altra parte se gli italiani potessero votare sul voto, con la terrificante prospettiva di sorbirsi un’altra campagna elettorale, probabilmente la maggior parte di loro risponderebbe citando Melville: “Preferirei di no”.