Cultura03 luglio 2021 09:10

«Una piccola porta aperta sul mistero»

Bicentenario di nascita di Baudelaire e Flaubert: Odilon Redon ne fu il maggiore “interprete” (di Chiara Pasetti)

«Una piccola porta aperta sul mistero»

Sono sempre stata affascinata dalle litografie.

L’ultimo anno del liceo scoprii per la prima volta il pittore simbolista Odilon Redon, nato a Bordeaux il 22 aprile 1840 e morto a Parigi il 6 luglio 1916.

Non potevo immaginare che negli anni mi sarei trovata a scrivere saggi su di lui e a recensirne mostre e cataloghi, ma in effetti il colpo di fulmine fu immediato.

Ciò che mi incantò non furono i suoi dipinti eterei, di fiori e farfalle, passaggi cromatici morbidi, colori pastello, ma appunto uno dei suoi “neri”: Sognando vidi nel cielo una visione di mistero. Una litografia che fa parte di un album che Redon inviò a Mallarmé. A diciotto anni, per un animo sensibile e innamorato della letteratura e dell’arte, questa commistione di generi e il disegno così enigmatico e disperato mi affascinò e mi sconvolse.

Anni dopo scoprii che Redon aveva realizzato moltissime litografie, dedicando un album a Goya, uno a Poe, ben tre serie di “neri” alla Tentazione di sant’Antonio di Flaubert e una serie ai Fiori del male. La mia passione per questo pittore mi portò a scegliere una sua litografia come logo per l’associazione culturale che fondai anni fa, dal disegno e dalla didascalia meravigliosamente evocativi (www.lereveetlavie.it).

Volendo brevemente ricostruirne la personalità e il percorso umano e artistico, che meriterebbero ulteriori indagini proprio nell’anno del bicentenario di nascita di Flaubert e Baudelaire, un testo imprescindibile è À soi-même, in cui il pittore racconta anche della sua nascita in pieno oceano, in mezzo alla tempesta.

«Sembra […] che io avessi desiderato di nascere – a causa del ritardo, del caso o del destino – tra quelle onde che in seguito ho spesso contemplato dall’alto delle scogliere della Bretagna, con sofferenza e tristezza: un luogo senza patria su un abisso».

Questo passaggio rivelatore di un destino profetico dice molto di lui: il senso di appartenenza alla natura, di relazione con la creazione, e al contempo di isolamento, di sradicamento, che orienteranno tutto il suo disegno autobiografico. Subito dopo la nascita viene portato in campagna e affidato alle cure di una nutrice. Vive la sua infanzia nel Médoc, in una condizione di solitudine e isolamento imposta dalla famiglia a causa della sua natura debole, sensibile, e della salute precaria: si manifestano infatti molto presto crisi epilettiche (come accaduto anche a Flaubert). Ritorna a Bordeaux ormai undicenne; intorno ai quindici anni si sviluppano in lui la predisposizione al disegno e l’amore per la natura.

La natura sarà sempre la sua fonte o, come lui la definiva, il suo «lievito, fermento», la cui osservazione sfocerà poi in panteismo dopo la lettura di Spinoza.
Da Bresdin apprende la tecnica dell’acquaforte e poi della litografia e produce negli anni Sessanta dell’Ottocento molte opere con questa tecnica, per lo più paesaggi aridi e desolati che ricordano quelli della sua infanzia, caricati dell’esperienza della solitudine e della malattia.

Nel frattempo, ventenne, incontra una persona che lascerà per sempre un segno nella sua arte e nella sua vita: Armand Clavaud, botanico, che si dedicava a ricerche di fisiologia vegetale. Questi lo inizia alla letteratura, alla storia, alla filosofia, alle religioni e ai poemi orientali, Hindu, alla filosofia di Spinoza, e gli consiglia di leggere («con chiaroveggenza», annota Redon) Poe, Baudelaire, Flaubert.
Intorno ai primi anni Settanta avviene la trasformazione dal punto di vista tecnico: inizia il periodo dei Noirs (litografie, acqueforti, carboncini).

Dopo il debutto come pittore avverrà dunque la consacrazione come litografo. Soltanto dopo un lungo silenzio, e dopo molti lutti familiari, tra i quali il più doloroso è senz’altro quello del primo figlio Jean scomparso a soli pochi mesi di vita, Redon si esprimerà nuovamente attraverso il colore.
Nessuno meglio del pittore stesso ha definito il fascino del nero: «bisogna rispettare il nero. Nulla può corromperlo. Non piace agli occhi e non risveglia alcuna sensualità. È uno strumento dell’intelletto ben più del bel colore della tavolozza o del prisma».

Nasce il pittore «poète et philosophe» fedele all’ideale di Baudelaire, che penetra con l’intelligenza ciò che sembra frutto della casualità incontrollata, e fa di un’immagine una conquista della conoscenza e un’odissea del pensiero. Nei suoi noirs si rivelano un ascetismo espressivo e una condizione psicologica tendente alla malinconia: tuttavia, oggettivando questa tonalità psicologica in una costruzione artistica il suo ansioso pessimismo può ora trasformarsi in risorsa creativa.

L’amico scrittore Émile Hennequin regala a Redon la Tentation de saint Antoine di Flaubert, dicendogli che avrebbe trovato in quel libro «nuovi mostri»: il pittore lo ringrazierà scrivendogli di aver scoperto una meraviglia letteraria, e una «miniera» per le sue opere future.

Nelle tre serie che dedicherà alla Tentation del 1888, 1889 e 1896, ciò che vuole è mostrare la potenza dell’impulso vitale, indagare l’unità primordiale penetrando il mistero della vita e della creazione in una visione che coniuga in modo originale una metafisica della natura di radice romantico-idealista a preoccupazioni scientifiche tipiche del XIX secolo. Coglie così appieno anche il senso del testo flaubertiano.

In questi anni legge anche Montaigne e Pascal, autori amatissimi dallo stesso Flaubert e da Baudelaire. A Pascal Redon dedicherà un’opera in bianco e nero, che non presenta indicazioni di date: «Le Silence Éternel de ces espaces infinis m’effraie: Pascal», che ci proietta direttamente nelle atmosfere di alcuni passaggi noti dei Pensieri.

Molti critici hanno voluto vedere in quest’opera di Redon anche una sorta di autoritratto del pittore, immagine dell’uomo e della condizione umana, che ricalca le teorie di Pascal e i suoi interrogativi sul senso della vita, del cui mistero l’uomo ha una coscienza tormentosa ed esasperata, e al contempo immagine dell’artista, emarginato come l’Albatros di Baudelaire, mistico, mago, che comprende «il linguaggio dei fiori e delle cose mute» ma rispetta «l’inconoscibile, un aspetto che sfiora l’enigma».

Se fino all’album Hommage à Goya l’artista aveva voluto ricercare una sintesi tra procedimenti letterari e visivi, costruendo un proprio “testo” iconografico, un notevole cambiamento avviene con le opere che Redon dedica alla Tentation de saint Antoine di Flaubert e alle Fleurs du mal di Baudelaire.

«Tranne quando si è trattato di Baudelaire o Flaubert, le didascalie […] sono mie», ci tiene a precisare l’autore, «non sono illustrazioni, le mie, sono interpretazioni. I miei disegni ispirano e non definiscono. Non determinano nulla. Ci trasportano, come la musica, nel mondo ambiguo dell’indeterminato».

Tutte le litografie redoniane andrebbero analizzate con grande attenzione, perché in esse la trasposizione dei testi segue misteriosi e originalissimi percorsi.

Nello stesso anno in cui realizza la seconda serie per la Tentation, il 1889, Redon affida anche al bibliofilo e editore belga Edmond Deman una serie di nove disegni più una tavola finale ispirati a Les Fleurs du mal di Baudelaire. Da questi disegni, attraverso un processo di riproduzione fotomeccanica, vennero ottenute delle lastre, ritoccate poi con interventi manuali.

È Redon stesso a tentare di fornire un motivo del fascino che esercitavano le sue opere sugli scrittori: «cosa ho messo nelle mie opere per suggerire loro tanta sottigliezza? Vi ho posto una piccola porta aperta sul mistero. Ho creato realtà immaginarie. Spetta a loro andare più lontano».

Il senso di smarrimento e inquietudine, profondamente perturbante, che pervade tutte le opere di Odilon Redon, si traduce in immagini-incubi-visioni-chimere che attraversano secoli di letteratura, poesia, filosofia, e che affidano alla fantasia, questa «messaggera dell’inconscio, questo eminentissimo e misterioso personaggio», come la definiva Redon, sintesi di grottesco e tragico per Flaubert, la capacità di aprire le porte dell’ineffabile.

La litografia che io scelsi per la mia associazione culturale è intitolata L’œil comme un ballon bizarre se dirige vers l’infini, tratta dall’album À Edgar Poe: chiave di lettura che riassume (senza svelarlo mai del tutto) il genio e la poesia di Odilon Redon, il suo essere peintre-poète-écrivain et philosophe, e la magia con cui riesce ad aprire gli occhi dell’uomo sugli infiniti mondi fatti di luci e di ombre, di bianchi e di neri, che sono tanto fuori quanto, soprattutto, dentro di noi.


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Per approfondire:
www.artedossier.it/it/art-history/artist/redon-odilon/
Chiara Pasetti, «Incubi in bianco e nero», in Bruna Donatelli, Rifrazioni d’autore, Artemide, Roma 2012.
Odilon Redon. Sogni, chimere, misteri, a cura di Flavio Arensi e Pasquale Siniscalco, Milano, Silvana Editoriale, 2008.
https://www.corriere.it/gallery/cultura/04-2011/Redon-bn/1/odilon-redon-principe-sogno-opere-bianco-nero_81372006-5c42-11e0-b06c-b43ad3228bba.shtml?title= %25C2%25ABA%2520Edgar%2520Poe%2520/%2520planche%2520I%2520:%2520L%25E2%2580%2599oeil,%2520comme%2520un%2526pos=6&refresh_ce-cp#6%20
Odilon Redon, A se stesso, (Stefano Chiodi a cura di), Milano, Abscondita, 2004.

Spesso nel video progetto condotto con Mario Molinari, la partecipazione degli studenti e l’adesione di Achille Lauro, abbiamo inserito litografie o dipinti di Redon. La litografia per Blaise Pascal si trova in questo corto di un anno fa:
https://www.youtube.com/watch?v=Nx897gbnbE0&ab_channel=NininIndipendente  (min 3.14)

Chiara Pasetti

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