Nota dell’autore
Questo articolo nasce dall’esigenza di offrire una lettura storica e geopolitica della questione israelo-palestinese che sia libera da pregiudizi etnici o religiosi. Il focus è sulle responsabilità politiche e militari dell’attuale governance israeliana e sulle dinamiche di potere che, nel corso dei secoli, hanno trasformato la Palestina in un territorio conteso, frammentato e dolorosamente segnato da occupazioni.
La riflessione si colloca in una prospettiva etica universale: chi ha conosciuto la persecuzione non può infliggerla; chi è stato privato della libertà non può giustificare il dominio altrui in nome della propria sicurezza. L’analisi storica e la documentazione cartografica qui proposte intendono mostrare non un conflitto tra popoli o religioni, ma l’esito di un potere che, quando si emancipa dalla responsabilità etica, diventa distruttivo e mortifero.
Introduzione – Etimologia di Israele, Palestina e Gaza
• Israele – Dal termine ebraico Yiśrāʾēl (יִשְׂרָאֵל), “Colui che lotta con Dio” o “Dio prevale”, assegnato nella Bibbia al patriarca Giacobbe dopo il combattimento con un essere divino (Genesi 32:28). In seguito designò il popolo discendente da Giacobbe e, storicamente, il regno settentrionale distinto da Giuda. Il moderno Stato di Israele (1948) ne ha ripreso il nome per legarsi simbolicamente all’eredità biblica. • Palestina – Dal latino Palaestina, a sua volta dal greco Palaistínē (Παλαιστίνη), derivato dal nome dei Filistei (Peleshet in ebraico), popolazione probabilmente di origine egea stanziata sulla costa sud-occidentale tra XII e VII sec. a.C. Nel 135 d.C. l’imperatore Adriano rinominò la provincia di Giudea in Syria Palaestina per attenuare il legame ebraico con la terra. In epoca moderna il termine ha indicato la regione del Mandato britannico (1920–1948) e oggi le aree rivendicate dai palestinesi. • Gaza – Dal greco Gáza (Γάζα), dall’ebraico e aramaico ʿAzzāh (עַזָּה), “fortezza” o “luogo fortificato”. Antica città cananea, citata nei testi egiziani del II millennio a.C. e nell’Antico Testamento come parte della Pentapoli filistea. Centro commerciale in epoca ellenistica e romana, ha mantenuto importanza anche sotto dominio islamico e ottomano. Oggi è il fulcro della Striscia di Gaza, enclave ad alta densità e cuore del conflitto israelo-palestinese.
Nessuno ha più diritto di te! In un mondo dove per accaparrarsi le risorse di questa vita si fa ricorso ora alla religione, ora ad una superiorità etnica, ora militare, propongo una tabella che evidenzia come in 13 secoli lo Stato attuale d’Israele e Palestina sia stato crocevia di civiltà e religioni diverse. E non sono mai mancate in queste popolazioni guerre, deportazioni e crudeltà. Oggi si assiste a qualcosa a cui bisogna dare testimonianza: in Israele nessuno può avanzare diritti di appartenenza più di un altro.
Evoluzione storica, etnica e religiosa
La tabella riassuntiva illustra la complessità con cui i popoli si sono mescolati per cultura o per religione, e come spesso la Forza abbia prodotto poi una apparente fase di stabilità a cui è seguito un ulteriore mescolamento. Tutto questo è anche espressione del grado di sviluppo delle civiltà a partire da quelle Assiro- Babilonese( La Mesopotamia) a quella Ellenica, da quella Fenicia a quella Egiziana, per poi addentrarci nel cuore della Palestina in cui tutte le civiltà si sono presentate in diversi contesti storici in base al grado di sviluppo culturale e tecnologico con cui poi hanno preso possesso. Una cosa è certa, che lo Stato Israeliano o Palestinese è stato di tutti e di nessuno! Se la tabella guarda l’antichità non posso non mettere in relazione la storia contemporanea che ha visto nuove culture ma sopratutto potentissime tecnologie di occupazione militare. Se penso alla dottrina Nixon a Trump, si fa strada lo sviluppo di una strategia di lungo periodo nel Medio Oriente che di fatto ha prodotto i risultati del recente genocidio di Gaza.
Dagli anni ’70 ad oggi, la politica estera statunitense — pur con variazioni di stile e priorità — ha mantenuto una costante: il contenimento politico, militare e ideologico del mondo arabo-musulmano, spesso sovrapponendo interessi strategici e narrazioni ideologiche.
Se 13 secoli hanno visto l’attraversamento di culture e civiltà straordinarie, che pur tuttavia sono state in lotta per una egemonia etnica, culturale, religiosa, non possiamo dire la stessa cosa negli ultimi cento anni, che hanno segnato il mondo con tre guerre mondiali, “l’ultima fatta a pezzi”, e con una dimensione la cui distruttività non trova pari nella storia umana. Non è in nome di Dio, ma l’effetto del Potere — come un fantasma che attraversa i secoli — capace di portare morte e distruzione a chiunque lo invochi per giustificare il dominio.
Gesù muore una seconda volta L’autore guarda a Gesù in modo laico: non perché rifiuti i valori etici e umani che quella figura storica rappresenta, ma perché non crede nell’esistenza di un Dio. Gesù, in questo testo, è evocato come simbolo universale di giustizia e compassione, non come entità divina. Forse non è da ritenere poco credibile che la leadership israeliana sia oggi pervasa non solo da una crudeltà che un tempo ha subìto sulla propria pelle, ma anche da un fanatismo che l'ha resa cieca al diritto dell’altro. Dopo decenni di conflitti, la governance israeliana sembra essere giunto a una propria “soluzione finale”, questa volta proiettata non su di sé ma sul vicino: il popolo palestinese, che vive da millenni in quelle terre e che oggi si vede negare il diritto all’esistenza. L’ideologia della “leadership israeliana” ha ritenuto di poter scongiurare il pericolo di una nuova deportazione — non ad Auschwitz ma, simbolicamente, in Egitto — solo attraverso la forza e l’occupazione. Ma Nyetanau non è Mosè, né per virtù né per autorità spirituale: incarna piuttosto la funzione di chi garantisce sicurezze illusorie, che la democrazia non potrebbe sostenere, proprio perché quelle sicurezze si fondano su crimini che riecheggiano quelli di cui essi stessi furono vittima. Dal 1947, anno in cui venne occupato un territorio che non può essere reclamato come proprietà esclusiva per una storia religiosa, è cominciata una lunga spirale di espropriazione e negazione dei diritti. Una storia che stride con i valori universali che dovrebbero animare chi ha conosciuto l’orrore della Shoah. Se io fossi stato un ebreo sopravvissuto ai campi, avrei visto nell’oppressione dei palestinesi non una vittoria, ma un tradimento della memoria e della giustizia. E forse, se Gesù di Nazareth — palestinese anch’egli, figlio di quella terra — potesse parlare oggi alla “leadership israeliana”, direbbe: "Avete dimenticato cosa significa essere stranieri e oppressi. Vi ho insegnato che il prossimo non è chi vi somiglia, ma chi è nel bisogno. Come potete rivendicare Dio e calpestare chi vi chiede pane, acqua e dignità? Voi che foste perseguitati, come potete ora perseguitare? La mia croce non è stata issata perché voi poteste erigere muri, ma perché cadessero le frontiere dell’odio." Gesù, in questo senso, muore una seconda volta: non per mano di un impero straniero, ma nel tradimento di chi ha dimenticato la sua parola, trasformando la terra promessa in una terra maledetta.
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