News30 novembre 2020 11:57

Attrezzare la città

L'emergenza sanitaria e l'aumento dello smart working per cambiare il volto di Savona: da città di transito, imperniata sulle crociere, a città di nuovi residenti (di Franco Astengo)

Attrezzare la città

La campagna elettorale per le comunali di Savona 2021 sarà necessariamente contrassegnata dall’esigenza di attrezzare la Città al combinato disposto tra innovazione tecnologica e risultanze economiche e sociali dell’emergenza sanitaria.

Si imporranno così due temi per affrontare i quali sarà necessario compiere un vero e proprio salto di qualità sul piano progettuale:

1) il primo punto sarà rappresentato dalla priorità di quella che, sbrigativamente, può essere definita “questione sanitaria”.

Siamo tutti consapevoli dei limiti che all’azione di un’amministrazione comunale sono imposti dalle competenze in materia, attribuite in gran parte alla Regione. Purtuttavia un’azione politico – amministrativa rivolta in due direzioni potrà essere efficacemente svolta: quella della difesa del patrimonio rappresentato dall’Ospedale San Paolo e quella del ritorno all’intreccio tra sociale e sanitario dentro a un’idea di presidio territoriale strettamente connesso a una ripresa e riqualificazione del decentramento da realizzarsi attraverso un riequilibrio di presenza territoriale tra le diverse zone della città sia sul piano della partecipazione, sia su quello della gestione amministrativa;

2) il secondo punto sarà costituto dal lascito più importante dell’emergenza sanitaria sul terreno della modifica dei comportamenti sociali e degli stili di vita dei singoli e delle famiglie. Ciò avverrà in esito al permanere nella presenza di fasce di lavoratori che continueranno a opera da remoto, in smart – working.

In questa occasione provo allora a concentrarmi su questo secondo punto cercando di sviluppare alcune riflessioni nello specifico.

Partiamo allora da alcune considerazioni di carattere generale sull’entità del fenomeno.

Le previsioni dell’osservatorio del Politecnico di Milano parlano di circa 5 milioni e mezzo di lavoratrici e di lavoratori in remoto a fine emergenza virus.

Secondo l’Istat la platea dei lavoratori a distanza potrà arrivare a oltre gli 8 milioni (è più di un terzo della massa di occupati totali in Italia che assomma a 23,4 milioni).

Durante la prima fase dell’emergenza sanitaria (da marzo a giugno 2020) si stima che oltre 6 milioni di persone abbiano lavorato a distanza.

L’incremento del fenomeno si misura facilmente se si pensa che a febbraio 2020 le lavoratrici e i lavoratori da remoto erano un po’ più di 600.000, contro i 200.000 di quattro anni fa.

Sono molti i fenomeni legati all’espansione dello smart working:

a) il cosiddetto “nomadismo digitale”, formato in gran parte da quelle persone che operano da remoto e che spostano la loro residenza in città più vivibili e comode rispetto alle metropoli;

b) la necessità di riordinare la cosiddetta “giungla digitale”. L’adsl è ancora molto usata. Per la banda larga e ultra larga esistono tecnologie diverse a onde radio, miste fibra – cavi, soltanto fibra e, in prospettiva il chiacchieratissimo 5G. Si gioca su questi elementi la cosiddetta “rete unica” e il rapporto pubblico/privato nel settore. E’ evidente che una città che aspiri ad essere sede (magari di ritorno) del cosiddetto “nomadismo digitale” dovrà proporsi per risultare attrezzata al meglio in questa direzione;

c) si apre il mercato dell’adeguamento delle risorse tecnologiche a disposizione di lavoratrici e lavoratori sia nella pubblica amministrazione, sia nel privato . Lavoratrici e lavoratori che nella prima fase emergenziale si sono trovati costretti a rimediare con mezzi propri;

d) sorgono problemi di grande portata al riguardo della giurisdizione del lavoro che, ovviamente, non possono far parte di questo intervento.

e) L’Italia è chiamata a compiere in questo senso un salto di qualità se si pensa come soltanto il 42% delle persone tra i 16 e i 74 anni possiede competenze digitali di base (media UE 58%, Germania 70%); la percentuale di specialisti ICT (discipline informatiche) sugli occupati è solo del 2,8% (3,9% in UE e Germania); solo l’1% dei laureati italiani è in possesso di una laurea in discipline ICT (3,6% Unione Europea; 4,7% Germania).

f) La nostra Città deve, allora, proporsi di essere parte di un grande sforzo di adeguamento insieme culturale e tecnologico e deve misurarsi con una capacità di progetto posta all’altezza di corrispondere alle nuove esigenze. E’ evidente che aspirare ad essere meta del “nomadismo tecnologico” (nell’ottica di un “ritorno di cervelli”) richieda un adeguamento strutturale nelle condizioni di vivibilità sotto l’aspetto urbanistico, dei servizi, della viabilità, della fruizione culturale, della qualità dell’offerta commerciale.

Si tratta di rovesciare l’idea di una “città di transito” (imperniata sulle crociere) a una “città di nuovi residenti”, nuovi residenti in questo caso provvisti di un elevato standard culturale e di richiesta complessiva nelle condizioni di qualità della vita.

Questione sanitaria e questione dell’adeguamento alle mutazioni richieste dall’innovazione tecnologica costituiscono quindi elementi prioritari di una prospettiva per il futuro che sarà necessario disegnare pena il restare rinchiusi nella morsa del declino, come attualmente sta avvenendo.

Franco Astengo

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