Cultura09 maggio 2021 13:12

Au revoir

di Chiara Pasetti

Au revoir

Ci sono momenti in cui tutto sembra insormontabile e insopportabile. 

Dopo un anno di pandemia, con un lavoro che è sempre stato precario e che negli ultimi tempi è diventato sempre meno retribuito, un’incertezza logorante su ciò che sarà il futuro, un figlio adolescente da crescere da sola, unitamente alla difficoltà di comprendere e accompagnare le sue emozioni e di cercare di non far pesare su di lui le mie ansie e le mie paure, negli ultimi tempi mi sono ritrovata a guardarmi allo specchio e a rendermi conto che ciò che credevo di aver costruito forse era solo un castello di carta. 

Anni di lavori non pagati o poco pagati a fronte di un impegno spesso molto consistente, la ricerca continua di alternative, che hanno portato spesso alla realizzazione di progetti culturali e artistici che tuttavia erano qualcosa di estemporaneo e non risolutivo di una situazione logorante sul piano della serenità economica, indispensabile per chiunque, mi hanno fatto lentamente aprire gli occhi e prendere consapevolezza che quando tutto sembra finito e ogni porta si presenta chiusa, non resta che fermarsi, guardarsi dentro e forse provare a cambiare percorso, se si vuole sopravvivere.

Ho creduto con tutta me stessa in ogni cosa che ho fatto, ma non è bastato. Almeno non in questo momento.

Il covid ci ha messi, tutti, di fronte a noi stessi, alle nostre scelte, ai nostri limiti, anche ai nostri errori. 

Mi ritengo una persona molto fortunata, perché ho una famiglia alle spalle su cui contare che non mi ha mai fatto mancare il proprio aiuto nei periodi difficili e, cosa principale, sia io che mio figlio e la mia famiglia siamo sani. Ma non solo… Ho tantissimi amici che mi hanno sempre sostenuta e tuttora mi ripetono quasi giornalmente che è un periodo duro per tutti, che passerà, che torneremo a guardare al futuro con fiducia e ottimismo. 

La maggior parte di loro, tra l’altro, sta attraversando momenti anche molto più difficili del mio sia sul piano economico che della propria salute, ma non dimentica mai di mandare un messaggio, di fare una telefonata, di chiedermi come sto e di farmi sentire il proprio affetto.

Ho riscontrato una solidarietà e una rete di amicizia intorno a me che mi commuove e rafforza la convinzione che ho sempre avuto e sempre cercato di praticare: se una persona a cui vogliamo bene è in difficoltà, per qualunque motivo, è nostro dovere aiutarla con i mezzi, gli strumenti e le parole che siamo in grado di donare. Senza giudicare e senza colpevolizzare, perché può capitare a chiunque di crollare, di avere la sensazione di non farcela, di sentirsi in gabbia, e l’isolamento a cui siamo stati costretti dall’emergenza sanitaria non ha certo favorito le relazioni sociali e dunque la possibilità di trovare e dare conforto, ascolto, appoggio.

Mentre scrivo queste righe mi sento in colpa nei confronti di chi ha perso il lavoro e non ha nessuno su cui contare, di chi è malato, ha perso persone care, è solo e senza prospettive. Tuttavia, ognuno ha il proprio vissuto ed è inutile e dannoso fare paragoni, la sofferenza deve sempre essere rispettata, compresa, accolta, prima di tutto da chi la prova, che senza paura né vergogna deve avere il coraggio e l’umiltà di chiedere aiuto.

Ho quarantacinque anni, non guadagno da mesi, la scuola in cui insegnavo con passione ed entusiasmo mi ha lasciata a casa con motivazioni che definirei grottesche e umilianti non tanto per me quanto per gli studenti (“lei vuole costruire Ferrari, qui fabbrichiamo brutte Cinquecento”, mi è stato detto da chi dovrebbe avere a cuore la formazione di ragazzi adolescenti sia sul piano umano che intellettuale, ma la colpa è mia nel non aver capito quali fossero le regole del gioco e non aver saputo adeguarmi), ho dedicato la mia vita a studi, letture e attività che mi hanno dato molta gioia e soddisfazione ma non si sono, almeno finora, tramutate in un lavoro più regolare e retribuito.

Mi sento come una ragazza appena laureata che non sa cosa farà da grande, e se vent’anni fa questa era una situazione stimolante, carica di aspettative e di prove da affrontare e superare, ora diventa una montagna da scalare, proprio nel momento in cui le energie, le forse fisiche e mentali e la speranza sono ridotte ai minimi termini.

Ho sempre avuto sogni, progetti, idee e molti li ho portati avanti con tenacia, impiego di risorse di tanti generi e persone che hanno creduto in me. 

Adesso, in un Paese piegato dalla crisi economica, che stenta a ripartire e che premia (da anni) il più furbo, il più “famoso”, il più “vendibile”, ogni (mio) progetto mi sembra inutile, destinato al fallimento, e non è da me rinunciare ancora prima di provarci, ma non sopporto più di rincorrere persone che promettono collaborazioni e poi spariscono, non rispondono a una mail, a un messaggio, lasciano cadere le loro stesse proposte senza una spiegazione. Mi chiedo anche, è inevitabile che sia così, se c’era del talento in ciò che ho fatto, perché altrimenti probabilmente non mi troverei così in difficoltà. Chissà…

Insomma, sono sfinita.

Per questo e per mille altre motivi, nel rispetto del giornale che ospita la mia rubrica da un anno e dei lettori che mi hanno sempre letta con affetto, sento il dovere di comunicare che ho bisogno di prendere un momento di pausa. La paura del presente e del futuro e la grande delusione di aver visto naufragare molte cose in cui ho creduto e per cui ho lottato mi tolgono lucidità e mi impediscono di scrivere articoli che io reputo degni di me, e di essere condivisi.

Tornerò, se questa testata vorrà riaccogliere i miei pensieri, quando almeno un po’ di tutto ciò che ingombra giornalmente la mia mente e pesa sul mio cuore sarà più leggero e quando sentirò nuovamente la forza e la capacità di formulare parole che non sembrino vittimiste e pessimiste. 

Ho sempre avuto il dono, credo, di saper infondere fiducia, ottimismo, allegria negli altri, ed è ciò che vorrei tornare a fare, ma che in questo momento proprio non mi riesce. Tradirei me stessa e chi mi legge se mettessi una maschera.

Devo ri-costruirmi per poter essere la persona che sono sempre stata, sicuramente più forte e più consapevole.

Arrivederci a tutti e un grazie infinito a La Nuova Savona per aver deciso di pubblicare queste mie righe.

E forza, a tutti coloro che si sentono come me ma non hanno neanche il privilegio di poterlo comunicare.

Con sincera stima e affetto per i lettori e il giornale,

Chiara

Ps. Per chi volesse comunque rimanere in contatto con me: chiarapasetti@libero.it

Chiara Pasetti

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