È sempre un azzardo domandarsi cosa pensano i morti - che probabilmente dall’alto dell’eternità a noialtri quaggiù dedicano solo qualche caustica risata - ma è inutile negarlo: ieri ce lo siam chiesti un po’ tutti se il Sandro nazionale ha buttato un occhio sulla sua Savona, che finalmente gli dedica una piazza e un monumento.
E se ha ripresentato domanda.
Non per il monumento in sé, che è certamente meglio del temibile simulacro di anziano-con-pipa e occhialoni sedici noni che ci aspettavamo al tempo dell’uscita del bando: magari si potrebbe voltarlo, in modo che le parole di Pertini non possano esser fruibili solo dai proprietari degli attici del nuovo San Paolo ma insomma, a questo ci penseremo quando i comunisti avran preso il potere.
Non è il monumento il problema.
Lasciamo perdere per carità di patria il passato recente, con le camicie nere incise sulla lapide commemorativa dei caduti della seconda guerra mondiale onorate da Sindaco e autorità varie prima che scoppiasse un putiferio inaudito.
Lasciamo perdere anche il presidente della Regione Liguria, che cavalca come una valchiria imbottita di pansoti perfino Pertini, a cui riesce a dedicare solo la triste epigrafe “è riuscito ad incarnare i valori costituzionali in gesti che potevano essere di persone normali: la solidarietà, la capacità di esprimere i propri talenti, il rigore nei comportamenti”.
Il guaio vero è la nota allergia alla parola che fu emblema dell’azione e della vita stessa di Pertini, quella impronunciabile “Resistenza” che vien sostituita da “libertà” dai nostri eletti maggiorenti, convinti probabilmente che sull’onda delle riaperture e della maledetta resilienza nessuno se ne accorga.
Non è così.
Pertini fece la Resistenza.
Pertini fu la Resistenza.
E nessuna libertà ci sarebbe, oggi, senza Resistenza.
Nessuna riapertura, nessuna ripartenza, nessuna resilienza.
Ora e sempre, Resistenza.