Crisi Complessa14 settembre 2023 17:40

Crisi complessa a tutto gas

Avert letto dell'ignobile passerella che si è svolta questa mattina presso la sede dell'Unione Industriali di via Gramsci e sentir esaltare le virtù del rigassificatore in termini di ricaduta economica non può lasciare indifferenti (di Franco Astengo)

Crisi complessa a tutto gas

Si comprende benissimo un giudizio di ripetitività e stucchevolezza al riguardo del discorso che sarà contenuto nel testo pubblicato di seguito.

Aver letto però della ignobile passerella che si è svolta questa mattina (14 settembre) presso la sede dell'Unione Industriali di via Gramsci e sentir esaltare le virtù del rigassificatore in termini di ricaduta economica non può lasciare indifferenti.

Soprattutto è necessario ricordare l'iter della procedura dell'area industriale di crisi complessa che rimane il punto nevralgico di questo stato di cose.

Mi auguro allora di essere perdonato se riporto la situazione all'indietro per tentare una richiesta di approfondimento di analisi (che non si risolve con i tavoli provinciali per lo sviluppo).

Franco Astengo

ATTENZIONE AL CONCRETO DI CIO’ CHE SIGNIFICA DICHIARAZIONE DI AREA DI CRISI COMPLESSA  (da una ricerca a cura di Franco Astengo – Luglio 2016)

Il precipitare della situazione economico – produttiva della zona centrale ligure, tra Savona, Vado Ligure e la Valbormida, acuita dalle crisi contemporanee della centrale Tirreno Power e del sito Bombardier ha creato grandi aspettative circa la possibilità che l’area sia dichiarata “di crisi complessa”.

In questo momento la soluzione appare come la panacea di tutti i mali.

Attenzione però, è necessario approfondire molti aspetti problematici sui quali sarebbe bene fare chiarezza

Prima di tutto è necessario mettere in guardia tutti i soggetti interessati di fronte ad un problema.

 Se si vogliono attivare questi strumenti si richiedono “due competenze: amministrativa e politica - istituzionale e di cittadinanza attiva, se vogliamo che i fondi non si perdano né per corruzione né per omissione”.

Andiamo quindi ad analizzare il decreto legge dell’agosto 2012 che riordina la disciplina delle aree di crisi industriale.

 Notiamo come:

-  Nel comma 2 la Regione è istituzione indispensabile e strategica di questo genere di accordi, sia nella istituzione dell'area di crisi che attraverso il cofinanziamento all’area (che non è esclusivo ma pone la regione come soggetto preminente),

- Nel comma 6 "Per la definizione e l'attuazione degli interventi del Progetto di riconversione e riqualificazione industriale, il Ministero dello sviluppo economico si avvale dell'Agenzia nazionale per l'attrazione degli investimenti e lo sviluppo d'impresa, S.p.A., le cui attività sono disciplinate mediante apposita convenzione con il Ministero dello sviluppo economico".

E’ necessario quindi avere chiari alcuni passaggi. Basta che Regione e Invitalia (questo il nome dell’agenzia) facciano sinergia, tra politiche finanziarie e scelta dei partner, e l’area interessata rischia di fatto l’imposizione di una politica dettata altrove.

Passiamo quindi a capire un attimo Invitalia. E qui c’è da vigilare moltissimo, visto che Invitalia è reduce dal sostanziale fallimento della riconversione di Termini Imerese e dai forti rilievi della Corte dei Conti, come già documentato dalla stampa quotidiana (n.d.r. in allora: ci sarebbero altre citazioni da aggiungere magari partendo da Piombino, attuale sede del famigerato rigassificatore).

Viste le indicazioni che vengono dalla vicenda tarantina, che pure ha originato il decreto, cerchiamo di capire come funzionano i fondi a supporto delle aree a crisi industriale.

 Il decreto è chiaro: i fondi provenienti dalle varie istituzioni riconducibili allo stato centrale sono vincolati ai“limiti degli stanziamenti disponibili a legislazione vigente e senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica".

Non ci vuole molto a capire che di stabilità la legge di stabilità regola e, se necessario, sposta e contrae questi fondi. E proprio una misura prevista nella legge rischia di rendere lo strumento della individuazione delle aree di crisi complessa una cornice vuota, perlomeno dal punto di vista dei fondi dello stato centrale. Infatti: nella bozza legge di stabilità per soddisfare il controllo previsto dal Two Pack di Bruxelles c’è “la previsione una riduzione di investimenti per 500 milioni: concretamente si tratta di spese relative al cofinanziamento di fondi europei, che le Regioni potevano escludere dai vincoli del Patto di stabilità interno. Ora questa possibilità, appena introdotta con l'articolo 36 della legge di Stabilità, verrà meno” (ricordare che il riferimento è al 2016 ma il meccanismo rimane)

Verifichiamo allora (è bastata una piccola ricerca in via telematica) alcuni elementi di criticità già rilevati in altre situazioni:

DE IURE. L’assenza di regolazione nel decreto dei vettori finanziari, player bancari etc. che sono decisivi per l’allocazione delle risorse e per riuscita e programmazione degli interventi. Non è chiaro ad esempio, si pone a problema da capire, il DL 120 del 1989, riordinato dal decreto del 2012 in questione, effettivamente come si ordini la questione dei player finanziari. Non è poco perchè una cosa è far intervenire la cassa depositi e prestiti in progetti di riconversione, altra, con ricadute sui costi pubblici e sulla qualità dell’occupazione, l’istituto del project financing

DE FACTO

Manca la comprensione dello strumento economico complessivo di riconversione del modello di sviluppo territoriale. Oltre infatti ad un rischio commissariamento Regione-Invitalia, che va scongiurato con patti seri e certificabili, c’è la questione delle risorse strutturali disponibili. Guardiamo ad esempio il destino dei fondi ex FAS, oggi coesione e sviluppo che possono rientrare nella cornice dell’accordo sulle aree a crisi complessa. Per sbloccare questi fondi bisogna capire quando c'è "disponibilità di bilancio in conseguenza delle scelte del legislatore (Governo e Parlamento) nella determinazione delle manovre correttive di finanza pubblica e delle annuali sessioni di bilancio" .

Il rischio che si corre e che è già stato segnalato da situazioni analoghe è quindi di legarsi ad accordi di governance dove, ci venga scusato il gioco di parole, non si governa. Magari si partecipa come oggetto dell’intervento di crisi, come oggetto di intervento su fondi e politiche di immediata emergenza. Ma dove, alla lunga, i soggetti forti sono altri, come la sinergia Regione-Invitalia, e dove i fondi reali appaiono fortemente vincolati dalle politiche di tagli del governo.

Ci sono poi altre questioni di fondo che non possono essere trascurate. Questioni che non ci risultano finora essere state discusse, in modo approfondito, in sede istituzionale. Prima tra tutte: si ha un’idea dell’impatto che ha un accordo sulle aree ad industrializzazione complessa ha sull’economia complessiva del territorio?

C’è poi la questione della sinergia politica industriale-ambientale  (tema particolarmente delicato nel frangente) e politica economica complessiva del territorio e strumenti finanziari (dal macro e microcredito).  

Capitolo secondo

Di conseguenza è necessario porsi alcune questioni:

  1. Se la richiesta dell’ottenimento di aree di crisi industriale complessa sia più adatta per l’emergenza, vedi questione fondi che la Regione può attivare, che non per la programmazione reale

  2. Se non ci siano delle criticità rispetto ad un ruolo subordinato degli enti locali entro questo genere di architettura istituzionale. Se l’architettura istituzionale che vede un ruolo forte della possibile sinergia Invitalia -Regione sia adatta per le esigenze della nostra zona intesa comprensorialmente da Albisola a Spotorno-Noli e Valle Bormida.

  3. Se ci siano effettivamente fondi adatti ad programmare in tempi certi, e da parte di chi, la riconversione la bonifica del territorio e in quali tempi.

  4. Quanto queste politiche possano produrre saldi occupazionali positivi, di lungo periodo ed economicamente significativi. Quale modello possa poi coprire il resto ovvero la parte significativa di popolazione che non verrà raggiunta dalle politiche industriali e del lavoro.

  5. Come in sede locale si possa ricavarsi un proprio incisivo spazio di governance multilivello fatto concretamente di collaborazioni, sinergie, istituzioni che cercano e indirizzano fondi bypassando lo spazio nazionale. E sterilizzando il primato dell’impresa così come è previsto dal diritto comunitario.

  6. Quale modello complessivo di territorio emerga anche su un punto non eludibile: l’uscita di Vado Ligure dalla situazione di nocività ambientali. Accanto a questo punto sono emerse nel frattempo questioni di grandissimo spessore poste sia sul piano infrastrutturale, sia su quello dei servizi "in primis" la sanità.

    OGGI

    Mentre la produttività concreta del decreto di area industriale complessa rimane legata a logiche di propaganda elettorale quella del rigassificatore a tutt'oggi non rimane che sola risposta fornita dalla Regione Liguria (con la sottomissione di diversi Enti Locali come la declassata Provincia di Savona) a questi 6 punti posti - lo ricordiamo ancora una volta - nel 2016, sette anni fa. Non dimenticando la questione della fabbricazione dei "cassonetti" per la diga di Genova, operazione che viene proposta come scambio per la chiusura della SANAC che significherebbe in pratica la nostra esclusione dal ciclo della siderurgia.



Franco Astengo