Cultura19 dicembre 2020 15:28

Natale 2020

Otto mesi di una rubrica senza nome (di Chiara Pasetti)

Pablo Picasso, Famiglia di Saltimbanchi, 1905

Pablo Picasso, Famiglia di Saltimbanchi, 1905

La rubrica del sabato su questa testata è nata esattamente otto mesi fa, il 18 aprile di quest’anno, in pieno lockdown; la prima uscita recava un titolo (auto)ironico: “Boh-BoM”.

Non le ho ancora trovato un nome, a questa mia rubrica, che scrivo sempre con passione e gratitudine nei confronti di tutti coloro che hanno il piacere di leggermi e talvolta di comunicarmi le loro impressioni.

È incredibile come il tempo, da quando l’emergenza sanitaria ha travolto e stravolto le nostre vite, assuma contorni differenti rispetto a prima.

In alcuni momenti sembra passato un secolo da aprile, in altri la sensazione è che le giornate siano trascorse così velocemente da non capacitarci del fatto che tra pochi giorni sarà Natale.

Un Natale sicuramente diverso dai soliti, questo.

Indipendentemente dal fatto che si sia credenti o meno, che le festività di fine anno normalmente ci rendano allegri o, come chi scrive, un po’ annoiati e malinconici, che siano occasione per vedere amici e parenti o per riposarsi e stare un po’ con se stessi, è innegabile che tutti risentiremo delle restrizioni appena apprese dal nuovo (l’ennesimo) Dpcm… di cui chi cura una rubrica avrebbe forse il dovere di parlare, commentando le scelte e le decisioni prese dal Governo.

Leggo e rileggo ciò che potremo e non potremo fare, chi potremo vedere, quando e in quanti, e sinceramente, per riprendere il titolo della prima uscita della rubrica, mi viene in mente una sola, breve espressione: Boh.

Sorrido pensando che a otto anni nel mio diario segreto avevo scritto in bella grafia con la penna rossa “Considerazione sul Natale”; avevo guardato il foglio per un po’ e alla fine avevo tracciato una riga sul titolo.

Il foglio del diario è rimasto bianco. Successivamente ho aggiunto una serie di “no” ribelli al fatto di svolgere il “temino” sul Natale. Che ora come allora, appunto, non so fare…

E così, per non tediare i lettori con un altro articolo polemico su Conte, sulle aperture/chiusure, sulle visite ai parenti, sugli orari e sulle infinite incongruenze delle disposizioni appena emanate, che altri sapranno analizzare molto meglio e in modo molto più puntuale e dettagliato di quanto potrei fare io, ancora una volta scelgo di rifugiarmi nella letteratura e nell’arte, nella speranza che possano essere di stimolo e di conforto non solo per me, o comunque di distrazione dalle tante, troppe notizie che da mesi ci bombardano relativamente al covid, togliendoci serenità e dando un po’ a tutti la sensazione di un tempo sospeso in cui non si riesce a progettare nulla.

Un tempo che si prefigura ancora lungo e carico di dubbi, incertezze, e che sarà sicuramente cupo per moltissimi settori che la pandemia e le misure adottate per contrastarla hanno (definitivamente) affossato.

Tra questi, la scuola e il mondo della cultura, dello spettacolo, dell’arte. Che da mesi (e solo in Italia) sono a casa, aspettando di ripartire (come? quando?). E naturalmente le fasce più deboli.

 

Honoré Daumier, I Saltimbanchi traslocano, 1866


Il 26 dicembre del 1853, in piena stesura di Madame Bovary, Gustave Flaubert, che non apparteneva certo alle fasce più deboli in quanto figlio di medico e dunque di estrazione alto-borghese (che tanto disprezzava a partire dal termine, ma che gli ha consentito di dedicarsi alla scrittura tutta la vita senza avere preoccupazioni economiche…), assiste a Rouen a uno spettacolo di artisti itineranti.

Ancora una volta come in altre occasioni si sente vicino a creature apparentemente così diverse da lui per cultura, lingua, distanza geografica e molto altro, ma in realtà affini nella capacità di donare, generare fantasticherie e sentimenti di solidarietà e affetto in anime nobili, per le quali la comunicazione non avviene sempre e necessariamente attraverso la parola.

La lettera che pubblichiamo, inedita in Italia, è un quadro impressionista, dai toni a tratti surrealisti (lo stile di Flaubert in alcuni romanzi è stato definito «realismo allucinatorio»), e ci regala un ritratto di artisti che questo Natale nessuno potrà ammirare dal vivo.

Torneranno, gli artisti, insieme ai loro sogni e anche alle loro (grandi) fatiche del quotidiano, che forse dopo la pandemia qualcuno prenderà maggiormente in considerazione.

Speriamo.

Con l’immagine della piana di Bapaume descritta dalla penna di Flaubert come una steppa russa, delle case che sembrano «orsi bianchi che dormono», della fantasia di scorgere renne e pupille fiammeggianti di lupi, auguro ai lettori un Natale il più sereno possibile, nella convinzione che al termine di questo anno terribile poterlo festeggiare, in pochi o in tanti non importa, con un pranzo o una cena povera o ricca non importa, sia in assoluto il regalo più grande.

 

BoM.

 

 

Dalla lettera a Louis Bouilhet, Croisset, 26 dicembre 1853 (traduzione di chi scrive):

 

Giornata piena!

 […] Cominciamo dalla cosa più bella, i selvaggi.

Si tratta dei Cafri [una compagnia di selvaggi Boscimani] che sganciando la somma di cinque soldi, ti regalano la loro esibizione in Grande Rue 11.

Hanno l’aria di chi sta morendo di fame, anche il loro capo, e l’alta società di Rouen non si concede granché.

Gli spettatori non arrivavano a sette o otto anime, in un misero appartamento pieno di fumo dove ho dovuto attendere per un po’.

A un certo punto è apparsa una specie di bestia selvatica, che aveva una pelle di tigre sulla schiena e cacciava delle urla indistinte, e poi altri ancora. Sono saliti sulla pedana e si sono accoccolati come scimmie intorno a un braciere.

Orribili, splendidi, coperti di amuleti e di tatuaggi, magri come scheletri, del colore di vecchie pipe ingrommate, la faccia schiacciata, i denti bianchi, gli occhi smisuratamente grandi e gli sguardi persi di tristezza, di stupore e di abbrutimento, erano in quattro e si affaccendavano attorno ai carboni accesi, come una nidiata di conigli.

Il crepuscolo e la neve che imbiancava i tetti di fronte li copriva di un tono pallido. Mi sembrava di vedere i primi uomini sulla terra, che pareva in procinto di nascere e strisciava ancora insieme ai rospi e ai coccodrilli.

Ho visto un paesaggio di non so quale luogo. Cielo basso, nubi color ardesia; fumo di erbe secche che usciva da una capanna gialla in bambù e uno strumento musicale con una corda sola che ripeteva continuamente la stessa nota flebile, stridula, per far addormentare e incantare la malinconia balbettante di un popolo ignorante.

[…] Sfortunatamente il capo non capisce la loro lingua e non ha potuto tradurre nulla per me. Benché egli dica che essi sappiano un po’ di inglese non è così, non sanno una parola perché ho rivolto loro alcune domande che sono rimaste senza risposta.

[…] Che cos’ho dunque dentro di me che mi fa commuovere immediatamente per tutto ciò che è folle, idiota, selvaggio?

Quelle povere nature comprendono che appartengo al loro stesso mondo? Indovinano che sono come loro? Percepiscono un affetto? Sentono, tra me e loro, una sorta di legame? […] Perché?

Tutto questo mi affascina e mi spaventa allo stesso tempo. Per tutta la durata della mia visita il cuore mi batteva fortissimo.

Ci ritornerò. Devo andare a fondo. Ho una voglia pazzesca di invitare i selvaggi a cena a Croisset.

[…] Sono rientrato alle dieci di sera, coperto dal mio tarbush, sprofondato nella mia pelliccia, fumando con tutti i finestrini aperti.

La piana di Bapeaume sembrava una steppa russa.

Il fiume completamente nero, neri gli alberi.

La luna stendeva sulla neve riverberi di seta.

Le case sembravano orsi bianchi che dormono.

Che calma! Come se ne infischia di noi, la natura! Mi ha fatto pensare a corse in slitta, a renne ansimanti nella nebbia e a branchi di lupi che, correndo, guaiscono dietro di noi.

Le loro pupille brillano a destra e a sinistra come carboni, qua e là, sul ciglio della strada.

E quei poveri Cafri, in questo momento, cosa stanno sognando?...

 

Gustave Flaubert

 

La prima uscita di aprile di questa rubrica:

https://www.lanuovasavona.it/2020/04/18/leggi-notizia/argomenti/cultura-3/articolo/boh-bom.html

Una lettera altrettanto poetica di Vincent Van Gogh al fratello, scritta il 26 dicembre del 1878:

https://www.lanuovasavona.it/2020/04/12/leggi-notizia/argomenti/news-1/articolo/una-stella-nel-blu-infinito.html

 

Chiara Pasetti

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