Cultura03 gennaio 2021 07:26

Capodanno

In questo momento di isolamento e distanza, non solo fisica, cui siamo costretti, le parole di Antonia Pozzi risuonano potenti e attualissime e possono essere, malgrado la loro tristezza, forse di conforto per sopportare la nostra e per realizzare che la «brama di avvinghiare qualchecosa di vivo» non è mai «insulsa» bensì connaturata all’essere umano (di Chiara Pasetti)

Antonia Pozzi nel 1937

Antonia Pozzi nel 1937

Se le parole sapessero di neve

stasera, che canti –

e le stelle

che non potrò mai dire…

 

Volti immoti s’intrecciano fra i rami

nel mio turchino nero:

osano ancora,

morti ai lumi di case lontane,

l’indistrutto sorriso dei miei anni.

 

Questi versi di Antonia Pozzi sono stati composti tra il 31 dicembre e il primo gennaio del 1938, ossia nel corso dell’ultimo Capodanno (è anche il titolo della lirica) della poetessa: il primo dicembre del 1938 scelse di togliersi la vita, a soli ventisei anni, distrutta da «una disperazione mortale», schiacciata dalla «crudele oppressione che si esercita sulle nostre giovinezze sfiorite», come recita il biglietto-testamento lasciato ai genitori prima di inforcare la bicicletta per dirigersi verso Chiaravalle e lì lasciarsi morire sdraiandosi su prato gelato attiguo all’Abbazia.

Sulla sua vita e le sue liriche, e anche le sue fotografie, che hanno conosciuto molti anni di oblio per poi cominciare a destare interesse intorno agli anni Ottanta del secolo scorso e ora essere finalmente riconosciute e valutate per il grande valore che hanno, sono stati scritti numerosi saggi, biografie, romanzi, e sono state fonte di ispirazione di diversi film, mostre e reading. Sublime per raffinatezza critica, intuizioni e scrittura resta anche la sua tesi di laurea del 1935, dedicata alla produzione letteraria di Gustave Flaubert prima di Madame Bovary.

Studiosi e psichiatri si interrogano sul male di vivere di Antonia, sulla sua «giovinezza che non trova scampo» e si domandano che cosa, o chi, avrebbe potuto salvarla.

È forse lei stessa a fornire la chiave principale della sua malinconia, che è cresciuta sempre di più negli anni fino a condurla alla decisione estrema della morte volontaria. Sempre nel biglietto ai genitori, scrive:

Ciò che mi è mancato è stato un affetto fermo, costante, fedele, che diventasse lo scopo e riempisse tutta la mia vita.

Ha amato molto, Antonia, nella sua breve esistenza, ma non è stata ricambiata come avrebbe desiderato e meritato.

Le ragioni di un suicidio restano quasi sempre insondabili ma leggendo le sue poesie, anche quelle degli anni dell’adolescenza, è evidente che era abitata da un senso di vuoto e di solitudine che nulla e nessuno hanno saputo colmare.

Tra le tante questa lirica, meno citata e conosciuta di altre, composta a soli diciassette anni, racconta di lei molto più di tante interpretazioni (e congetture).

Solitudine

Ho le braccia dolenti e illanguidite
per un’insulsa brama di avvinghiare
qualchecosa di vivo, che io senta
più piccolo di me. Vorrei rapire
d’un balzo e poi portarmi via, correndo,
un mio fardello, quando si fa sera;
avventarmi nel buio per difenderlo,
come si lancia il mare sugli scogli;
lottar per lui, finché non rimanesse
un brivido di vita; poi, cadere
nella più fonda notte, sulla strada,
sotto un tumido cielo inargentato
di luna e di betulle; ripiegarmi
su quella vita che mi stringo al petto –
e addormentarla – e anch’io dormire, infine…

No: sono sola. Sola mi rannicchio
sopra il mio magro corpo. Non m’accorgo
che, invece di una fronte indolenzita,
io sto baciando come una demente
la pelle tesa delle mie ginocchia.

(Milano, 4 giugno 1929)

Spesso, nei video del progetto condotto con Mario Molinari dal mese di marzo dello scorso anno, abbiamo inserito alcuni versi di Antonia Pozzi, in genere recitati da Lisa Galantini (che vestirà i panni della poetessa nel monologo Io, bambina sola, di chi scrive, per la regia di Alberto Giusta, il cui debutto era programmato per ottobre 2020 ed è naturalmente stato posticipato a causa dell’emergenza); in un corto è stata interpretata da Massimo Rigo (il brano da lui recitato è inserito anche nell’antologia “Visioni dal lockdown”).

La scelta di far ascoltare i suoi struggenti, stregati brani in prosa e in poesia è stata condotta, tra le altre ragioni, perché resta un’autrice troppo poco conosciuta, che merita di essere letta anche e soprattutto dai giovani per la sua capacità di sondare l’animo umano e di dare voce ad emozioni così vicine ad ognuno di noi.

 In questo momento di isolamento e distanza, non solo fisica, cui siamo costretti, le sue parole risuonano potenti e attualissime e possono essere, malgrado la loro tristezza, forse di conforto per sopportare la nostra e per realizzare che la «brama di avvinghiare qualchecosa di vivo», come scrive, non è mai «insulsa» bensì connaturata all’essere umano. Il quale, se non può soddisfare tale desiderio, soffre.

Un anno prima della lirica Capodanno affida al diario confessioni che denunciano una lacerazione interiore profondissima, e il terrore di «perdersi».

Colpisce e ferisce leggere queste parole se si pensa che sono state scritte da una ragazza così giovane, molto intelligente e, almeno apparentemente, piena di amici… A cui, come si potrebbe dire superficialmente, “non mancava niente per essere felice”. E invece qualcosa mancava eccome; qualcosa che nessuno ha capito, visto, ascoltato. Quanto vorrei volere bene e non c’è nessuno, scrive tra la notte di Capodanno del 1936 e il primo giorno del 1937,

In uno dei corti della prima parte del progetto, intitolato “Fin da piccolo”, Lisa Galantini recita proprio questa frase, insieme a una parte del monologo di cui sarà protagonista.

Si affianca alla voce di Lisa-Antonia la voce di Lauro nella sua splendida “Barabba II”:

Si muore soli e non sai tra quanto

Intorno hai tanti, ma nessuno a fianco

[…]

Se mi guardo intorno c'è solo chi non ce la fa più

[…]

Sognare la pace dà un’idea di saper fartela

’Ste vite ingannate dall’idea di poter farcela

[…] Quando il mondo non dà un aiuto

Ad ascoltarti non c’è nessuno fin da piccolo

 

foto di copertina dell'album Ragazzi madre di Achille Lauro, 2016


Due modi e mondi diversi ma affini nel raccontare la solitudine e un senso di estraneità alla vita che spesso caratterizza le anime troppo sensibili, le quali trovano sfogo e talora consolazione nella scrittura, nella poesia.

Quando Lauro ha composto “Barabba II”, contenuta nell’album Ragazzi madre, aveva più o meno la stessa età di Antonia all’epoca della pagina del diario inserita nel corto: ventisei anni.

 

L’augurio per questo 2021 appena iniziato è che tutti noi possiamo sognare ma soprattutto vivere un po’ di pace, e che ci si aiuti l’un l’altro a non sentirci soli. O non così tanto soli come si è (sempre) sentita Antonia. 

Un augurio che potrebbe essere anche un impegno, un obiettivo.

Sarebbe già molto se si arrivasse vicini al traguardo, in un anno che al di là dei messaggi positivi che, giustamente, ciascuno di noi manda e riceve, sarà sicuramente difficile. Forse un po’ meno, se affrontato con solidarietà, condivisione, empatia.

Come letto prima su un post di fb, “l’anno nuovo magari non sarà migliore, ma noi possiamo esserlo”.

In attesa del corto di dicembre, di prossima diffusione, con tanti interventi di studenti e alcune novità, qui la parte di Antonia Pozzi e la canzone di Achille Lauro, dal corto “Fin da piccolo” (per la regia di Mario Molinari):

https://youtu.be/alZhnIcafmQ

Buon Anno a tutti.

Anche al di sotto delle mascherine, cerchiamo di conservare, parafrasando Antonia, il sorriso dei nostri anni, qualsiasi essi siano, «indistrutto».

Colette Deblé, Antonia Pozzi, acquerello, 2017

***

Su Antonia Pozzi, tra i tantissimi articoli:

Sito ufficiale della poetessa, a cura di Tiziana Altea www.antoniapozzi.it

https://www.raiplayradio.it/audio/2019/02/WIKIRADIO---Antonia-Pozzi--03e440c0-5aa9-45b0-8c52-a4fdfb7293e8.html

https://www.ilgiornaledellarte.com/articoli/2015/11/125274.html

https://journals.openedition.org/flaubert/2475

 

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Chiara Pasetti

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