Cultura12 settembre 2023 13:29

Riapre il Nuovofilmstudio

Il cinema, dopo l'estate in fortezza, torna nella sala delle Officine Solimano in Piazza Rebagliati

Riapre il Nuovofilmstudio

A riaccendere lo schermo del Nuovofilmstudio sarà il trionfatore dell'estate Barbie di Greta Gerwig, che verrà proposto sia in italiano che, finalmente, in lingua originale con sottotitoli.

Al suo fianco troverete The straight story di David Lynch, primo appuntamento della stagione con i grandi restauri della Cineteca di Bologna. 

La copertina è dedicata all'altro grande successo del momento, Oppenheimer di Cristopher Nolan con protagonista l'intenso Cillian Murphy; lo troverete sempre sia in italiano che in inglese nel mese di ottobre.

Il programma di settembre e ottobre è scaricabile in formato pdf a questo indirizzo https://bit.ly/3sODaSU

Barbie
In italiano e in inglese con sottotitoli in italiano

 

di Greta Gerwig

con Margot Robbie, Ryan Gosling, Will Ferrell

Regno Unito/USA 2023, 114’

 

In italiano:

mar 12 set (15.30)

gio 14 set (21.00)

 

In inglese con sottotitoli in italiano:

mar 12 set (21.00)

mer 13 set (18.00)

gio 14 set (15.30)

 

Vivere a Barbie Land significa essere perfetti in un luogo perfetto. A meno che tu non stia attraversando una crisi esistenziale. Oppure tu sia un Ken.

 

Con Lady Bird Greta Gerwig esplorava la ribellione adolescenziale di una liceale di Sacramento che era tutto fuorché perfetta: nessuna chioma bionda fluente, frequentava una scuola cattolica che detestava, non era ricca, viveva “al di là dei binari” sognando la vibrante East Coast, aveva un padre depresso e una madre dura, che la accompagnava a fare shopping per disprezzare tutte le sue scelte con un gelido: “Non è troppo rosa?”. Con Barbie, Gerwig (che ha scritto la sceneggiatura insieme al compagno Noah Baumbach) tratteggia, non a caso, un mondo decisamente troppo rosa, Barbie Land. Ad aiutarla a dare forma a quel mondo, la scenografa sei volte nominata all’Oscar Sarah Greenwood (La bella e la bestia, Anna Karenina) e la costumista Premio Oscar, Jacqueline Durran (Piccole donne, Anna Karenina). In questo luogo patinato, Barbie “is everything”, può essere qualsiasi cosa: c’è Barbie Stereotipo, una strepitosa Margot Robbie (anche produttrice del film), ma c’è pure Barbie giornalista, medico, avvocato, presidente, giudice della Corte Suprema e tutte quelle che l’azienda di giocattoli statunitense Mattel ha concepito. Le loro controparti maschili, i Ken, sono invece “solo Ken”. Quasi un accessorio di Barbie, il Ken interpretato da Ryan Gosling ha un ruolo vago e indefinito, “la spiaggia”, ma non si sa cosa debba farci: non è un bagnino, non può neanche surfare perché il mare è uno sfondo ondulato blu di cartapesta. Vive in funzione di Barbie, del suo saluto e del suo sguardo, in un mondo quasi distopico che, in chiave satirica, ribalta all’eccesso gli ingabbiati ruoli di genere del mondo reale. A un certo punto, però, la vita apparentemente perfetta di Barbie viene incrinata da alcuni difetti e pensieri umani, come l’idea della morte. All’improvviso, percepisce una stonatura con quel mondo patinato, fatto di fiocchi, sandali con piume, cabrio fiammanti, completi con paillettes, coreografie impeccabili e pigiama party tra sole donne. A quel punto, la bambola Mattel intraprenderà un viaggio nel mondo reale insieme a Ken, che coinciderà, per entrambi, con un percorso alla ricerca della propria identità.

 

The straight story

Il Cinema Ritrovato. Al cinema

in collaborazione con la Cineteca di Bologna

 

(Una storia vera)
di David Lynch
con Richard Farnsworth, Sissy Spacek, Harry Dean Stanton
USA 1999, 112’ - in inglese con sottotitoli in italiano

 

mar 12 set (18.00)
mer 13 set (15.30 - 21.00)
gio 14 set (18.00)

 

Restaurato in 4K nel 2023 da StudioCanal presso i laboratori Fotokem e L’Immagine Ritrovata, a partire dal negativo originale. Colonna sonora rimasterizzata da Ronald Eng e David Lynch. Restauro supervisionato da David Lynch.

 

Nell'estate del 1994 a Laurens, piccolo centro agricolo dell'Iowa, Alvin Straight, 73 anni, vive con la figlia Rose, leggermente ritardata. Anche Alvin non sta tanto bene, il medico gli consiglia esami e medicine che lui però rifiuta. In una quotidianità un po' statica, arriva la notizia che Lyle, fratello di Alvin, ha avuto un infarto. Alvin e Lyle non si vedono da dieci anni a motivo di vecchi rancori reciproci. Ma ora Alvin sente il bisogno di rivedere il fratello per riconciliarsi. Deciso ad andare da lui, e non avendo la patente, sceglie un vecchio tosaerba e, alla velocità di 5 miglia all'ora, si dirige verso Zion, nel Wisconsin, a 317 miglia di distanza.

 

The straight story si pone come film pietra angolare dove Lynch ribalta tutti i propri luoghi, oggetti e personaggi volgendoli al solare. Si tratta, con tutta evidenza, di un film dal valore oppositivo, in grado di dimostrare che la “materia” del cinema di Lynch, se solarizzata, può esprimersi con respiro classico e commovente. Il film cerca di recuperare, sia pure in versione destrutturata, lo spirito del road movie classico. In qualche modo, Lynch intende suggerire che The straight story  Cuore selvaggio ribaltato, dove al posto di Big Tuna c’è una ospitale e umanissima comunità rurale, al posto degli incidenti più feroci vi sono tragici scontri con una natura benigna, e in cui la violenza degli uomini sugli uomini cerca di essere ricomposta attraverso un viaggio e un perdono. Un purissimo Lynch, ma al contrario. Il film racconta decoro, dignità e onore in tutte le sue forme, attraverso un viaggio a tappe (più una falsa partenza) che si presenta comunque ‘straight’ come il protagonista, diretto e cocciuto. Alvin, infatti, non solo ha scelto il viaggio, ma ha scelto di farlo lentamente. Rispettoso della propria età, il protagonista va a otto chilometri orari e si prende il tempo che gli è necessario per camminare attraverso la fetta di America che lo divide dal fratello malato. E la strada diventa il luogo in cui meritarsi il perdono.

(Roy Menarini)

 

Trailer: https://youtu.be/JNi-Osdmkh0

Manodopera

 

(Interdit aux chiens et aux italiens)
di Alain Ughetto
musiche di Nicola Piovani
Francia/Italia/Belgio 2022, '70

 

ven 15 set (15.30 - 21.00)
sab 16 set (18.00)
dom 17 set (15.30 - 21.00)
lun 18 set (18.00)

 

Piemonte, inizi del ‘900. La speranza di una vita migliore spinge Luigi Ughetto e sua moglie Cesira a varcare le Alpi e a trasferirsi con tutta la famiglia in Francia. Il regista Alain Ughetto ripercorre la sua storia familiare in un dialogo immaginario con la nonna. L’animazione in stop-motion ripercorre la vita sofferta e romanzesca degli emigrati italiani mettendo in scena un racconto fresco ed emozionante.

 

Combinando poesia e realismo, piccola e grande Storia, in uno stile di animazione originale e personale, Ughetto firma un'accattivante opera di testimonianza sulla migrazione italiana, impreziosita dalle musiche di Antonio Piovani.
«Ho pensato che sarebbe stato un bene per me offrire una testimonianza di quello che hanno passato i nostri antenati. Perché ci ricordiamo di nostro padre, nostra madre, un po' dei nostri nonni, ma oltre a questo non c'è niente. Scavando sotto il mio nome, ho trovato una storia. È la storia di una famiglia tra tante altre e ho potuto tornare indietro nel tempo, mescolare la storia intima con un'evocazione storica. Mi è sembrato un messaggio molto forte fare un film personale, unico, impegnato, persino arrabbiato: un film testimonianza. Il cartello "Vietato ai cani e agli italiani" (il titolo originale del film è "Interdit aux chiens et aux italiens") è il segno di un'epoca, ma ovviamente ha un’eco nell'attuale questione dei migranti. Le mani di mio nonno hanno trasmesso il loro sapere alle mani di mio padre che a sua volta lo ha trasmesso a me, e oggi avevo il dovere di ricordarlo. Mio padre era molto pratico, lo sono anch'io e poiché è una storia molto personale, era quindi importante che io ci entrassi dentro e che le persone vedessero le mie mani. La mano diventa un personaggio, un personaggio che agisce su questo mondo, lavora, si interroga. E volevo avere un dialogo con mia nonna. Come in tutte le favole, la nonna racconta ai suoi nipoti quello che ha vissuto. La mano è un po’ ovunque e mi è sembrato interessante vedere questa mano partecipare al ricorso storico, vedere cosa è successo nella Storia, e che fungesse da filo conduttore. E l'animazione è anche opera di piccole mani che, fotogramma dopo fotogramma, riportano in vita dei personaggi, donando loro corpo e anima».
(Alain Ughetto)

 

Trailer: https://youtu.be/<wbr></wbr>GPbdZ-WI8SU

La bella estate

 

di Laura Luchetti
con Yile Yara Vianello, Deva Cassel, Nicolas Maupas
Italia 2023, durata 111'
  

ven 15 set (18.00)
sab 16 set (15.30 - 21.00)
dom 17 set (18.00)
lun 18 set (15.30 - 21.00)

 

Torino, 1938. Ginia ha sedici anni: il futuro sembra offrirle infinite possibilità ma sul presente incombono le ombre della Seconda guerra mondiale. Divisa tra il senso del dovere e la scoperta del desiderio, durante la sua “bella estate”, si arrende ai sentimenti, celebrando il coraggio di essere se stessa.

 

Al terzo lungometraggio come regista, Laura Luchetti incontra il Cesare Pavese della novella La bella estate, trovando un felice matrimonio di temi tra quelli a lei cari e quelli da riscoprire nell'opera che il romanziere firmò originariamente nel 1940. Un racconto di formazione al femminile sulla scoperta del desiderio.
«Cesare Pavese parlando del romanzo lo descrive come la storia di “una verginità che si difende”. Nel film forse ora è divenuta è la storia di una “verginità che si trasforma”. È la storia di un corpo, quello di Ginia, che cresce, desidera, vuole esser visto e amato. La storia di qualsiasi donna che entra nell’età adulta, in qualsiasi epoca in qualsiasi luogo. Il meraviglioso sguardo “femminile” di Pavese sul mondo, sui desideri, sull’amore e sugli uomini è il punto di partenza dell’adattamento cinematografico. Un salto fatto con amore e terrore. Il romanzo di Pavese, scritto circa ottantacinque anni fa, mi ha parlato alla prima lettura. Mi è sembrato subito cosi universale, cosi moderno. Ginia, una giovane donna che cerca sé stessa, nel timore di non essere all’altezza e di non poter sperimentare con la propria sessualità incontra un’altra giovane donna, Amelia, che la conduce in un mondo nuovo, pieno di tentazioni, falsi sogni e fragilità. La trascina in un mondo bohémien, libero, sfacciato, senza troppi pregiudizi: il mondo dell’arte, della rappresentazione. Perché il film è anche un film sulla rappresentazione, sul desiderio di esser visti con gli occhi di un altro, di essere dipinti, ritratti, immortalati e quindi esistere. Ginia insegue questa illusione negli Anni Trenta cosi come una ragazza oggi desidera avere la propria foto, il proprio ritratto sui social, ed esser ammirata, ricevere approvazione ed esser finalmente qualcuno. Il personaggio del fratello è una mia piccola licenza artistica, ha la dolcezza di un fratello di oggi, un fratello “moderno” che capisce per primo i patemi della sorella, che gioca a fare da padre, ma che diversamente da tutti gli altri non giudica. L'estate di Ginia è l'Estate di ogni ragazza che abbia dovuto fare una scelta. Il film è il racconto di questo momento importante e universale in cui si diventa adulti, in cui si trattiene il respiro e si mette in atto la libertà più grande, quella di scegliere come amare e senza paura».
(Laura Luchetti)
  

Trailer: https://youtu.be/<wbr></wbr>MVVYF7kyuzE

Rapito

 

di Marco Bellocchio
con Paolo Pierobon, Fausto Russo Alesi, Barbara Ronchi, Enea Sala
Italia 2023, 134'

 

Nastro d'argento per miglior film, migliore regia, migliore attrice protagonista (Barbara Ronchi), migliore attore non protagonista (Paolo Pierobon), migliore sceneggiatura, miglior montaggio.

 

mar 19 set (15.00 - 18.00 - 21.00)
mer 20 set (17.00)

 

Nel 1858, nel quartiere ebraico di Bologna, i soldati del Papa irrompono nella casa della famiglia Mortara. Per ordine del cardinale, sono andati a prendere il loro figlio di sette anni perché si dice fosse stato segretamente battezzato. Per la legge papale deve quindi ricevere un'educazione cattolica. I genitori di Edgardo, sconvolti, faranno di tutto per riavere il figlio. Sostenuta dall'opinione pubblica e dalla comunità ebraica internazionale, la battaglia dei Mortara assume presto una dimensione politica. Ma il Papa non accetta di restituire il bambino…

 

Marco Bellocchio racconta la storia vera di Edgardo Mortara, un bambino ebreo bolognese sottratto alla propria famiglia. In un momento storico in cui il Vaticano vedeva in pericolo il suo potere, papa Pio IX cercava con ogni mezzo di riaffermare la propria autorità.
«La storia del piccolo Edgardo mi interessa profondamente perché mi permette di rappresentare prima di tutto un delitto, in nome di un principio assoluto. “Io ti rapisco perché Dio lo vuole. Sei battezzato e perciò cattolico in eterno”. Il Non Possumus di Pio IX. Che è giusto per una salvezza ultraterrena schiacciare la vita di un individuo, anzi di un bambino che non ha, poiché bambino, la forza per resistere, per ribellarsi. Anche se il piccolo Mortara rieducato dai preti resterà fedele alla Chiesa cattolica, si farà prete (e questo è un affascinante mistero che non si può liquidare col solo principio della sopravvivenza, perché dopo la liberazione di Roma, Edgardo, potendo finalmente “liberarsi”, resterà fedele al Papa) e anzi tenterà fino alla morte di convertire la sua famiglia rimasta fedele, invece, alla religione ebraica. Il rapimento di Edgardo Mortara è anche un delitto contro una famiglia tranquilla, mediamente benestante, rispettosa dell’autorità (che era ancora in Bologna, l’autorità del Papa-Re), in anni in cui si respirava in Europa un’aria di libertà, dove si stavano affermando ovunque i principi liberali, tutto stava cambiando e proprio per questo il rapimento del piccolo rappresenta la volontà disperata, e perciò violentissima, di un’autorità ormai agonizzante di resistere al suo crollo, anzi di contrattaccare. Oltre l’estrema violenza dell’atto subito dal piccolo Edgardo, mi piacerebbe raccontare il suo smarrimento, il suo dolore, dopo l’abbandono forzato, ma anche il suo cercare sempre di conciliare la volontà del suo secondo padre, il Papa, con la volontà opposta dei suoi genitori di riportarlo a casa. Edgardo, tentando per tutta la vita una riconciliazione impossibile, non rinnegherà mai i suoi genitori, le sue origini, non rassegnandosi mai al fatto che la madre resterà ebrea fino alla morte. È un film, non è né un libro di storia o di filosofia, né una tesi ideologica».
(Marco Bellocchio)

 

L’oro del Reno 
Royal Opera House al Cinema - 2023/2024

 

La Royal Opera è lieta di annunciare l’appuntamento che apre la stagione 2023-24: L’oro del Reno, una nuova e audace interpretazione della prima opera del ciclo de L’anello del Nibelungo di Richard Wagner. Come sempre, la diretta offrirà al pubblico internazionale un posto in prima fila da dove godere l’iconico palcoscenico della Royal Opera House a Covent Garden.


L’oro del Reno - che vanta alcune delle più sublimi scene d’opera mai scritte - è messo in scena dal leggendario regista Barrie Kosky e diretto da Antonio Pappano nel suo ultimo anno come direttore musicale della Royal Opera. La produzione – un’impresa imponente per qualsiasi teatro – vedrà la partecipazione di un cast eccezionale che comprende Christopher Maltman nel ruolo di Wotan e Christopher Purves in quello di Alberich.

 

mer 20 set (20.00)

 

L’oro del Reno
di Richard Wagner
regia di Barrie Kosky, dirige Antonio Pappano - 170'
introduzione a cura di Emanuela Ersilia Abbadessa

 

Das Rheingold è il primo dei quattro drammi musicali Teatralogia Der Ring des Nibelungen. Andò in scena per la prima volta il 22 settembre 1869 al Teatro Nazionale di Monaco, con la direzione di Franz Wüllner.
Segna l’inizio della straordinaria e rivoluzionaria concezione di Wagner in cui la musica prende corpo da un’intricata trama di temi conduttori (Leitmotiv) associati a cose, persone, sentimenti e situazioni.
Quando un prezioso tesoro, protetto dalle tre figlie del Reno Woglinde, Wellgunde e Flosshilde, viene rubato dal fiume, si scatena una catena di eventi distruttivi che mettono uomini e dèi gli uni contro gli altri per generazioni. Ma è in questo prologo della Tetralogia che si determinano le condizioni che porteranno, nell’ultimo dramma, alla caduta degli dèi. Tra maledizioni e avidità, Wagner dà vita a un affresco fantastico che risente fortemente dei fermenti rivoluzionari che animano l’Europa del tempo.
Quello di Wagner è un viaggio spettacolare nel mondo del mito, del sogno e della memoria, con al centro la figura di Erda, la Madre Terra in persona.

 

Ingresso aperto a tutti 12€ - soci FAI e soci sostenitori 10€

 

Nuovofilmstudio e UCCA presentano Brotherhood
L’italia che non si vede - rassegna itinerante di cinema del reale - XII edizione

 

di Francesco Montagner

Italia/Repubblica Ceca 2001, 97'
ospite in collegamento il regista

 

gio 21 set (15.30 - 21.00)

 

Jabir, Usama e Uzeir, sono tre giovani fratelli bosniaci, nati in una famiglia di pastori. Sono cresciuti all’ombra del padre, Ibrahim, un predicatore islamista severo e radicale. Quando Ibrahim viene condannato a due anni di carcere per terrorismo, i tre fratelli vengono improvvisamente lasciati soli. La temporanea sospensione degli ordini e dei comandamenti del padre cambia drasticamente la loro vita. I fratelli esplorano la loro libertà appena acquisita nel difficile viaggio per diventare uomini.

 

«Brotherhood non è solamente un romanzo di formazione: è un’indagine su cosa significa diventare uomini, con la capacità di accettare di deludere chi ci ha cresciuto, se questo significa poter diventare la persona che si vuole essere. Imparare a lasciar andare l’infanzia e l’adolescenza per diventare adulti, con tutte le sofferenze e i sacrifici che comporta. In questo contesto patriarcale, il ruolo del padre ha un significato molto forte per un adolescente che ha bisogno di una guida per crescere. È una storia intima e universale sulla mascolinità, la ricerca di un’identità e la necessità di affrontare la scomoda presenza di un padre-padrone».
(Francesco Montagner)

 

 

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