Cultura19 settembre 2020 14:39

La protezione per i grandi, l’annientamento per i piccoli

L’elettore che «ha votato ieri, voterà domani, voterà sempre» (di Chiara Pasetti)

Octave Mirbeau

Octave Mirbeau

Domani e domenica si vota in tutta Italia per il referendum relativo al taglio dei parlamentari. In alcune regioni tra cui la Liguria si vota anche per le elezioni regionali.

Per l’occasione ci è parso interessante far sentire la voce di Octave Mirbeau (1848-1917) ne La Grève des électeurs (Lo sciopero degli elettori), articolo uscito il 28 novembre del 1888 su Le Figaro e qui tradotto da chi scrive per la prima volta in lingua italiana.

Cécile Rivière nella postfazione del testo mirbelliano appena ripubblicato dalle edizioni Allia fa notare che sarebbe impensabile leggere oggi, nelle colonne del Figaro come in qualsiasi altra testata a tiratura nazionale, di qualunque orientamento politico, un articolo come questo. Tali dichiarazioni «sono ormai relegate saggiamente alle pubblicazioni anarchiche». Nessun direttore si assumerebbe la responsabilità di eccitare, nei propri cittadini responsabili, «il vizio che qui si evoca, in realtà, solo per deplorarlo: non andare a votare».

Lasciamo la parola a Mirbeau, per poi inquadrarne la figura e il valore letterario e sociale.

Come molti altri suoi scritti l’articolo sconcerta per l’attualità, il sarcasmo e la pertinenza delle riflessioni.

Sottolineiamo subito, a scanso di equivoci, che umilmente facciamo nostra l’ironia dell’autore, sperando che per una sorta di psicologia inversa stimoli nei lettori la ferma volontà di esercitare il proprio diritto e dovere costituzionale del voto democratico.

Ora più che mai.

 

Lo sciopero degli elettori

C’è una cosa che mi lascia davvero stupito – oserei dire che mi meraviglia moltissimo – ed è il fatto che nel momento stesso in cui scrivo, dopo le innumerevoli esperienze e gli scandali giornalieri, possa esistere ancora nella nostra cara Francia (come dicono nella Commissione bilanci) un elettore, questo animale irrazionale, inorganico, allucinante, che acconsente al fatto di trascurare i propri affari, i propri sogni e i propri piaceri per votare a favore di qualcuno o qualcosa…

Quando ci si riflette un istante, tale sorprendente fenomeno non sembra fatto per depistare i filosofi più acuti e confondere la ragione? Dov’è il Balzac che ci fornirà la fisiologia dell’elettore moderno? E lo Charcot che ci spiegherà l’anatomia e la mentalità di questo incurabile demente? Lo aspettiamo!

Capisco perfettamente che un truffatore trovi subito degli azionisti, la Censura dei difensori, l’Opéra dei dilettanti […]. Ma che un deputato, un senatore o un presidente della Repubblica, o chiunque altro tra tutti i bizzarri faccendieri che reclamano una funzione elettiva purchessia trovino un elettore, ossia l’essere sognante, il martire improbabile, che vi nutre del suo stesso pane, vi veste con la sua lana, vi ingrassa con la propria carne, vi arricchisce con il proprio denaro, con la sola prospettiva di ricevere, in cambio di tali prodigalità, nel migliore dei casi delle manganellate sulla nuca, dei calci nel culo, quando non si tratta di veri e propri colpi di fucile al petto, tutto ciò oltrepassa davvero la nozione già alquanto pessimista che mi ero fatto fino a questo momento della stupidità umana in generale, e di quella francese in particolare. […] Sia ben inteso che parlo, qui, dell’elettore serio, convinto, teorico, di colui che pensa, povero diavolo, di compiere un atto da cittadino libero, di sfoggiare la propria sovranità, di esprimere le proprie opinioni, di imporre – mirabile e sconcertante follia! – dei programmi politici e delle rivendicazioni sociali; non parlo certo dell’elettore “che ne sa” e se ne fa un baffo, di colui che vede nei “risultati della propria onnipotenza” nient’altro che una buffonata della macelleria monarchica o un bagordo del vino repubblicano.

La propria sovranità, per costui, è di ubriacarsi a spese del suffragio universale ed è nel giusto perché gli importa solo questo, non gli interessa nient’altro. Ma gli altri? Ah, sì, gli altri! I seri, gli austeri, il popolo sovrano, costoro sentono montare in loro l’ebbrezza nel momento in cui si guardano e dicono: “Io sono elettore! Si fa tutto grazie a me, sono la base della società moderna”.

[…] Com’è possibile che esistano ancora uomini di siffatta risma?

Com’è possibile che per quanto orgogliosi, testardi, paradossali che siano, non siano ormai scoraggiati e non si vergognino?

Come è possibile incontrare ancora da qualche parte […] un brav’uomo così stupido, cieco nei confronti di ciò che è evidente, sordo nei confronti di ciò che si sente perfettamente, che voti blu, bianco o rosso senza che nulla lo obblighi, senza che lo si paghi o lo si ubriachi?!

A quale sentimento barocco, a quale misteriosa suggestione obbedisce questo bipede pensante, dotato di volontà, che va fiero del suo diritto, certo di aver portato a termine un dovere per aver deposto in una qualunque urna elettorale una qualunque scheda, poco importa il nome scritto sopra?

Cosa deve dirsi dentro di sé, che giustifichi o anche solo spieghi tale atto stravagante? Cosa spera? Perché alla fine, per acconsentire al fatto di donarsi a dei maestri avidi che lo depredano e lo accoppano, bisogna che egli si dica e speri qualcosa di straordinario che noi non possiamo evidentemente immaginare.

Bisogna che attraverso potenti deviazioni cerebrali la visione del deputato corrisponda in lui alle idee di scienza, giustizia, devozione, lavoro e onestà […].

Nulla gli serve di lezione, né le commedie più burlesche né le tragedie più sinistre. Eppure c’è un solo fatto che domina tutte le storie del mondo […]: la protezione per i grandi, l’annientamento per i piccoli.

[…] Tra i suoi ladri e i suoi boia egli ha delle preferenze, e vota per i più rapaci e feroci.

Ha votato ieri, voterà domani, voterà sempre.

Le pecore che vanno al macello non si dicono nulla, non sperano nulla. Ma almeno non votano per il macellaio che le ucciderà, per il borghese che le mangerà.

Più bestia delle bestie, più pecorone delle pecore, l’elettore nomina il proprio macellaio e sceglie il proprio borghese. Ha fatto persino delle rivoluzioni per conquistare questo diritto.

Oh buon elettore, indicibile imbecille, povero diavolo, se al posto di lasciarti imbrigliare dalle assurde manfrine che ti snocciolano ogni mattina, per un soldo, i giornali grandi o piccoli, blu o neri, bianchi o rossi, e che sono pagati per farti la pelle… Se al posto di credere alle lusinghe chimeriche con cui solleticano la tua vanità, con cui cingono la tua penosa sovranità vestita di stracci, se al posto di fermarti, eterno curioso, davanti ai pesanti imbrogli dei programmi… Se tu leggessi talvolta, al canto del fuoco, Schopenhauer e Max Nordau [saggista che attaccò l’aristocrazia e ciò che chiamava “la decadenza”, n.d.t.], due filosofi che la sanno lunga sui tuoi maestri e su te stesso, forse impareresti cose utili e sorprendenti.

[…] Essi ti direbbero, in quanto conoscitori del genere umano, che la politica è una menzogna abominevole, in cui tutto è il contrario del buon senso, e che tu non hai niente a che spartirvi […].

Sogna pure se vuoi, dopo tutto questo, paradisi di luce e profumi.

Fratellanze impossibili, felicità irreali.

Fa bene sognare, e calma la sofferenza.

Ma non mischiare mai al tuo sogno l’uomo, perché laddove c’è l’uomo c’è dolore, odio e omicidio.

Soprattutto ricordati che l’uomo che sollecita la tua approvazione è di fatto un uomo malvagio, poiché in cambio della situazione e della fortuna verso le quali lo spingi, ti promette un mucchio di cose meravigliose che non è certamente in suo potere darti.

L’uomo che tu eleggi non rappresenta né la tua miseria né le tue aspirazioni, nulla di te; non rappresenta che le proprie passioni e i propri interessi, che sono contrari ai tuoi.

Per consolarti e rianimare le tue speranze che sarebbero ben presto deluse, non immaginarti che lo spettacolo desolante al quale assisti oggi sia specifico di una certa epoca o di un certo regime, che passeranno.

Ogni epoca si equivale, e così i regimi: non valgono niente.

Torna dunque a casa, buon uomo, e fai lo sciopero del suffragio universale. Non hai nulla da perdere, ti dico; e potrai divertirti, a volte.

Sulla soglia, chiusa a quattro mandate alle elemosine politiche, guarderai sfilare la bagarre, fumando in silenzio la tua pipa.

E se esiste, in qualche posto sperduto, un uomo onesto capace di governarti e di avere cara la tua sorte, non rimpiangerlo. Sarebbe troppo geloso della sua dignità per mischiarsi alla lotta fangosa dei partiti, troppo fiero per prendere da te un mandato che hai concesso nient’altro che all’audacia cinica, all’insulto e alla menzogna.

Te lo ripeto, buon uomo, tornatene a casa e sciopera.

 

***

Octave Mirbeau, scrittore, giornalista, drammaturgo, critico d’arte e letterario tra i più prolifici quanto inclassificabili della sua epoca, in Italia, eccetto per alcuni dei suoi romanzi, è ancora poco conosciuto e tradotto, soprattutto a livello di bibliografia critica (tutta la saggistica di Pierre Michel, punto di riferimento per chiunque voglia accostarsi all’opera di Mirbeau, curatore dei Cahiers Octave Mirbeau e Presidente della “Société Octave Mirbeau” che ha messo on line un’enorme quantità di articoli e testi dello scrittore scaricabili gratuitamente, resta ancora inedita in lingua italiana). Ma anche nella sua patria Mirbeau ha conosciuto un lungo periodo di quasi totale oblio e il suo genio e la sua stupefacente modernità hanno cominciato a interessare gli studiosi soltanto intorno agli anni Sessanta del Novecento.

Mirbeau incarna a pieno titolo lo scrittore engagé che ha fatto della sua penna uno strumento di denuncia e di lotta al servizio delle tante cause etiche e sociali che ha abbracciato, guadagnandosi da Zola la definizione di «giustiziere» o quella di Remy de Gourmont di «capo dei Giusti grazie al quale si salverà la stampa maledetta». Prima di rivestire, con un coraggio senza pari e spesso a rischio della sua stessa vita, il ruolo di Don Quichotte della stampa, egli ha dovuto tuttavia fare una lunga gavetta di «proletario delle lettere», «prostituendo» il suo talento per necessità economiche a giornali bonapartisti, conservatori e addirittura antisemiti (di questo passato farà pubblica ammenda sulle pagine de L’Aurore nel 1898), e lavorando come «nègre» per persone ricche e avide di notorietà letteraria.

Tuttavia, già alla fine degli anni Settanta del XIX secolo Mirbeau si prefigge quello che rimarrà il suo compito fino alla morte: fare tabula rasa di tutte le credenze e le illusioni umane svelando, come afferma Pierre Michel, les maux avec les mots attraverso «un’estetica della rivelazione» che vuole obbligare «i ciechi volontari» a «guardare Medusa in faccia», a vedere «l’orrore nascosto sotto ogni superficie» di una società corrotta e inumana che riduce la maggior parte degli uomini allo stato di «larve in putrefazione». Così, a partire dal «grand tournant» degli anni 1884-1885, Mirbeau diventa ufficialmente un anarchico libertario, che scegliendo di non aderire a nessun partito politico o sindacato si lancia, su tutte le principali testate francesi, alla difesa dei diritti imprescindibili dell’individuo (fin da quelli dell’infanzia).

Strappa la maschera di rispettabilità della gente che si spaccia per «onesta» e mette a nudo tutte le istituzioni oppressive e opprimenti, i «mostri morali» su cui «riposano le leggi»: la famiglia, la scuola, la chiesa cattolica, l’esercito, la fabbrica, la cosiddetta «Giustizia», servile con i potenti ma implacabile nei confronti dei poveri e dei disgraziati, la finanza.

E ancora il colonialismo, che in nome del «progresso» distrugge culture millenarie e riduce popoli in schiavitù trasformando interi continenti in spaventosi «giardini dei supplizi» (dal titolo del suo romanzo del 1899 dedicato significativamente «ai Preti, ai Soldati, ai Giudici, a tutti coloro che educano, istruiscono e governano gli uomini»), e tutti gli strumenti di condizionamento e «istupidimento» del popolo rappresentati ai suoi occhi soprattutto da un certo tipo di «stampa anestetizzante».

Accanto alla sua attività di giornalista «implacabile» lotta anche per i «grandi dèi del suo cuore»: si fa paladino di Rodin, Monet, Pissarro, Cézanne, Renoir, Van Gogh, Camille Claudel e molti altri artisti.

Dopo un ciclo di romanzi «autobiografici» dall’impronta realista influenzata dalla «rivelazione» per Dostoevskij, e dopo la «mostruosità letteraria» e decadente de Il Giardino dei supplizi, arriva Il Diario di una cameriera, la sua opera romanzesca più celebre (da cui verranno tratti diversi film), giudicata da molti come un’opera scandalosamente erotica, «un’interminabile e fetida epopea» da relegare negli inferi delle biblioteche; in realtà, allora come oggi, si tratta di un quadro profondamente realistico, senza concessioni né ipocrisie, della società francese nel periodo della Belle Époque, un’opera d’arte dallo stile raffinato e l’espressione, ancora una volta, delle scelte etiche, politiche ed estetiche di un autore che non ha avuto nessun timore di dire e denunciare la verità.

Nel frattempo, in mezzo a tutte le sue fatiche letterarie e personali, scoppia l’Affaire Dreyfus, e all’indomani del celebre «J’Accuse» di Zola pubblicato il 13 gennaio 1898 su L’Aurore Mirbeau comincia la sua campagna dreyfusarda in nome «della Giustizia e della Verità», firmando la «Protesta» passata alla storia come «Manifesto degli intellettuali», assistendo Zola durante il suo processo (di cui lui stesso pagherà l’ammenda di 7555 franchi) e scrivendo spietati e grotteschi pamphlets.

Nel 1907 pubblicherà La 628-E8, testo anomalo che segna la fine del romanzo realista già annunciata dai lavori precedenti, sorprendenti anticipazioni dell’espressionismo nonché del futurismo, e nel 1913 esce Dingo, altro libro che sconcerta i contemporanei per l’audacia della composizione e iscrive il suo autore a pieno titolo in quella che Nathalie Sarraute chiamerà diversi decenni dopo «l’era del sospetto».

Negli ultimi anni della sua vita, benché indebolito fisicamente e moralmente, si batterà ancora in difesa del popolo russo durante la rivoluzione del 1905, contro la pena di morte, a favore dell’aborto, per la pace in Europa e nel mondo e contro la censura, e sempre dalla parte degli anarchici, degli antimilitaristi e dei sindacalisti imprigionati e condannati.

Già nel 1883, sulla rivista Grimaces, scriveva : «ovunque ci sia una piaga da bruciare, dei furfanti da smascherare, una virtù da esaltare, noi non esiteremo, a dispetto dell’indifferenza interessata degli uni e del furore degli altri».

«L’imprecatore dal cuore fedele» ha sempre mantenuto fermo questo obiettivo, e nonostante la sua intera opera non sia mai rischiarata dall’«oppio della speranza», e benché il suo sia un universo senza redenzione dove le anime dannate, «scimmie lubriche e feroci», tutte inchiodate senza distinzione, sono alle prese con Satana e i suoi attributi di Eros e Thanatos, nei suoi scritti regna incontrastata, leggera e beffarda l’ironia dell’autore, che avrebbe sottoscritto una confessione di Flaubert: «ciò che mi ha salvato dalla dissolutezza non è la virtù, ma l’ironia».

Ironia che è forza creatrice di arte, bellezza e verità, tanto amate, difese e certamente raggiunte da Mirbeau. E delle quali abbiamo un gran bisogno oggi.

***

 

Il libro da cui è tratto l’articolo tradotto:

Octave Mirbeau, La Grève des électeurs, suivi de Les Moutons noirs par Cécile Rivière, éditions Allia, Paris 2020.

 

 

Si veda anche, in vista delle elezioni:

https://www.lanuovasavona.it/2020/09/19/leggi-notizia/argomenti/news-1/articolo/come-non-farsi-annullare-il-voto.html

  

Octave Mirbeau è presente, tra gli altri, nel corto dedicato al tema giornalismo e democrazia, a cura di Mario Molinari e di chi scrive:

https://youtu.be/9vSBGljw__I

 

 

 

Per approfondire Octave Mirbeau:

michel.mirbeau@free.fr

http://mirbeau.asso.fr/

http://www.mirbeau.org/

http://mirbeau.asso.fr/dicomirbeau/

http://michelmirbeau.blogspot.com/

https://www.facebook.com/profile.php?id=100014340181373

http://www.scribd.com/Oktavas

Chiara Pasetti

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